Capello e lo scudetto del 2006: “È stata una comica averlo assegnato all’Inter”
Dopo aver rescisso il contratto nel marzo scorso con lo Jiangsu Suning, Fabio Capello si è dedicato al ruolo di commentatore televisivo: seconda carriera, che il tecnico friulano iniziò nel lontano 1983. In attesa di una nuova panchina, l'ex mister di Milan, Real Madrid, Roma e Juventus e oggi opinionista di Sky, ha concesso una lunga intervista radiofonica alla Rai nella quale ha parlato degli argomenti attuali del calcio italiano. A partire dal caso Higuain: giocatore che sta monopolizzando l'attenzione di tutti i tifosi rossoneri.
"Da quando ha sbagliato il rigore con la Juventus non è più lui – ha dichiarato Capello, nell'intervento a Radio Anch'io lo Sport, trasmissione di Radio Rai – Quell'errore gli è rimasto dentro. È un altro giocatore, ha perso intensità, restando più lontano dalla porta. Non so cosa gli è successo. Speriamo per il Milan che ritorni ad essere l'Higuain che tutti conosciamo".
Calciopoli e il razzismo negli stadi
Dopo aver elogiato il commissario tecnico Roberto Mancini ("Ha fatto un buon lavoro mettendo alla prova i nuovi talenti italiani"), Fabio Capello ha poi parlato dalla famosa assegnazione dello scudetto 2006, perso dalla sua Juventus dopo il processo di Calciopoli: "È stata una comica averlo assegnato all'Inter, una cosa nettamente ingiusta. Non sono stati rispettati i tempi e le regole, non è stata data la possibilità alla giustizia sportiva di operare correttamente. Guido Rossi agì troppo frettolosamente".
"I cori razzisti? I giocatori dovrebbero sedersi in campo, e contro di loro non dovrebbero essere decise sanzioni – ha spiegato il tecnico – In questa maniera si aiuterebbe il pubblico sano, quelli che vogliono vedere giocare, e si spingerebbe quelli che fanno i buu a smettere e vergognarsi di quello che stanno facendo. L'Italia è l'unico posto dove ci sono gli ultras che comandano e dove i giocatori vanno a salutarli. Si dà troppa importanza a queste persone. Sono importanti l'85-90% delle persone che vengono allo stadio, non questi signori con striscioni, slogan e il potere ottenuto dalle società".