Brexit: sarà la fine della Premier League?
Il voto sulla Brexit potrebbe cambiare per sempre il volto della Premier League. Il campionato più ricco del mondo contribuisce, secondo uno studio Ernst & Young, con 3,4 miliardi di sterline al PIL britannico. Con la prospettiva di ulteriori referendum in Scozia per uscire dal Regno Unito e in Ulster per una storica unificazione con l'Irlanda, quali potranno essere le conseguenze sul calcio britannico delle negoziazioni per uscire dall'Europa?
Tesseramento: in 111 oggi non avrebbero il permesso di lavoro
Oggi la Premier vanta la più elevata concentrazione di stranieri, 388 su 595 giocatori: 161 appartengono alla European Economic Area (un dato in cui non rientrano gli irlandesi) e secondo uno studio del Guardian, solo 50 di loro potrebbero ottenere automaticamente un permesso di lavoro per giocare in Premier League. Le nuove regole approvate quest'anno basano la concessione del permesso sulle partite disputate in nazionale, in relazione al ranking FIFA del Paese d'origine. Se è compresa fra le prime 10, il calciatore deve aver disputato almeno il 30% dei “competitive matches”, gli incontri nelle manifestazioni ufficiali, amichevoli escluse, nei precedenti 24 mesi (ridotti a 12 per gli under 21). La percentuale sale al 45% per le nazionali comprese fa l'undicesimo e il ventesimo posto, al 60% se il ranking è compreso fra il 21mo e il 30mo posto, al 75% se rientra fra il 31mo e il 50mo. Chi non rientra in questi criteri, per esempio perché proviene da una nazione oltre il 50° posto del ranking FIFA, come la Polonia, può fare richiesta di un'eccezione a un apposito panel, che costa 5 mila sterline, tasse escluse.
Gli esclusi eccellenti. Fossero state applicate l'estate scorsa, queste regole avrebbero impedito di vedere in Premier League: Dimitri Payet, N’Golo Kante, Anthony Martial, Zouma, Azpilicueta, Bellerin, Coquelin, De Gea, Mata, Schneiderlin, Mangala, Navas, Nasri, Mignolet
Conseguenze sulle rose
Come sottolineava uno studio BBC, sono 332 i calciatori europei nelle squadre della Premier League, della Championship e della Scottish Premiership che non otterrebbero il permesso di lavoro in base a queste regole. L'Aston Villa, il Newcastle e il Watford perderebbero 11 calciatori, la Championships ne potrebbe mantenere solo 23 su 180, mentre nessuno dei 53 nella prima divisione scozzese potrebbe restare. In più, rischierebbero l'esclusione anche 109 stranieri che attualmente giocano in League One e League Two. Tuttavia, rassicura lo studio legale Mills & Reeve, “è estremamente improbabile che le nuove regole vengano applicate retrospettivamente, per cui i calciatori che attualmente giocano nel Regno Unito dovrebbero mantenere il permesso di lavoro almeno fino alla scadenza del contratto”.
Prospettive – Quando termineranno le negoziazioni con l'Unione Europea, che succederà nel calcio britannico? Secondo Stefan Szymanski, professore di management dello sport all'università del Michigan e co-autore di Soccernomics, “se davvero venissero rinforzate queste restrizioni, ci sarebbe un minore afflusso di talenti e crescerebbero le disuguaglianze: i top team dominerebbero la scena ancora più di prima”. Per Babatunde Buraimo, lecturer in economia dello sport all'università di Liverpool, i club pagheranno di più per acquistare le stelle d'Europa, perché costretti a concentrarsi su giocatori già affermati e non su promesse emergenti che rischierebbero di non ottenere poi il permesso di lavoro. Chi ha sostenuto la campagna per l'uscita dall'UE, come Brian Monteih, ritiene invece che la libertà di movimento nell'Unione Europea sia stata mantenuta “a spese di forti restrizioni nelle concessioni di visti per giocatori africani, sudamericani, asiatici o caraibici. Una volta fuori dall'Europa, saremo liberi di trattare allo stesso modo tutte le nazioni e questo allargherà la base di talenti cui attingere per le nostre squadre”.
Nuove regole? – In ogni caso, non è da escludere che la Gran Bretagna decida di seguire l'esempio della Norvegia, rimasta nello Spazio Economico Europeo, o della Svizzera, che ne è uscita ma ha stretto oltre 120 accordi bilaterali. Due nazioni che hanno abbandonato le regole sui permessi di lavoro per gli europei anche rimanendo fuori dall'Unione. E poi, come scrive Gabriele Marcotti su ESPN, “le regole sui permessi di lavoro sono state scritte dal British Home Office insieme alla Football Association, per il bene del calcio inglese. Se all'improvviso il calcio inglese, e soprattutto la Premier League, fossero significativamente penalizzate da queste stesse regole, è facile ipotizzare che potrebbero essere riscritte. Oppure, al massimo, fniremmo per vedere molte più eccezioni”.
