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Argentina, 30 anni fa il trionfo mondiale di Maradona. Messi? Sempre più Pulce

I campioni hanno paura di perdere, gli altri hanno paura di vincere. Il 29 giugno di trent’anni fa, infatti, Maradona portava l’Argentina sul tetto del mondo. Rispetto al Pibe de Oro, Messi che sbaglia il rigore in finale e lascia perché non riesce a vincere è sempre più Pulce.
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Giocano con la stessa maglia, Maradona e Messi. Hanno lo stesso numero, il Diez, il numero del calcio. Ma in quel 10 passa tutta la differenza del mondo. Uno come le coppe del mondo del Pibe de Oro. Zero come i titoli della Pulce, che mai come nel confronto col suo predecessore più illustre rivela il lato oscuro di quel soprannome, della piccolezza che lo coglie in Nazionale tanto da convincerlo ad abbandonarla dopo tre finali perse in quattro anni. E in questo crudele incrocio di destini, è tanto più illuminante che il rigore sbagliato contro il Cile sia arrivato pochi giorni del trentennale del capolavoro del Pibe de Oro. Il 29 giugno di 30 anni fa, Maradona vinceva quasi da solo la Coppa del Mondo, con la Mano de Dios, il gol del secolo e l'assist al bacio per Buruchaga nel gol che vale il titolo. Di fronte c'era la Germania, lo stesso avversario che due anni fa spense i sogni brasiliani della Pulce. E iniziò, di fatto, la caccia verso un nuovo erede di Maradona in albiceleste.

I numeri – A sedici anni dal capolavoro di Pelè all'Azteca, Maradona entra, fra gol e assist, in 10 dei 14 gol dell'Albiceleste al Mundial. Qui sì che il Pibe de Oro è meglio di Pelè, che nel 1970 ha servito più passaggi vincenti ma ha contribuito “solo” al 53% delle reti del Brasile più scintillante di sempre. Fa meglio di Paolo Rossi a Spagna '82, difende un primato che sarà migliorato solo da David Villa, stella operaia delle Furie Rosse a Sudafrica 2010. Èun Mondiale che inizia sotto una buona stella per Maradona, che contro la Bulgaria diventa l'ottavo argentino, il secondo più giovane, a toccare le 50 presenze in Nazionale dopo Rene Houseman, Ruben Gallego, Alberto Tarantini, Daniel Passarella, Osvaldo Ardiles, Jorge Olguin e Ubaldo Fillol.

La 10 – Naturalmente, non c'è regola che tenga quando si tratta di Maradona. L'Argentina, infatti, assegnava i numeri di maglia in ordine alfabetico: Sergio Almiron diventa il terzo giocatore di movimento, in tre edizioni, a giocare con la 1 dopo Norberto Alonso e Ardiles. È lo stesso principio dell'Olanda del calcio totale, motivo per cui Jongbloed, il portiere-tabaccaio, parava col numero 8. Ma come nella Clockwork Orange Crujff manteneva la 14, Maradona si tiene la 10 e non è la sola eccezione fra i 23 di Bilardo. Passarella non si stacca dalla 6 e Jorge Valdano conserva la 11. Ed è proprio Valdano, l'uomo che si aspettava il passaggio di Maradona che invece si avvia a firmare il gol del secolo, a godere più di tutti della vicinanza del Pibe de Oro. Segna infatti 4 gol in quel Mondiale, uno in più di quelli che firmerà in tutte le altre 16 presenze con l'Albiceleste.

Filosofia – Maradona, infatti, non vince nonostante i suoi compagni. Si esalta e li esalta, li rende migliori e si staglia sopra tutti, avversari compresi. È uno dei sette giocatori impegnati all'estero nella rosa dei 23, che Bilardo visitava regolarmente. Ma dopo l'espulsione contro l'Italia di Gentile di quattro anni prima e le due difficili stagioni al Barcellona, non tutti hanno capito e gradito la scelta del tecnico di affidargli la fascia di capitano e toglierla a Passarella, leader del trionfo casalingo del 1978. Bilardo costruisce la squadra intorno a Maradona, e il Pibe de Oro dà il meglio, staccato da ogni ristrettezza tattica. Per tutti gli altri, invece, le istruzioni sono precise, tassative, soprattutto per i difensori e i centrocampisti che devono dominare gli avversari e consentire a Maradona di giocare con la libertà necessaria per illuminare la scena. «Non eravamo abituati a quel modo così tattico di pensare il calcio – dirà Burruchaga -, Bilardo si preoccupava per prima cosa di non prendere gol».

