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Belgio, stelline opache: Hazard c’è, gli altri no

Il Belgio dimostra di essere un’insieme di singoli. L’Italia vince da squadra. Fuori dai contesti abituali, De Bruyne e Fellaini spariscono. Hazard da solo non basta a inventare per tutti. Lukaku si muove bene, ma gioca quasi da seconda punta.
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La miglior difesa, a volte, è la difesa. E non sempre moltiplicare i giocatori offensivi aumenta il potenziale. Il Belgio ha pagato il suo specchiarsi sterile, la manovra involuta e senza acuti del primo tempo, un gioco ripiegato nelle zone di sicurezza con pochi movimenti senza palla. Hanno giocato "da Belgio", come nelle ultime amichevoli. Si sono arresi a un'Italia che ha giocato da Italia. Con le qualità che sempre ci hanno fatto grandi, la compattezza, la difesa, il contropiede, e per una volta possiamo sentirci di nuovo fieri di chiamarlo così e non cedere alla tentazione di parlar di ripartenze.

Italia solida – La vigilia, accompagnata dal "maniavantismo" di ecuadoriana memoria (chi non ricorda le ore prima dell'esordio al Mondiale nippocoreano) svaporano nell'atteggiamento di una nazionale che, lungi dall'essere perfetta, è forse la più "contiana" di tutte quelle della sua gestione. Una squadra che incarna il meglio di una storia passata ma non troppo, con il peso e l'onore di aver perso soltanto due partite in un girone di primo turno all'Europeo da quando sono stati introdotti, proprio in Italia nel 1980. Anche allora nel gruppo c'era il Belgio, e in campo giocava anche un certo Van Moer cui otto anni prima Bertini aveva rotto una gamba. Storie di un altro calcio, di un'altra epoca. Storie di un'altra Italia, in fondo però non troppo dissimile da questa, che si è presentata a fari spenti, senza ambizioni e senza troppe considerazioni, ma quando il gioco si fa duro dagli abatini di Bearzot ai soldatini di Conte il passo è breve.

I "soldatini" di Conte – Quasi alla fine del primo round di partite, l'Italia rimane l'unica squadra insieme alla Germania ad aver vinto con più di un gol di scarto. E' l'Italia di Giaccherini e di Pellè, una squadra operaia che la partita l'ha decisa in difesa nonostante qualche prevedibile sofferenza in mezzo al campo. E' l'Italia anche di Thiago Motta, entrato per fare quel che gli riesce meglio col suo passo felpato, tenere palla, rallentare, alleggerire una pressione costante quanto si vuole ma pur sempre infruttuosa. Conte ha disciplinato Giaccherini da interno e Candreva sull'ala destra, ha scommesso su Darmian, unica nota un po' stonata in un collettivo che ha funzionato anche meglio di quanto le prove generali avrebbero lasciato presupporre anche al netto degli estremismi tipici di un popolo di santi, navigatori e commissari tecnici.

Ha costruito una squadra con i fedelissimi che non solo ne sanno interpretare meglio, a parer suo ovviamente, l'idea e il piano di gioco. Ha plasmato un gruppo di giocatori che, lungi dalla perfezione tattica, non hanno mai lasciato il compagno da solo, si sono sempre prestati al raddoppio, alla copertura, al sacrificio in nome dell'equilibrio e di un obiettivo comune.

Che difesa – La sontuosa prestazione di Bonucci e la solidità di Chiellini controbilanciano un Barzagli un po' in sofferenza sui cambi di gioco rapidi nelle rare occasioni in cui l'Italia si è fatta trovare scoperta dopo aver perso palla con la difesa alta. Non è certo un'Italia perfetta, a centrocampo abbiamo comunque concesso a lungo l'iniziativa ai Diavoli Rossi e per buona parte del primo tempo la linea mediana si è abbassata troppo nel tentativo di aumentare la densità a ridosso dell'area e sorreggere un Darmian preso in inferiorità numerica sulla fascia. Ma così facendo abbiamo concesso qualche seconda palla facile di troppo e le uniche vere chance al Belgio, comunque sempre dalla distanza.

