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Centri federali e squadre B: dove nasce la Spagna dei record

La Spagna ha 70 centri federali e un’organizzazione capillare nelle 19 comunità autonome. Ma il vero segreto del successo della nazionale è nelle squadre B. Un modello che per ora non sarà importato in Italia.
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Nel 2014, la FIGC ha avuto entrate per 169 milioni, 42 in più della RFEF, la federcalcio spagnola. Ma Real e Barcellona hanno dominato l'ultimo lustro in Champions League, e la nazionale di Del Bosque è diventata un punto di riferimento, una macchina che diverte, concede spettacolo e preleva dal cuore della Liga i migliori talenti. È un sistema che nella luce sfolgorante dei blaugrana e delle merengues, però, maschera le ombre di una crisi economica che ha messo in pericolo la stessa sopravvivenza del sistema, della sperequazione di risorse talmente pericolosa da aver convinto lo stesso Barcellona a sostenere il passaggio a una distribuzione più equa dei proventi dei diritti tv.

Selezioni territoriali – Non c'è dubbio, però, che dal punto di vista sportivo, il modello spagnolo si possa considerare un esempio di successo. La Spagna ha 70 centri federali territoriali, la metà di proprietà. E una programmazione di base che fa la differenza. È a livello territoriale che la Spagna ha costruito l'era d'oro dell'ultimo decennio. La struttura messa in piedi dalla RFEF prevede tre selezionatori territoriali (uno per gli under 12, uno per gli under 16 e uno per gli under 19) in ciascuna delle 19 Federazioni regionali o territoriali, alcune delle quali più antiche della stessa RFEF, che si incaricano della organizzazione del calcio nelle distinte Comunità Autonome: Andalusia, Aragona, Principato delle Asturie, Canarie, Cantabria, Castiglia e León, Castiglia-La Mancha, Catalogna, Ceuta, Comunidad Valenciana, Comunidad de Madrid, Extremadura, Galizia, Isole Baleari, La Rioja, Melilla, Regione di Mursia, Navarra, Paesi Baschi.

Sistema coeso – In tutte le competizioni internazionali, a tutti i selezionatori viene chiesto di effettuare sempre tutti i tre cambi consentiti in ogni partita, di scegliere un sistema di gioco che sfrutti le fasce, il gioco di prima e il possesso palla ad alto ritmo, e di portare sempre almeno un giocatore sotto età che, rimanendo nel gruppo anche l'anno successivo, potrà trasmettere i comportamenti appresi ai nuovi compagni di squadra. Sono cinque le sottodivisioni, le categorie d'età, in Spagna: Juvenil (under 18), Cadete (under 15), Infantil (under 13), Alevin (under 11) e Benjamin (under 9). Tutte hanno durata di due anni, solo la “juvenil”, cui possono accedere gli under 16, ha una durata di tre anni. La massima divisione delle categorie “Juvenil” e “Cadete” è gestita dalla RFEF, mentre le altre sono controllate direttamente dalle federazioni territoriali di ciascuna Comunità Autonoma. Le selezioni regionali, e le varie nazionali, mantengono un rapporto stretto con lo stile di gioco prevalente nei principali vivai di Spagna: “Non pretendiamo di migliorare nessuna capacità condizionale (resistenza, forza, velocità), né coordinativa (tecnica)” si legge in una relazione per Iusport di Juan Carlos Gomez Perlado della RFEF. “Dirigiamo i nostri sforzi verso gli aspetti cognitivi (capacità percettive, tattica) e socio-affettivi”.

