Calcio, la serie A dei nuovi ricchi e dei vecchi padroni
Nuovi stadi, nuovi sponsor, internazionalizzazione. È su queste strade che dovrebbe muoversi il calcio italiano per uscire da una situazione finanziaria in cui è il rosso il colore dominante. La mappa della serie A, infatti, restituisce l'immagine di un campionato che tra finanza creativa e nuovi padroni cerca a fatica di recuperare l'appeal perduto. Nemmeno la quotazione in Borsa aiuta Juventus, Roma e Lazio.
Juventus – A Torino la famiglia Agnelli, tramite la Exor, ha il 64% della Juve. Nick Train e Michael Lindsell, due londinesi gestori di fondi, sono diventati i secondi soci con il 5%. La società, la prima a superare quest'anno i 300 milioni di fatturato, nonostante i 36 milioni di plusvalenze maturate nell’ultima sessione di mercato, potrebbe chiudere l'esercizio 2016 con 15,76 milioni di perdite secondo uno studio di Banca Imi.
Roma e Lazio – La proprietà della Roma è al 78% di due società del Delaware, con James Pallotta come dominus. L'assemblea degli azionisti ha approvato il bilancio consolidato al 30 giugno 2015, con una perdita a -41,1 milioni di euro, e quello separato, in rosso per 38,8 milioni. Ha chiuso invece in attivo la Lazio, che ha il 34% flottante in Borsa e il resto nelle immobiliari e nelle società di pulizia di Claudio Lotito. Ma la società ha anticipato in questo bilancio di esercizio oltre 20 milioni di premi Uefa per la qualificazione all'Europa League 2015-16, oltre ai premi e agli oneri verso i tesserati per il raggiungimento di questo risultato e ulteriori 1,34 milioni di conguaglio di diritti Uefa relativi alla stagione 2013-14 e incassati nella scorsa. Entrate, specifica la società, tutte già pienamente realizzate alla data di chiusura del bilancio di esercizio. Entrate, però, senza le quali la società avrebbe chiuso con circa 16 milioni di rosso.
Resa e appeal – Secondo uno studio Morningstar sulle società quotate in Europa, delle tre italiane presenti in Borsa è la Juventus ad avere l'appeal maggiore. Il titolo bianconero, si legge, “è nel portafoglio di nove fondi americani e cinque europei”. A livello di rendimenti, però, è la Roma a farla da padrona. “La squadra giallorossa ha visto aumentare la sua capitalizzazione di mercato del 21%, mentre la Juventus, nonostante la vittoria degli ultimi quattro campionati di Serie A, si è fermata a +6,21%. La Lazio ha chiuso in coda a +3,03%”.
Berlusconi il più ricco – La rassegna dei 3553 gruppi industriali attivi in Italia stilata da Mediobanca, però, disegna una mappa di centralità economico-finanziaria lontana da Roma e Torino. Nella graduatoria non figurano i tre presidenti stranieri della nostra serie A, Erick Thohir, James Pallotta e Joey Saputo, che ha appena ricapitalizzato il Bologna (società che ha come main sponsor Faac, di proprietà dell'arcidiocesi guidata dal cardinale Carlo Caffarra) per 35 milioni ripianando i 28 di perdita e decidendo il cambio di guida tecnica, da Rossi a Donadoni. Nell'elenco nemmeno Lotito, De Laurentiis, che arriva da nove bilanci utili di fila, Zamparini, che ha chiuso l'ultimo esercizio con 2,5 di utile grazie soprattutto alla plusvalenza per la cessione di Dybala, o la famiglia Pozzo, che controlla l'Udinese attraverso una serie di società lussemburghesi. Così dietro Exor e Saras, troviamo al 21esimo posto il gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi, che controlla il Milan al 99,93%. Il resto è diviso fra 111 soci, si va da Carlo Pellegatti all'ex presidente dell'Eni Paolo Scaroni, che all'epoca di Giussy Farina hanno ricevuto le azioni cone optional degli abbonamenti vip ai tempi della presidenza di Giussy Farina.
Sassuolo e Fiorentina – Nel podio degli imprenditori sportivi Giorgio Squinzi, proprietario al 100% della Mapei (impero da 2,3 miliardi di ricavi totali) e presidente di Confindustria, e Diego Della Valle, azionista di maggioranza della Fiorentina con il 70% (l'altro 30% e del fratello Andrea).
