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Caro Raiola, io sto con il calcio italiano

All’indomani dell’ennesimo colpo di mercato con Ibra al PSG a suon di milioni, Mino Raiola critica ferocemente il calcio italiano ‘indegno’ di avere giocatori di qualità. Discorsi opportunisti che hanno scatenato la risposta di De Laurentiis che non ci sta e propone le soluzioni giuste per ripartire.
A cura di Alessio Pediglieri
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Mino Raiola e critiche alla Serie A

E' da sempre considerato un maestro tra i procuratori, tra coloro che vivono di calcio pur non giocando a calcio, gestendo calciatori di prima fila, diventando il principe degli intermediatori nelle varie trattative di compravendita da 20 anni a questa parte.
E' Carmine ‘Mino' Raiola, campano d'Olanda, l'incontrastato uomo-chiave dei migliori affari degli ultimi anni all'interno dell'azienda calcio. Basta ricordare nel tempo alcune sue clamorose compravendite messe a segno, iniziando dall'esodo di giocatori olandesi (di cui ne divenne rappresentante esclusivo per l'estero nel 1987) in Italia, come Bryan Roy al Foggia (1992) o la coppia Bergkamp-Jonk all'Inter (1993); oppure la sua essenziale presenza nella trattativa che portò Pavel Nedved alla Juventus, fino ad arrivare alle recenti vicende di mercato che hanno visto prima Mario Balotelli e poi Zlatan Ibrahimovic veri e propri globe-trotter del calcio moderno con lo svedese evidentemente incapace di restare per più di tre stagioni in una stessa società, spostandosi ogni volta a suon di milioni, per merito quasi assoluto del ‘buon' Raiola.

Via dall'Italia – Questo, dunque è Mino Raiola, il ‘guru' dei procuratori con il quale i club ma anche altri intermediari devono sempre fare i conti. Intuitivo, spontaneo, verace ai limiti del paradosso per il lavoro delicato che svolge, Raiola ha legato il proprio nome (e fortune) anche grazie all'Italia e al suo calcio. E' sempre stato un personaggio border-line, difficilmente domabile, al di fuori degli schemi, abilissimo nel portare a termine gli affari come nessun altro, anche a costo di perseguire la propria strada, piegando gli eventi ai propri scopi finali. Eppure, così come Raiola può essere considerato un maestro nei suoi affari, proprio questa mancanza diplomatica è stata ed è spesso – troppo spesso – il suo tallone d'Achille che lo porta a dichiarare più di quanto dovrebbe limitarsi a fare.
Come in queste ore quando, forte del clamoroso passaggio di Ibrahimovic al PSG alle condizioni del giocatore, ha iniziato ad andare oltre al proprio mandato criticando tutto e tutti, soprattutto l'Italia e il suo calcio al quale – e lo sa benissimo – è debitore a vita di molte delle sue fortune.

"In Italia non verrà mai alcun top-player. Se oggi dovessi chiedere ad un giocatore di andarein Italia, soprattutto al Sud, scapperebbe".

"Non siete stati capaci di investire in nulla: gli altri campionati sono delle industrie che funzionano, dei marchi importanti. In Italia ancora nessuno ha capito che deve cambiare il sistema".

"I vari Messi, Ronaldo, Ibrahimovic devono cambiare, trovare nuovi stimoli. Non si può più pensare che un club spremi fino all'ultimo dei campioni. Sono loro a far grande la squadra o viceversa?"

