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Ancelotti si sente napoletano e tifa Inter: “Mi hanno regalato la maglia nerazzurra a 6 anni”

L’allenatore del Napoli ha raccontato un retroscena legato alla sua infanzia, e al suo feeling con i colori nerazzurri: “La prima volta che ho visto l’Inter era il 1970, vennero a giocare a Mantova e mio papà mi portò ma non abbiamo trovato il biglietto. Mi sono messo davanti ad una porta dello stadio e ho cominciato a piangere a dirotto e alla fine mi hanno fatto entrare”
A cura di Marco Beltrami
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E' un Carlo Ancelotti inedito quello che si è raccontato sulle colonne della Gazzetta dello Sport. Tanti i retroscena sul suo passato, compresi quelli relativi all'affetto per l'Inter in giovanissima età, o alla crescita grazie ai maestri Liedholm e Ancelotti dai quali ha imparato a gestire lo spogliatoio, all'insegna della serenità e dell'organizzazione. Fino al suo splendido presente al Napoli, una squadra e una città in cui vorrebbe restare a lungo.

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Ancelotti e il retroscena sulla sua passione per l'Inter da bambino

Sulla "rosea" Ancelotti è partito da lontano, da quando in tenera età seguiva con grande trasporto l'Inter. Una squadra che oltre a non aver mai allenato ha poi affrontato tantissime volte da avversario sia da calciatore che da allenatore. Ecco il retroscena sul suo feeling con i nerazzurri: "Mio cugino, che era andato a lavorare a Milano dal paese, mi aveva portato la maglia dell'Inter quando avevo sei anni. La prima volta che ho visto l'Inter era il 1970, vennero a giocare a Mantova e mio papà mi portò ma non abbiamo trovato il biglietto. Mi disse "Torniamo a casa" e io "Ma che torniamo a casa! Stiamo qua". Mi sono messo davanti ad una porta dello stadio e ho cominciato a piangere a dirotto. Avevo undici anni e alla fine del primo tempo un custode mi ha detto "Se smetti ti faccio entrare". In quella partita l'Inter vinse 6 a 1, ma erano 0-0 al 45′. Mi sono visto tutti i gol. Mio papà mi aspettava fuori".

L'esordio di Ancelotti con la maglia della Roma

La passione per il calcio si è trasformata in una professione per Carletto che dopo l'esperienza al Parma nel 1979 è approdato alla Roma di Liedholm. Impossibile dimenticare il suo esordio in giallorosso: "Liedholm, appena arrivato, mi fa giocare. Dopo un minuto Bruno Conti va al cross da sinistra, mette la palla sul secondo palo, io sono dentro l' area, Pruzzo la schiaccia. Albertosi la para e la mette lì, ad un metro da me. Mi sono detto "Adesso faccio gol". Era un minuto che giocavo. Ho pensato, lucidamente: "Vado sotto la curva, mi tolgo la maglietta e mi butto per terra". Tiro in porta e Albertosi, nel tirarsi su, la prende con la testa e la butta fuori. Quella partita è finita 0 a 0. Una vergogna".

La serenità di Ancelotti ereditata dal papà e da Nils Liedholm

Proprio da Nils Liedholm, Ancelotti ha imparato tanto. In primis la serenità, che il tecnico di Reggiolo ha ereditato in parte dal papà: "Mio padre era un contadino, sapeva dominare le conseguenze delle gelate sul raccolto e io sono cresciuto guardando il suo rapporto con la terra, le stagioni, gli animali. Liedholm? L'opposto dello stress una volta al Flaminio i tifosi della Lazio ci hanno ammazzato di botte, ci tiravano le pigne sul pullman. Noi eravamo per terra sanguinanti, lui è salito sul pullman e ha detto: "Ragazzi tutto bene? Cosa succede?". Da lui ho imparato la serenità. L'arrabbiatura che fa più effetto è sicuramente quella che viene dall'emozione, che non è controllabile. Poi c'è quella che viene dalla testa, quindi controllata. Un altro episodio? Una volta eravamo in ritiro a Brunico e un tifoso la mattina, con attitudine da delatore, spiffera indignato al mister che c' erano stati giocatori al bar fino all'una di notte. Lui lo guarda e dice: Strano, ho detto a tutti di rientrare alle due”.