La difesa – Per questo, c'è in porta Ney Pumpido, che ha appena vinto la Libertadores al River Plate, e in difesa domina l'altro “millonario”, Oscar Ruggeri (97 presenze in carriera in Nazionale), nel 3-5-2 con José Luis Cuciuffo, che spesso parte palla al piede, e José Luis Brown, libero dalla sviluppatissima intelligenza tattica.

Centrocampo – In finale, Bilardo non smonta il trio di centrocampisti che devono proteggere Maradona: Sergio Batista, Héctor Enrique e Burruchaga. A destra c'è Giusti, quinto a sinistra è Julio Olarticoechea, l'esterno allora al Boca Juniors: è l'ultimo dei selezionati per il Mondiale del Messico, sarà l'argentino con il cognome più lungo di sempre a vincerlo e batterà anche il record di Zagallo per il maggior numero di partite di fila senza sconfitte giocate in Coppa Del Mondo. “Il Vasco” sta andando a Saladillo, con moglie e figlia, quando si vede arrivare Bilardo all'uscita del casello sulla sua vecchia Ford Fairlane. Bilardo prende un pezzo d'argilla trovato per terra e su una parete si mette a disegnare un campo. Improvvisa un discorso tattico, con la famiglia del vasco che intanto aspetta in macchina. “Voglio che tu venga al mondiale perché mi serve che tu giochi qui” da esterno sinistro nel 3-5-2. Quando dirà di sì, nascerà l'Argentina campione del mondo. Da lì il Vasco servirà l'assist a Maradona che andrà a segnare “un po' con la testa, un po' con la mano de Dios”.

La finale – Ci sono 114.600 spettatori all'Azteca: è il pubblico più numeroso di sempre per una finale Mondiale (erano in 173.850 per il Maracanazo del 1950 ma non si trattava di una finale, solo dell'ultima partita del girone unico). Beckenbauer soffoca Maradona, gli piazza Matthäus a uomo. Ma in un'edizione segnata tanto dagli errori dei portieri quanto dalle prodezze degli attaccanti, Schumacher esce a vuoto sulla punizione di Burruchaga, Brown salta di testa e segna il suo primo gol in Nazionale. All'intervallo Beckenbauer toglie Allofs per il più tecnico Völler, ma l'Argentina è sempre più libera. Valdano parte dalla sua trequarti e appoggia per Maradona. Diego smista verso Enrique che riapre a sinistra per Valdano: il contropiede perfetto su chiude con il perfetto piatto del 2-0. “Ricordo di aver guardato verso le tribune e di aver pensato: siamo campioni del mondo – ha detto Valdano al sito della FIFA –. Ma dimenticavo un piccolo dettaglio: stavamo giocando contro i tedeschi”.

Rimonta – C'è anche un altro dettaglio. Al 51′ Brown si fa male, ha una spalla slogata ma resta fuori dal campo solo 28 secondi. “Il dolore era indescrivibile – ha spiegato, come riporta il sito della FIFA – ma ho detto al medico della squadra senza mezzi termini: ‘Non pensare nemmeno di tirarmi fuori'”. Fa un buco nella maglia e ci incastra un dito. Beckenbauer, che sa bene cosa voglia dire giocare una partita nel Mondiale con un braccio al collo, ci crede. “Bilardo dice che i giocatori solo da morti si levano dal campo” scrive Gianni Mura su Repubblica. “Così Brown è rimasto, così la Germania ha pareggiato in meno di dieci minuti, con carambole di testa su due calci d'angolo battuti dalla sinistra da Brehme”. Segnano prima Rummenigge, su sponda di Voller, poi il futuro simbolo della Roma sul pallone prolungato da Berthold, che sarà suo compagno di squadra all'Olimpico.

Il trionfo – La Germania però non arretra, anzi preme ancora di più. È un errore fatale. Maradona ha spazio a centrocampo e illumina Burruchaga che vola sulla destra. È un uomo solo in fuga, Briegel non lo prende più e l'uscita di Schumacher risulta tanto tardiva quanto inutile. È il gol del trionfo. “Ricordo che sono caduto in ginocchio e ho alzato le braccia al cielo – ha ricordato Burruchaga -. Ero esausto, e ho visto davanti a me Brown anche lui in ginocchio, in estasi. Con quella barba lunga, sembrava che Gesù fosse apparso per dirci che eravamo destinati a diventare campioni del mondo”. Così il riassunto è in quello striscione, Perdon Bilardo, che campeggia sulle tribune. Quel Mundial, scrive ancora Mura, “l'ha vinto Bilardo fuori dal campo e, in campo, Maradona in nome e per conto dell'Argentina”.

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