Brasile 2014, verso il Mondiale: Hazard, Courtois e la generazione di fenomeni del Belgio
Tu chiamala se vuoi Belgitude. Il termine coniato nel 1976 dallo scrittore Pierre Mertens per certificare l'incompiutezza dell’identità belga, ora rappresenta il rinnovato patriottismo che i Diavoli Rossi hanno scatenato in un paese diviso da sempre. Non a caso nelle Fiandre, dove si è tornati a parlare di indipendenza dopo la vittoria dell'alleanza fiamminga N-Va nel 2012, Jan Peumans, presidente del parlamento regionale fiammingo e esponente dell’N-Va, ha ammesso di aver tifato contro la nazionale. Cavalca l’onda invece Elio Di Rupo, il primo presidente francofono dal 1979 che si è fatto fotografare con i giocatori dopo il decisivo 2-1 alla Croazia. Una vittoria che ha fatto scendere i consensi dell'N-Va al 27%, per la prima volta sotto il 30% dal 2010, e i commentatori hanno apertamente parlato di “effetto Diavoli Rossi”
Il Belgio è di tutti – “Il Belgio è di tutti” ha commentato Vincent Company, il capitano della nazionale, nato a Uccle da genitori congolesi. Nella squadra convivono valloni come Eden Hazard, fenomeno imprescindibile nel Chelsea di Mourinho che può valere 45 milioni di euro, e fiamminghi come Vermaelen e Mertens, il secondo giocatore più pagato nel mercato estivo del Napoli e miglior amico di Strootman. È una nazionale multietnica, piena di immigrati di seconda generazione. Hanno origini congolesi anche Benteke che ha una media di quasi due gol a partita all'Aston Villa, e Lukaku, l'attaccante-prodigio che ha litigato con Mourinho e a 20 anni ha già segnato più di 60 gol da professionista, e soprattutto l'autore della doppietta alla Croazia che ha mandato i Diavoli Rossi in Brasile. Arriva dal Mali Moussa Dembele, spesso titolare al Tottenham, mentre Axel Witsel, uno dei centrocampisti più completi in circolazione, arrivato per 40 milioni allo Zenit San Pietroburgo, è originario della Martinica. C'è poi la colonia marocchina guidata da Marouane Fellaini, un po' naufragato nel centrocampo del Manchester United di Moyes. Ha scelto di giocare per il Belgio anche il “golden boy” Adnan Januzaj, teenager di origini kosovare scelto da Alex Ferguson a 16 anni. Titolare dell'Under 21 di Warren Joyce l'anno scorso, ha debuttato quest'anno in prima squadra e ci ha messo pochissimo a farsi etichettare come il nuovo Giggs. Mancino naturale estremamente creativo, dotato di grande controllo di palla e ottima gamba, è ancora fisicamente un po' leggero, ma è destinato ai grandi palcoscenici. Per questo, per evitare un nuovo caso Pogba, lo United sta cercando di blindarlo, considerato che il suo contratto scade nel 2014.
Il miglior portiere del mondo – Il Belgio è un Paese che produce ottime birre e grandi portieri. Non a caso quest'anno Mignolet, il numero 1 del Liverpool che sarebbe titolare in almeno una ventina delle nazionali in Brasile, sarà solo riserva al Mondiale. Perché in una nazione grande più o meno come la Lombardia è nato il miglior portiere del mondo, Thibaut Courtois: sullo scudetto e la finale di Champions dell'Atletico Madrid ci sono le sue mani, fuor di metafora. Courtois è l'erede di generazioni di portieri che hanno segnato un'epoca, a partire da Jan De Bie, che alle Olimpiadi di Anversa 1920 ha subito solo un gol, su rigore dallo spagnolo Mariano Arrate, e ha dato al Belgio il suo unico trofeo internazionale, a Arnold Badjou, presente alle prime tre edizioni dei Mondiali. Leggende come Robert Braet, per vent'anni monumento del Cercle Brugge, e André “Zaza” Vandeweyer, indimenticabile baluardo della Royale Union Saint-Gilloise imbattuta per 60 partite tra il 9 gennaio 1933 e il 10 febbraio 1935. Icone come Jean-Marie Trappeniers, pluridecorato con l’Anderlecht che nel 1964 fornì tutti gli undici titolari in un match contro l'Olanda, a Christian Piot, il primo portiere goleador che trafisse anche Castellini su rigore in un Italia-Belgio 2-1 a Roma il 26 gennaio 1977. E via fino al baffuto Theo Custers e ai due fuoriclasse Jean-Marie Pfaff e Michel Preud’homme, che hanno segnato il calcio europeo tra gli anni '70 e '90. E pensare che Courtois, figlio di un ex pallavolista, da bambino ha iniziato come terzino sinistro. Poi, dopo essere passato nelle giovanili del Racing Genk, si è offerto volontario per sostituire il portiere titolare durante un torneo in Germania: un universo che si svela.
