Champions League, PSG-Barcellona: il derby del Qatar
Il più ricco dei quarti di finale di Champions League, PSG-Barcellona, ha già un vincitore sicuro, la famiglia Al Thani. Proprietari del club francese, sponsor dei catalani, i nuovi padroni del calcio mondiale giocano su due tavoli con una sola certezza: comunque vada, per loro sarà un successo.
I salvatori del Barça – L’accordo di sponsorizzazione con il fondo Qatar Sports Investment (QSI), in scadenza nel 2016, che porta nelle casse più di 30 milioni a stagione, ha aiutato non poco il Barcellona a mantenere i conti in attivo per il terzo anno consecutivo. Anche nel 2014, in uno degli anni più amari della storia recente, segnato dalle dimissioni del presidente Rosell, dalle indagini fiscali su Neymar e Messi, dalla sanzione Fifa che ha bloccato il mercato per due anni e dalla morte di Tito Villanova, i catalani mantengono un fatturato da 530 milioni e un utile di 41 milioni. Nell’accordo rientra la presenza del logo della Qatar Airways, la compagnia di bandiera qatariota. Il QSI, infatti, è una emanazione della Qatar Investment Authority, il fondo sovrano del Qatar, gestito ora dallo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, che nel 2013 è succeduto al padre come nuovo emiro e l’anno scorso ha assunto il pieno controllo della compagnia aerea nazionale. L'accordo include anche la presenza di pubblicità della Qatar Airways sulla facciata e sulle tribune del Camp Nou, più uno spazio riservato per la linea aerea, che ha aumentato da 10 a 14 i voli settimanali sulla tratta diretta Doha-Barcellona, nel museo del club. E non è escluso che la società blaugrana possa decidere di vendere agli sceicchi i naming rights del Camp Nou. Anche se, in occasione del lancio della nuova campagna pubblicitaria, il presidente del Barcellona, Josep Maria Bartomeu, ha sottolineato che le questioni sociali e politiche in Qatar potrebbero spingere il club a non rinnovare l’accordo.
Parigi, soldi e potere – Anche a Parigi, il lato oscuro dei miliardi qatarioti sta emergendo con sempre maggiore forza. Già nel 2013, secondo un sondaggio dell’Equipe, il PSG risultava la squadra più odiata di Francia. E negli ultimi tempi, dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, le voci secondo cui l’emirato del Qatar sarebbe tra i finanziatori del sedicente Stato Islamico hanno assunto un peso diverso nel dibattito, anche politico. I tifosi del Bastia hanno lanciato la protesta, con lo striscione “il Qatar finanzia il PSG e il terrorismo”. E Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese, ha iniziato a sostenere con forza che bisognerebbe bloccare tutti gli investimenti sauditi e qatarioti in Francia. Una posizione che la vede fortemente contrapposta a Sarkozy, di nuovo candidato forte dell’UMP alle presidenziali del 2017, che è stato tra gli artefici principali dell’operazione che ha portato al cambio di proprietà al PSG e, pare, tra i principali registi dell’appoggio dell’Uefa alla candidatura del Qatar per i Mondiali del 2022.
Gli affari di Al Thani – Tamim bin Hamad Al Zani, che ha nominato presidente l’amico di infanzia Nasser Al-Khelaifi, ex modestissimo tennista che una volta affrontò anche Thomas Muster raccogliendo solo un game, ha investito più di 500 milioni di euro nel club dal 2011. E ha trasformato l’Esagono nella prima tappa della “reconquista” dell’Europa. Ha speso oltre 10 miliardi per acquisire pacchetti azionari in Legardère, Vinci, France Telecom e immobili di pregio come il grattacielo della Virgin o l’antica sede della HSBC sugli Champs Elysées, e investito più di 400 milioni di euro per acquisire i diritti di trasmissione dei principali eventi sportivi trasmessi su beIn Sports, emanazione di Al Jazeera (controllata sempre dalla QIA) e diretta dallo stesso Al Khelaifi.
Col brand si vola – Il presidente del PSG ha voluto anche un’operazione di restyling del logo: ora la parola “Paris” è nettamente più grande. L’obiettivo, nemmeno troppo velato, è legare, associare il fascino di Parigi ai sogni di grandezza di un’intera nazione. “Vogliamo diventare uno dei migliori club in Europa” ha spiegato al Financial Times. “Vogliamo vincere la Champions League e far sì che il nostro brand valga un miliardo di euro”. Per ora deve “accontentarsi” di 324 milioni, secondo l’ultima classifica di Brand Finance. Ma, come si legge nel rapporto Football Money League dell’agenzia Deloitte, dal dal 2010 al 2014 i ricavi totali del club sono cresciuti da 82 a 474 milioni di euro. Il PSG è la squadra che ottiene di più in Europa da sponsor, partner e merchandising: 327 milioni, su cui pesano e non poco i 200 garantiti dall’accordo con la Qatar Tourism Authority, l’ente per il turismo qatariota. Altri 25 l’anno, dal 2013 e fino al 2018, arrivano da Emirates, il jersey sponsor che investe di più nel calcio. Oltre al Psg, la compagnia di bandiera di Dubai sponsorizza il Milan (100 milioni per cinque stagioni), che potrebbe cedere alla compagnia i diritti per il nome del nuovo impianto che il Milan vorrebbe costruire al Portello, vicino al nodo che collega Milano a Malpensa, principale hub italiano della compagnia, l’Arsenal (38 milioni l’anno fino al 2028, anche per il nome dello stadio), e il Real Madrid (con cui ha rinnovato un accordo da 150 milioni a stagione dal 2015 al 2020, in cui potranno rientrare i naming rights del Bernabeu).
La partita vista da Doha – A Doha, come rivela Le Parisien, la partita del marketing è ancora tutta per il Barcellona. E non c’entra la squalifica di Ibrahimovic. In Qatar, i rivenditori di magliette vengono presi d’assalto quando c’è il Superclasico di Spagna. Tutti i tifosi qatarioti hanno adorato il Barcellona del tiki-taka, il calcio di Guardiola, e la passione non si è spenta nelle ultime stagioni, meno spettacolari e dai risultati certo meno brillanti. Il PSG sta conquistando nuove fette di pubblico a Doha, grazie agli accordi con la banca nazionale QNB o al marchio Ooredoo e ai progressi in Champions. Tutti conoscono Ibra, anche a queste latitudini. Ma a Doha la star è una sola, Leo Messi.