Atalanta e Torino – Alle spalle dei viola, una delle squadre nell'orbita Infront, Mediobanca registra Atalanta e Torino. I bergamaschi, che pure hanno un contratto con l'advisor della Lega per 18,7 milioni (fondamentali visti i quasi 3 milioni di rosso dello scorso anno per l'aumento degli ingaggi e la riduzione dei ricavi da botteghino), hanno alle spalle Antonio Percassi, che ha fatto fortuna con i centri commerciali e può contare sui 432 milioni di fatturato del gruppo della cosmetica Kiko. Il presidente dell'Atalanta, secondo quanto ha rivelato l'Espresso, è da tempo in affari con i consulenti fiscali di Tax and Finance, la società fondata da Paolo di Di Filippo con sedi in tutto il mondo, da Dubai all’Irlanda, dal Lussemburgo a Panama. La società, specializzata in finanza offshore, è finita sotto i riflettori perché scelta come intermediario da Bee Taechaubol nonostante i fondatori siano vecchie conoscenze della Fininvest. A chiudere la top-5 degli italiani nel calcio Urbano Cairo, che garantisce al Torino bilanci sani e una struttura semplice di proprietà: Cairo infatti controlla il club al 100% tramite la Ut Communications, che ha in portafoglio anche Cairo Communication (editore di La7).
Gli altri – Nell'elenco dei censiti da Mediobanca anche il presidente del piccolo Frosinone, Maurizio Stirpe, numero 1 degli industrali del Lazio con la sua Prima Sole Components spa, azienda con 2200 dipendenti nel settore della componentistica per auto e moto che ha chiuso il 2014 con un fatturato da 206 milioni e un utile di quasi 8. A luglio, Vittorio Ficchi, presidente del basket Ferentino, che milita in A2, ha acquistato il 45% del club rilevando le quote di Arnaldo Zeppieri. In classifica, per chiudere, due dei presidenti più discussi, Enrico Preziosi e Maurizio Setti. Il patron del Genoa, però, dovrebbe presto lasciare a Giovanni Calabrò, 45 anni, laureato in legge all’Università del Mediterraneo di Reggio Calabria, che dal 1993 guida la Calfin International che, stando al suo profilo Linkedin, vanta un patrimonio di 5 miliardi, con un focus su immobili, finanza, capitale di rischio, costruzioni, ingegneria, fusioni e acquisizioni. Secondo Milano Finanza, comunque, Preziosi vorrebbe condividere con Calabrò il risanamento dei conti del club, che ha 50 milioni di debiti, e scindere la Fingiochi, che possiede il 75% del club e il 29,32% di Giochi Preziosi: a Calabrò dovrebbe andare il 51% di una newco in cui Preziosi riverserebbe le quote del club e parte del patrimonio immobiliare. Setti, infine, è il presidente del Verona che, come sintetizza il Corriere della Sera, “è controllato al 100% dalla HV7 di Carpi che finanzia la squadra con un prestito da 14 milioni (in parte restituito) al tasso del 6%. HV7 si è indebitata a sua volta, al 5,5%, con la controllante lussemburghese Falco Investments. E la Falco ha raccolto i soldi piazzando un prestito obbligazionario da 20 milioni (il vero polmone finanziario dell?operazione Verona) a ignoti sottoscrittori. Sopra la Falco c'è un'altra holding, la Seven e infine, in cima alla catena, una fiduciaria, la Argos”. Setti conferma che è tutto alla luce del sole. Intanto il club ha venduto il proprio marchio alla Hellas Verona Marketing & Communication, controllata al 100% dalla HV7.
I problemi – Sono in pochi a poter sorridere, però, in campo e fuori. Nelle prime sette giornate, infatti, sottolinea Milano Finanza, l’audience della Serie A su Sky e Mediaset è diminuita del 12%, e gli abbonati alle due pay tv sono rimasti sostanzialmente inalterati. Per Michele Uva, direttore generale Figc, “servono comunque nuovi stadi come dimostrano i casi Udinese e Juventus dove a nuove strutture corrisponde un’atmosfera decisamente diversa che diminuisce la tensione fra i tifosi”. Ma in Italia la strada si fa complessa, con il progetto del Milan al Portello ormai sempre più lontano, il nuovo stadio della Roma fermo ancora al sopralluogo che il 22 ottobre ne ha confermato la fattibilità e il nuovo San Paolo bocciato dal cmune di Napoli che “ha ritenuto di non poter esprimere l’interesse pubblico sulla proposta”. Così, però, non si può andare avanti. Negli ultimi 15 anni, sottolinea Marco Bellinazzo in Goal Economy, la serie A ha dilapidato 19 miliardi di ricavi in 14 miliardi di stipendi e 5 di ammortamenti. Senza una vera diversificazione dei ricavi, nemmeno gli attuali padroni del vapore potranno mantenere a lungo la rotta.