Generazione di fenomeni – Questa generazione di fenomeni è la nazionale che intriga di più fra le 32 presenti in Brasile. Ha una concentrazione di talento spettacoloso e un'inesperienza assoluta a questo livello. È la squadra che tutti vogliono veder giocare anche se nessuno crede possa vincere. I bookmakers la danno a 100, e non hanno tutti i torti: nessuna nazionale con un'età media sotto i 23 anni ha mai trionfato al Mondiale dal 1962, praticamente dal Pleistocene in termini calcistici. La squadra copertina di Brasile 2014, passata dal 54mo al sesto posto nel ranking Fifa, con la miglior difesa delle qualificazioni insieme alla Spagna (appena 3 gol subiti), è merito di Marc Wilmots, il ct vallone che ha conquistato i fiamminghi. E soprattutto di un anziano signore col doppio mento e i capelli bianchi, Michel Sablon, il direttore tecnico della federazione che dopo Euro 2000 ha riscritto la fisionomia del calcio in Belgio. “Le nazionali giovanili erano messe male. Siamo andati in Francia, in Germania e in Olanda per confrontarci coi loro modelli e poi ci siamo seduti attorno a un tavolo per creare una connessione tra campionato, nazionale e tecnici di base” ha spiegato al Corriere della Sera. “A tutte le squadre abbiamo chiesto di giocare con il 4-3-3 nei settori giovanili: il 95% ci ha seguito. Ci abbiamo messo cinque o sei anni, ma nel 2007 l'Under 17 è arrivata quarta all'Europeo e abbiamo capito che la strada era giusta. La maggior parte dei ragazzi di oggi gioca assieme dall'Olimpiade di Pechino in cui arrivammo quarti. Molti sono dei talenti individuali ma siamo convinti che il nostro sistema li abbia aiutati a crescere". Fino a diventare la nazionale con il più alto valore di mercato dopo il Brasile di Neymar e il Portogallo di Cristiano Ronaldo. “Sentiamo che dietro abbiamo tutto il Paese” sottolinea Vermaelen, “e sappiamo bene che non è sempre stato così”. Era già successo nel 1986, quando il 15% di fiamminghi in più ha dichiarato di sentirsi belga grazie al quarto posto della nazionale in Messico.
1986: inizio stentato – Eppure a quei Mondiali, il Belgio ha fatto di tutto per non partecipare. I Diavoli Rossi arrivano dal secondo posto agli europei del 1980, dalla vittoria sull'Argentina nel match d'esordio al Mundial di Spagna e dalla semifinale sfiorata agli europei di Francia. È una nazionale in salute, con le stelle Jean-Marie Pfaff, Franky Vercauteren, Jan Ceulemans, Enzo Scifo, e in panchina lo stratega Guy Thys. Eppure alla prima partita di qualificazione, perde 2-0 in Albania; all'ultima giornata il Belgio deve vincere in Polonia per andare in Messico. È la prima partita in nazionale dopo quasi due anni per Eric Gerets, squalificato nel 1984 dopo lo scandalo Standard Liegi-Waterschei, un caso di corruzione che riguardava l'ultima partita della stagione 1981-82. Gerets, leader dello Standard Liegi che ha bisogno di una vittoria per conquistare lo scudetto, con l'approvazione dell'amministrazione e del manager della squadra, ha avvicinato diversi giocatori del Waterschei e ha offerto 420 mila franchi perché perdessero considerato che quattro giorni dopo lo Standard avrebbe dovuto giocare la finale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona (un tentativo analogo a quello del Marsiglia di Tapie con i giocatori del Valenciennes alla vigilia della finale di Champions League contro il Milan). Il match in Polonia finisce 0-0 e il Belgio è costretto allo spareggio contro l'Olanda di Leo Beenhakker, di Ruud Gullit, Frank Rijkaard e Marco Van Basten. All'andata, a Parc Astrid, i Diavoli Rossi vincono 1-0 con il gol decisivo di Franky