L'articolo 19, l'acquisto dei giovani talenti
Under 16 e under 18 – Restano comunque aperte due questioni. Una riguarda l'applicabilità dell'articolo 19 del regolamento FIFA, che limita i trasferimenti a giocatori che abbiano compiuto 18 anni ma consente l'acquisto di calciatori under 16 purché provengano da una delle nazioni dello Spazio Economico Europeo. Un'eccezione che ha permesso all'Arsenal di ingaggiare, negli anni Fabregas, Hector Bellerin e Jon Toral e al Manchester United di assicurarsi le stelline Adnan Januzaj e Timothy Fosu-Mensah. Senza la possibilità di ricorrere all'articolo 19, per le squadre britanniche potrebbe essere più difficile individuare gli otto giocatori vincolati da inserire nelle liste per le competizioni Uefa (almeno quattro devono avere all'attivo almeno tre anni nel vivaio della squadra, fino a quattro possono aver disputato almeno tre stagioni nel vivaio di un altro club della stessa nazione).
Parametro zero – L'altro problema ha a che fare con la sentenza Bosman. I trasferimenti a parametro zero a fine contratto, introdotti dopo la decisione della corte europea nel rispetto della libertà di movimento all'interno dell'UE, saranno ancora possibili verso la Premier League e i campionati britannici? “La risposta a questa domanda, ha scritto l'avvocato Daniel Geey, specializzato nella disciplina dei contratti sportivi, ha scritto che la risposta a questa domanda dipenderà dall'esito delle contrattazioni. In ogni caso, ha aggiunto, “la norma europea potrebbe applicarsi ancora se ci fosse un impatto considerevole per uno Stato membro dell'Unione”, ad esempio nel passaggio di un giocatore da uno dei 27 Paesi Ue all'Inghilterra o viceversa. Ed è comunque improbabile, conclude, anche nell'ambito di trasferimenti all'interno della stessa nazione e dello stesso campionato, che “la FA, la Premier League o il governo vogliano imporre ulteriori restrizioni al libero movimento dei propri cittadini o di lavoratori impiegati nel Regno Unito per ostacolarne il passaggio da una squadra all'altra alla scadenza del contratto”.
Diritti tv, cosa cambia
Lasciare l'Europa, diceva il presidente della Premier League, Richard Scudamore, prima del voto all'Independent, “renderà più difficile per noi proteggere i nostri diritti di proprietà intellettuale. È importante, da un punto di vista economico, mantenere un territorialismo nella commercializzazione dei diritti tv”, venduti l'anno scorso per 5,14 miliardi di sterline, nella sola Inghilterra, per il triennio 2016-2019. “Queste cifre – sottolinea Buraimo – sono chiaramente legate alla qualità dei giocatori attualmente in Premier League. Senza le grandi star europee, il valore dei diritti tv scenderebbe di molto”. E questo potrebbe cambiare il rapporto fra la Lega, interessata a massimizzare il valore del prodotto, e la Federazione inglese che ha come obiettivo il futuro della nazionale. Un maggiore isolamento, la minor presenza di stranieri, potrebbe portare da un lato minori introiti economici per la Premier, a vantaggio di Liga o Bundesliga. E dall'altro, come dimostra il fallimento della Russia che ha imposto restrizioni all'utilizzo di stranieri, un peggioramento dei risultati della nazionale. E sarebbe lo scenario peggiore. Per tutti.
Brexit e Uefa
La Brexit non avrà comunque nessun effetto sulla partecipazione dell'Inghilterra agli Europei o ai Mondiali, e sulla presenza delle squadre inglesi nelle coppe europee. "L'essere uno Stato membro dell'Unione Europea" ha spiegato l'avvocato Maria Patsalos, all'Express, "non è in alcun modo rilevante per l'affiliazione alla UEFA. Per esempio, Svizzera e Russia partecipano all'Europeo in Francia ma non fanno parte dell'UE". Allo stesso modo, non ci potrà essere nessuna limitazione per i club inglesi in Champions e in Europa League. "I campionati europei per nazioni e la Champions rappresentano due delle espressioni più alte dell'identità europea condivisa – ha concluso il professor Raymond Boyle dell'università di Glasgow – ma nessuna delle due dipende dall'appartenenza all'Unione Europea".