Calcio, 60 anni fa rinasceva l’Inter
“Chissà perché ci si attenda ancora a considerare la fine dell'anno al metro del 31 dicembre, piuttosto che a quello del 28 ottobre. L'attaccamento a questa consuetudine è indice di mentalità non fascista”. Così parlava Achille Starace, tra i pià fedeli gerarchi fascisti. Ed è curioso che proprio in coincidenza dell'anniversario della Marcia su Roma, in quello per Starace avrebbe dovuto segnare l'inizio del nuovo anno, nel 1945 l'Ambrosiana ha ripreso il suo tradizionale nome di Internazionale.
Ambrosiana – Sono passati diciassette anni da quel preludio sportivo della campagna, voluta proprio da Starace, a sostegno semiotico e semantico dell'autarchia mussoliniana, un “divieto di uso delle parole straniere” che diventerà legge nel 1940: se l'uso di cornetto e albergo per croissant e hotel durano ancora oggi, non c'è più nessuno disposto a pronunciare scarto per dribbling, obbligata al posto di slalom, o disco su ghiaccio per hockey. In quegli anni si va alla mescita (il bar) per ordinare una coda di gallo (un cocktail) o un arzente (un cognac). E a Milano, la domenica, si va a San Siro a vedere il Milan o all'Arena per l'Ambrosiana di Bepin Meazza.
La Carta di Viareggio – Il 1926 è un anno chiave per il calcio italiano. A Viareggio viene firmata la Carta che cambia per sempre la serie A. La riforma porta la serie A a girone unico, annulla ogni vincolo territoriale per il passaggio dei calciatori da una squadra a un’altra, in sostanza legalizza il calciomercato, impone nuovi criteri per la nomina dei dirigenti dei club, che dal 1927 devono essere approvati dagli Enti Sportivi Provinciali Fascisti, diretta emanazione del Pnf, e introduce il professionismo, la spinta finale che trasforma il calcio in sport della gente, sport per tutti. I fascisti hanno definitivamente riconosciuto che il calcio è l’unico modo di arrivare davvero alle masse, molto più del ciclismo, sport popolare che però ha il difetto di percorrere e mostrare le strade dell'Italia povera. La riforma riorganizza anche la Figc, come le altre organizzazioni, secondo criteri verticistici e gerarchici. A capo viene posto un Direttorio Federale con a capo Leandro Arpinati, ex ras di Bologna mai del tutto convinto della trasformazione del movimento originario in partito politico. “Se non ci fossimo incontrati, sarebbe probabilmente rimasto un bravo e innocuo anarchico” dirà Mussolini, poco prima della morte.
La fusione – Il torneo 1928-29, ultimo campionato a gironi separati, serve da qualificazione per la nuova serie A. L'Internazionale, nato vent'anni prima per iniziativa di 44 dirigenti “dissidenti” del Milan, è tra le candidate a farne parte. Ma la Carta di Viareggio stravolge geografia e onomastica. Impone la fusione dell'Internazionale con l'US Milanese, anche per assicurare un posto libero alla Fiumana, privilegiata per quel che rappresentava nell'immaginario collettivo. È Rino Parenti, presidente dell'Ente Provinciale Sportivo della Federazione Fascista di Milano, a volere e realizzare la fusione. Il vantaggio, per il regime è doppio. L'Internazionale ha un nome scomodo, troppo comunista, e non ha una dirigenza allineata al regime, al contrario del Milan: la societa saprà della fusione praticamente a cose fatte. Per questo la nuova squadra passa a un più autarchico e autenticamente meneghino nome di Ambrosiana. Resta a capo della società Ernesto Torrusio, braccio destro di Parenti, presidente dell'US Milanese. In quell'ultima stagione prima della rivoluzione, la squadra abbandona anche la maglia nerazzurra, per una divisa bianca con una croce rossa (simbolo di Milano) e il fascio littorio al centro della divisa.
L'arrivo di Simonotti – Il campionato è un sostanziale insuccesso. L'Ambrosiana finisce sesta nel girone B, che comunque basta per far parte della prima serie A, Torrusio viene “dimesso” dalla carica di vice-podestà della città e i soldi non bastano nemmeno a pagare gli stipendi. È l'ingegnere Carlo Simonotti, ex presidente del Casale, a salvare la situazione. Prende in mano la società, ripiana i debiti di tasca sua e richiama in panchina, dopo una stagione di assenza, Arpad Weisz, l'allenatore ungherese di origine ebrea che ha scoperto Meazza, che ha inventato i ritiri e creerà il Bologna che tremare il mondo fa, che modernizzerà gli allenamenti e quel Littoriale inaugurato da Mussolini nel giorno scelto da Anteo Zamboni per attentare, invano, alla sua vita: Zamboni sarà immediatamente fermato e morirà in circostante ancora da chiarire, mentre a vigilare sulla sicurezza del Duce c'era Carlo Alberto Pasolini, padre di Pierpaolo. Weisz, che dovrà scappare dall'Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali e morirà a Auschwitz, porta in Italia il metodo di Chapman, l'Ambrosiana cambia pelle rispetto all'anno prima e domina il campionato.