Vercauteren. Ma al ritorno, davanti ai 55 mila spettatori del De Kuip di Rotterdam, l'Olanda si porta 2-0 e sogna la qualificazione fino a 4 minuti dalla fine quando Georges Grun, un difensore, trova il colpo di testa che lo trasforma in un eroe nazionale. I segnali sono positivi: un mese prima del Mondiale, il Belgio vince l'Eurovision song contest con la canzone “J'aime la vie”, un'epifania perfetta per quello che sarebbe successo in Messico. Ma all'esordio trovano i padroni di casa, che cercano riscatto e rivalsa dopo il terremoto di magnitudo 8.1 che ha colpito Città del Messico otto mesi prima. Per loro è più di una partita e, come sottolinea Michael Caine nel film ufficiale del torneo, Hero, le loro preghiere vengono esaudite: il Messico vince 2-1. Con lo stesso punteggio, i Diavoli Rossi superano poi l'Iraq allenato dal brasiliano Evaristo che si difende con tattiche tutt'altro che verdeoro (7 ammoniti e un espulso a fine partita): prima Scifo, poi Claesen su rigore regalano qualche speranza ai belgi. Nell'ultimo incontro, basta il pareggio 2-2 contro il Paraguay per agganciare la qualificazione come una delle migliori terze, destinata a uno degli ottavi di finale più duri, contro l'Unione Sovietica.
Belgio-Urss, un classico – E' una delle migliori partite nella storia dei mondiali. Il Colonnello Lobanovsky ha portato in nazionale sette dei giocatori con cui ha trionfato in Coppa delle Coppe. È uno di loro, Belanov, che rompe l'equilibrio al 27′ con un bellissimo destro incrociato. I sovietici colpiscono un palo in avvio di ripresa, ma Scifo pareggia al 56′. Passa un quarto d'ora e Bielanov riporta in vantaggio l'Urss. Ma ancora una volta il Belgio pareggia con Ceulemans, che però parte in fuorigioco. Una traversa sovietica e la grande parata di Dassaev su Scifo portano il match ai supplementari. E su un micidiale contropiede il Belgio guadagna un corner: Demol stacca meglio di tutti ed è 3-2, poi al 110′ Claesen firma il gol del ko. Inutile la terza rete di Belanov, su rigore, che diventa il terzo giocatore dopo il polacco Ernest Wilimowski nel 1938 e lo svizzero Josef Huegi nel 1954 a segnare una tripletta al Mondiale senza riuscire a vincere la partita.
Sognando la finale – Ai quarti, a dispetto dell'altura e della stanchezza, il calcio pratico e atletico del Belgio mette ko anche la Spagna di Butragueno. I Diavoli Rossi passano in contropiede, su azione Vercauteren-Ceulemans, e subiscono il pari con il tiro da lontano di Senor. Il punteggio non cambia fino alla serie di rigori. Claesen, Scifo, Broos, Vervoort e Vanderelst sono infallibili; il "mostro" Pfaff ipnotizza Eloy e manda il Belgio alla semifinale contro l'Argentina. Maradona ha appena condannato l'Inghilterra con la mano de Dios e il gol del secolo e, contrariamente da Paganini, lui si ripete. Valdano prova a far gol di mano nel primo tempo, ma l'arbitro annulla. Nella ripresa, el Pibe de Oro la vince da solo. Il primo è un lampo accecante: lanciato in corsa sul lato destro dell'area, con un avversario alle costole, inventa un esterno sinistro in corsa al volo che folgora Pfaff. Poi replica lo slalom che ha ammansito i Tre Leoni: parte col pallone incollato al sinistro, beffa in sequenza quattro avversari, arriva al cospetto di Pfaff e lo inchioda con un sinistro sul secondo palo. Tutto il pubblico è per lui, che poi regala una perla, un cioccolatino a Valdano che però alza clamorosamente a porta vuota. Il Belgio finirà quarto, sconfitto dalla Francia nella finale di consolazione, ma ha reso orgogliosa un'intera nazione. Oggi un'altra generazione di talenti spera di fare lo stesso.