Lukaku vale così tanto? – Per un'ora, De Bruyne è l'unico dei Diavoli Rossi ad aver avuto la chance di tirare in porta dall'interno dell'area di rigore fino al contropiede innescato dall'errore di Darmian che libera Lukaku sul rapido cambio di fronte dalla destra e convince Conte a sostituirlo con De Sciglio. E' un passaggio isolato, una nuvola passeggera. L'Italia continua a chiudere le linee di passaggio mentre il Belgio si inviluppa in trame che evidenziano i limiti tanto di Fellaini, mobile sì ma lontano dal cuore del gioco, quanto di Hazard, salito di tono ma nemmeno troppo quando Wilmots è passato al 4-2-3-1 e l'ha schierato trequartista centrale dietro Lukaku. L'ingresso anche di Mertens ha dato qualche impulso alla catena di sinistra, grazie alle proposizioni offensive di Vertonghen, ma per cambiare la partita sarebbe servito quel che, di fatto, il Belgio ha dimostrato di non avere.

De Bruyne affonda – Innanzitutto un centravanti, perché Lukaku nel contesto della nazionale ha mancato un'altra grande occasione per confermare di possedere quel potenziale che tutti gli riconoscono. Preso da solo, non si è nemmeno mosso male: ha cercato di dare la profondità, di accorciare per portare Barzagli fuori dall'area e aprire spazi per gli inserimenti. Gli è mancato, fino all'ingresso di Origi, qualcuno con cui dialogare nello stretto. De Bruyne, infatti, si è visto davvero poco e nulla ha fatto per rompere il solido e nemmeno troppo smaccatamente "catenacciaro" schieramento difensivo azzurro. Contro una squadra allineata e coperta, che non ha mai concesso passaggi facili, la pazienza è diventata un limite, la tela del ragno è rimasta solo la prima fase incompiuta di un piano tattico consegnato al cassetto delle intenzioni non realizzate.

Troppi tocchi, una circolazione di palla statica e inserimenti senza palla limitati nel traffico hanno agevolato la prestazione del pacchetto arretrato del blocco Juve. Certo, saranno anche abituati ai ritmi forsennati della Premier League e un calcio di foga e di corsa, ma quando c'è da pensare oltre che da scattare, quando c'è da costruire lo scacco prima dello scatto, qualcosa nel Belgio si inceppa e la Golden Generation smette di brillare di vita propria.

Witsel non si vede – Nemmeno Witsel, annegato in una prestazione anonima, ha dimostrato di avere il fisico che basta a sostenere le ambizioni e il centrocampo del Belgio. Ancor di più in un secondo tempo che avrebbe dovuto essere all'arma bianca ma che ha finito solo per far luccicare d'orgoglio e sudore le maglie, oggi bianche, degli azzurri. Troppo improvvisata, raffazzonata, evidentemente figlia delle contingenze, la linea mediana Fellaini-Witsel dell'ultima mezz'ora, che ricorda certe soluzioni sbruffone del più degenere Real Madrid dei Galacticos, quelle accoppiate Guti-Beckham alle spalle dei tre tenori e di Raul in grado di mettere soggezione alla lettura delle formazioni ma non di garantire l'equilibrio necessario per vincere.

Insieme di singoli – Il Belgio, insomma, ha dimostrato di avere un buonissimo undici di partenza, ma non una rosa all'altezza dell'Italia. E soprattutto di somigliare un po' alla Ferrari 2015 e non solo per affinità cromatica. Di essere cioè una squadra che ha bisogno di un range di situazioni e di fattori molto preciso e ristretto per rendere al meglio. E basta una squadra solida e determinata, con pochi grandi campioni ma con lo spirito delle grandi occasioni, per insabbiare l'ingranaggio. La prima operazione "Behind the enemy lines" del Conte pronto all'addio ma non alla bandiera bianca è perfettamente riuscita. L'Italia è promossa. Venerdì, Ibra sarà il nostro esame di maturità.

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