Ambrosiana-Inter – Tra la fine del 1931 e il 1932, la proprietà dell'Ambrosiana cambia ancora. Dopo il biennio di Simonotti, arriva Ferdinando Pozzani, protagonista del primo esonero di un allenatore nella storia del club: nel 1934-35 chiamerà al posto di Gyula Feldmann l'ex arbitro Albino Carraro, lo stesso che aveva deciso di far giocare Ambrosiana-Genova dopo il crollo delle tribune dell'Arena nell'anno dello scudetto. Ex dirigente delladel Direttorio Federale della Reale Federazione Ginnastica Italiana (R.F.G.I.), è un imprenditore sportivo che guarda oltre il calcio. Nel 1936 ingloba nell'Ambrosiana la Società Canottieri Milano, reduce da tre scudetti nel basket femminile, un anno dopo fonda la società hockeystica Associazione Diavoli Neroazzurri rilevando i giocatori dall'Associazione Milanese Disco su Ghiaccio Milano e nel 1938 è il grande regista del campionato europeo di canottaggio all'Idroscalo. Ha un carattere duro, è il primo a introdurre le multe all'Ambrosiana e cambierà otto allenatori in dieci anni. Entra in polemica con Umberto Maggioli del “Guerin Sportivo”, che gli assegna il soprannome con cui ancora oggi lo ricordano: “Generale Po”. Pozzani, che è un gerarca autorevole, chiede e ottiene dalla Federazione un ulteriore cambio di denominazione. I tifosi, infatti, continuano a gridare “Forza Inter” dagli spalti, e dall'inizio del 1932 la squadra si chiamerà ufficialmente Ambrosiana-Inter. L'autorizzazione, scrive il Littoriale del 25 gennaio, “ha riempito di giubilo la massa dei supporters nero azzurri”. Arpinati autorizza anche “la rinascita dell'U.S. Milanese, nominandone presidente il cav. Andrea Lattuada. Pertanto l'U.S. Viscontea, che si fregia dei colori a scacchi bianco-neri e che è presieduta dal Lattuada stesso, passa all'U.S. Milanese. I premi dell'U.S. Milanese, custoditi presso l'Ambrosiana, torneranno ai bianco-neri. L'U.S. Milanese, a quanto pare, non si occuperà di calcio”.
Torna l'Internazionale – Quell'Inter però si scontra con la Juventus di Carcano e del quinquennio d'oro. L'Ambrosiana deve aspettare il 1938 per festeggiare di nuovo lo scudetto, con Meazza ancora re dei bomber, per la terza volta (come nel 1930 e nel 1936). L'anno successivo l'Ambrosiana vinse la sua prima Coppa Italia sconfiggendo in finale il Novara per 2-1. E nel 1939-40 si replica, nonostante i problemi al piede di Meazza. È un campionato attraversato dai venti di guerra. L'Inter raccoglie 13 punti nelle prime 23 partite, ma alla vigilia dell'ultima giornata ha un punto di vantaggio sul Bologna (42 a 41). È il 2 giugno, in programma c'è proprio lo scontro diretto, come ricorda Corrado Sannucci su Repubblica, “il Belgio aveva capitolato da tre giorni. Il Bologna doveva vincere ma l' Inter passò subito in vantaggio, al 9′ . Su cross di Frossi ci fu una finta di Barsanti, battè a rete Ferraris II che superò Ferrari. In più di 40mila fecero festa, l' incasso era stato di 471.400 lire, il nuovo record italiano. Il precedente risaliva al ‘ 35: ma erano tempi senza inflazione, i treni vaggiavano in orario e i tedeschi viaggiavano verso Amiens. Questa sì che è primavera cantarono i tifosi nerazzurri, i Messerschmitt quel giorno volarono su Parigi. (…) I presidenti delle Federazioni scrissero al Duce: Gli atleti sono i primi soldati. C' era Fausto Coppi in maglia rosa sulle Alpi, il 9 giugno finiva il Giro d' Italia, il 10 la dichiarazione di guerra, il giudizio su tutto questo sarebbe venuto cinque anni dopo”. E il giudizio è tutto nell'annuncio del presidente Carlo Masseroni, industriale delle calzature appassionato di ciclismo cui Parenti ha consegnato la società nel 1942 senza che avesse fatto nulla per ottenerla: “l'Ambrosiana torna a chiamarsi solo Internazionale”.