Il segreto di Ancelotti, ecco come gestire lo stress

Ecco allora un modo di vivere il calcio, senza eccessi di stress. Come? Anche grazie all'organizzazione, con Ancelotti che ha citato a tal proposito un altro suo ex allenatore, ovvero Arrigo Sacchi: "Lo stress, se gestito, è una risorsa. Ne è certo, Ancelotti: C'è la partita che sento di più e quella che sento di meno – racconta – lo stress ci deve essere, ma va gestito e controllato. Un allenatore deve anche avere la possibilità di staccare, di pensare ad altro. Non puoi dedicare 24 ore del tuo tempo alla partita, ti devi prendere il tuo tempo. Io me lo prendo. Quando vado a casa non è che sto a rimuginare sulle tattiche. Sacchi ha innovato non solo il gioco, portando il pressing, ma soprattutto l'organizzazione, la metodologia del lavoro, però non immagino due persone più diverse di lui e Liedholm".

Ancelotti stregato dal Napoli e da Napoli

E a Napoli, Ancelotti ha trovato una piazza ideale. Il tecnico ha speso parole d'amore per la città partenopea, sovvertendo alcuni luoghi comuni: "Tutti pensano che Napoli sia sempre un grande, esuberante, putiferio. Non è così. A me piace frequentare la città, vado per strada, nei ristoranti e nessuno mi ha mai disturbato, sono molto rispettosi. Forse perché mi vedono un po' vecchio. Mi piace l' atmosfera che si vive qui, l' ambiente. Napoli accoglie, non respinge". L'impatto con la squadra poi è stato sin da subito positivo con grande disponibilità nei confronti del tecnico: "Sacchi diceva che ci sono due modi di convincere le persone: per persuasione o per percussione. Io preferisco la persuasione. Non faccio mai una cosa se i giocatori non sono convinti di farla. La prima volta che sono venuto qui – ricorda Ancelotti – ho parlato con la società, ho cercato di capire i loro progetti. La squadra già la conoscevo e mi piaceva. Dopo, piano piano, ho iniziato il processo senza stravolgere quello che già facevano molto bene con Sarri. Il Napoli è una squadra che per tre anni ha fatto un determinato e rigoroso lavoro e questo bagaglio si riconosce molto bene a livello di sapienza tattica: i ragazzi sono molto bravi. Dopo, piano piano, cerchiamo insieme di modificare il sistema di gioco

La sfida alla Juventus e la possibilità di restare a lungo al Napoli

E chissà che l'avventura di Ancelotti al Napoli non duri a lungo. C'è la sua volontà di aprire un ciclo, per il tecnico che ne ha approfittato per elogiare i suoi ragazzi: "A lungo al Napoli? Mi piacerebbe molto. Forse qui ci sono le caratteristiche adatte. Ne sono convinto. Allan, Fabiàn Ruiz, Hamsik, Diawara, Zielinski, Ounas. Sei centrocampisti di alto livello. Poi abbiamo Koulibaly, uno dei migliori difensori del mondo con Sergio Ramos e Varane. Questa squadra ha tante potenzialità e lo ha dimostrato nel girone di Champions, che era difficilissimo: dobbiamo lavorare sempre a ritmo alto". La sfida con la Juventus dunque è viva, anche se se Ancelotti è consapevole del valore degli avversari: "No, è molto forte, molto continua, però inarrivabile no. Nella mia esperienza di calcio non ho ancora trovato squadre imbattibili. Certo, per stare al passo con la Juve, devi fare miracoli".

Ancelotti e i cori offensivi negli stadi

In conclusione una battuta sul malcostume dei cori offensivi negli stadi. Ancelotti spera che la musica cambi: "Il calcio dovrebbe essere un gioco. Ma per questo Paese è un diversivo. A Napoli rappresenta anche una rivalsa, una sorta di riscatto dal senso di abbandono che questa città ha legittimamente introiettato nei secoli. Per me rimane un gioco. Bello, emozionante. Ancora mi diverto, ancora lo faccio con passione. Io non voglio fare un discorso solo sul Napoli voglio parlare degli stadi italiani e della lotta contro ogni intolleranza. Una cosa sono i cori e gli striscioni divertenti, altro le manifestazioni di odio e la demonizzazione di città, colori della pelle, appartenenze etniche o religiose. E' un malcostume che deve finire. Se ci sono quei cori si devono attuare delle procedure: la segnalazione del capitano all'arbitro, l' annuncio con gli altoparlanti e, se nulla serve, la sospensione della partita. Serve far capire che si fa sul serio, che non si finge di essere sordi".

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