Mino Raiola e critiche alla Serie A

Tante critiche nessuna soluzione – Raiola, tutto lecito, tutto discutibile. Ben venga l'ennesima critica al sistema calcistico italiano. Lo stiamo dicendo da mesi, ce lo stanno confermando i risultati nazionali e internazionali. Ne è un esempio questo mercato al ribasso con i top-player a low-cost più attivo alla voce ‘partenze' che alla voce ‘arrivi'. Ma la critica dev'essere anche costruttiva, positiva e deve portare – soprattutto – soluzioni ai problemi.
E qual è la soluzione paventata da Mino? Scappate dalla Serie A e dall'Italia. E' un Paese fallito che non vi può dare più nulla. Facile dirlo adesso. Fin quando c'erano i vari Balotelli e i vari Ibrahimovic non c'era questo livore, anche Raiola sembrava soddisfatto di quanto accadesse nel campionato di Serie A. Anzi. Diciamola tutta: questa mediocrità e la lenta discesa verso il basso ha fatto il gioco di Raiola che ha potuto far esaltare ancor più le qualità dei suoi assistiti.
Insomma: se oggi Balotelli e Ibrahimovic sono veri e propri top-player in Inghilterra e in Francia lo devono anche alla crisi del calcio italiano al quale Raiola dovrebbe rivolgersi non più con il classico ‘sputo nel piatto', bensì proponendo eventuali soluzioni. Raiola, oggi, dal nostro calcio è ‘fuggito' e da lontano critica: fino a ieri non lo faceva, non si permetteva, anzi. Erano gli altri campionati a non essere all'altezza dei suoi campioni. Facile, un po' troppo.

Raiola vs De Laurentiis – Raiola sostiene che i campioni debbano cambiare spesso squadra, trovare nuovi stimoli, sempre più spesso. Certo: è il sogno di ogni procuratore, anche quello del buon Mino. Ma i giocatori sono dei lavoratori professionisti che si legano ad un club che si impegna con loro e investe le proprie risorse in attesa di vedersi ricompensato con successi sportivi che aprono a entrate economiche. Esistono gli accordi, i contratti, le firme. E queste vanno rispettate.
Piegare tutto e ridurlo semplicisticamente al vil denaro è sbagliato perchè siamo anche noi uomini di mondo e capiamo benissimo che alcune situazioni cambiano, si evolvono e dei rapporti possono finire anzitempo. Normale, ma ciò che stride nel racconto – opportunistico – di Raiola è che chiede ai giocatori di far ciò in modo quasi scientifico: vai, fatti pagare, conquista e abbandona.
Troppo semplice.
E ha ragione allora Aurelio De Laurentiis a diventare furioso ‘da simpatico ad antipatico' come ha detto lo stesso Raiola, quando sostiene che ci sono dei contratti che devono essere rispettati da entrambi le parti, quando afferma che preferisce chi sceglie ‘Napoli non per i soldi ma per il progetto e il senso di appartenenza', così come quando provoca ammonendo che "se Cavani dovesse chiedere 6-7 milioni lo farei marcire in panchina".

Mino Raiola e critiche alla Serie A

La linea da seguire per risalire la china – Potrebbe apparire un discorso altrettanto campanilistico, dove il presidente del Napoli non riesce a uscire da un provincialismo che non permette di far fare a livello calcistico il salto di qualità alla società e ai propri giocatori. Ma è pur vero che le parole di De Laurentiis dovrebbero essere seguite un po' più attentamente anche dai suoi colleghi presidenti che cercano investitori all'estero, azionisti stranieri da cui prelevare soldi e nuovi fondi freschi per rimpinguare – temporaneamente – le casse societarie.
"Nelle mie corde non ho il condividere una società con altri azionisti, i soci devono essere dispari e possibilmente uno solo" non è una frase lanciata a caso davanti al tentativo ultimo di Massimo Moratti di chiudere contratti in Cina o di altri club (vedasi il Milan) da tempo in orbita di eventuali accordi con l'Arabia (lo sponsor Emyrates non è un caso).
E' questa la via da intraprendere: Raiola parla per sè, di campioni, di compravendite, di opportunismo, di affari. Non pensa (e non gli interessa per ciò che fa) a nuove strategie di rilancio di riorganizzazione, di pianificazione dell'intero movimento.
Porta ad esempio i virtuosismi finanziari di Manchester City e PSG, i nuovi ricchi, e ricorda il Real e il Barcellona, i club più titolati dimenticando volontariamente che il Napoli (bistrattato da Raiola che lo considera un club da periferia da cui Hamsik deve andar via per diventare un campione), l'Udinese, insieme al Bayern Monaco e all'Arsenal sono davvero le società più virtuose del panorama europeo con conti a posto e bilanci in attivo.

Al frinire delle cicale arabe, forte e impetuoso, al pari del canto delle sirene seguito da Ulisse, noi preferiamo il lavoro delle laboriose formiche che pian piano e con metodo sanno organizzare il proprio presente e il proprio futuro senza clamori e grancasse inutili. A Raiola piacendo.

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