Masia e Valdebebas – Un modello trainato, evidentemente, dalle due scuole calcistiche dominanti: La Masia, la cantera del Barcellona, e Valdebebas, la città dello sport del Real Madrid. “Il futbol formativo del Barcellona” scrive Marco Bellinazzo nel suo libro Goal Economy, “è composto da 13 squadre in cui militano ragazzi fra i 7 e i 17 anni”. In totale, considerando anche la categoria professionale, si allenano alla Masia 210 ragazzi, in gran parte catalani, ma c'è anche chi arriva da fuori e viene accompagnato dai taxi pagati dal club. Tutte le squadre giocano col 4-3-3 e con le stesse parole d'ordine, pase y control. La valorizzazione dei giovani cresciuti nel centro intitolato a Oriol Tort, l'uomo che nel 1979 ha deciso di creare il centro, ha portato nelle casse del Barcellona 120 milioni di euro tra il 2004 e il 2014, secondo un'inchiesta di Marca. Non è da meno il Real Madrid, che dal 2000 ha investito 177 milioni per la Ciudad Deportiva, il più grande centro sportivo mai costruito per una squadra di calcio, che si estende su 150 ettari, 16 volte più della Piazza Rossa di Mosca. Qui si allenano 280 giocatori suddivisi nelle 14 squadre che compongono il settore giovanile dei blancos.

Le squadre B – È qui che si costruisce il tesoro del calcio spagnolo. I club della Liga, infatti, fanno crescere i migliori giovani dei vivai nelle squadre filiales, le squadre B, le formazioni riserve come il Castilla, da cui è stato proiettato in prima squadra Zinedine Zidane, che al Real si è portato dietro il figlio. Proprio il Castilla è arrivato in finale di Copa del Rey nel 1980, battendo anche l'Athletic Bilbao, la Real Sociedad e lo Sporting Gijón. Hanno perso 6-1, proprio contro il Real Madrid, ma l'anno successivo hanno comunque debuttato in Coppa delle Coppe. L'esordio è trionfale. In 12 minuti il West Ham, che non aveva concesso reti nelle sei precedenti partite, tra Division Two e League Cup, viene infilato tre volte, da Paco, Balín e Cidón. I tifosi inglesi creano incidenti al Bernabeu, così il ritorno all'Upton Park si gioca a porte chiuse. Gli Hammers cancellano comunque il sogno del Castilla: vincono 5-1, grazie all'unica tripletta europea di David Cross, ai supplementari. Un sogno, quello della squadra B del Real Madrid, destinata a rimanere unica nella storia: dal 1990, infatti, le formazioni riserve non possono più partecipare alla coppa nazionale.

Non nella stessa serie – Le squadre affiliate non sono ammesse alla stessa categoria della formazione principale. Per questo nel 1952 il CD Mestalla, filiale del Valencia, e l'anno successivo il CD España Industrial, allora squadra riserve del Barcellona, non furono ammessi alla Liga. Anche nel 2011 e nel 2014 il Barcellona B, che ha chiuso terzo il campionato, ha dovuto rinunciare ai play off promozione: nel più recente dei casi al posto dei blaugrana agli spareggi è stato ammesso il Cordoba, salito in Liga. Caso curioso quello del Malaga B, automaticamente scivolato in Segunda Division B dopo la retrocessione della prima squadra in Segunda Division nel 2006.

Passaggi limitati – Tuttavia, l'approccio delle squadre B è sempre stato competitivo, con poche accuse di falsare i campionati, e il passaggio di Deulofeu direttamente dal Barcellona B all'Everton testimonia il valore di queste squadre. Le medie spettatori non sono poi disprezzabili. Castilla e Barcellona B, che negli ultimi anni davano vita al “Mini Clasico” in Segunda Division, raccolgono una media di 4-5 mila tifosi a partita. Il passaggio tra squadra A e filial è limitato nel corso della stagione: al di fuori delle sessioni di mercato, possono spostarsi dall'una all'altra solo gli under 23 e gli under-25 con contratto professionistico.

Campionato a parte? – Il risultato di questo modello è sotto gli occhi di tutti. Nella rosa della Spagna Campione del mondo nel 2010, solo Marchena, Torres (che debuttò direttamente in prima squadra all’Atletico) e Fabregas, che emigrò in Inghilterra non ancora maggiorenne, non erano passati per le squadre B. Negli ultimi anni, già dal 2008, la Liga ha iniziato a ipotizzare, finora senza successo, di creare un campionato riservato alle squadre B, sul modello della Premier Reserve League inglese. Un piano che anche Tavecchio al momento ha congelato. La valorizzazione dei vivai non passa da qui. Non ancora.

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