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Almeyda, anima e vita: dalle flebo al Parma alla “combine” sullo Scudetto della Roma

Nella sua autobiografia, Matías Almeyda rivela dei retroscena sconcertanti sulla sua carriera calcistica italiana. Le rivelazioni dell’argentino alzano una coltre di nube sullo Scudetto giallorosso del 2001 e sulle pratiche mediche adottate al Parma.
A cura di Adriana De Maio
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almeyda: combine tra roma e parma

La trama è perfetta, gli ingredienti ci sono tutti: dal coma etilico alle ingerenze degli ultrà, dallo pseudo doping all'ombra di presunte combine. Sembra il canovaccio di un libro sull'anti-calcio, invece è l'autobiografia di Matías Almeyda in cui l'ex giocatore porta alla luce alcuni retroscena del suo passato calcistico che palesano "realtà" sconcertanti. In Almeyda, anima e vita l'ex giocatore di Inter, Lazio e Parma ripercorre le tappe salienti della sua carriera, raccontando della sua vita sregolata fuori dal campo e del periodo di depressione. Ma non solo, l'attuale allenatore del River Plate ricorda aneddoti "oscuri" sui suoi trascorsi in Serie A, in particolare negli anni in cui ha indossato le casacche dei ducali e dei nerazzurri . Almeyda è un fiume in piena e ne ha per tutti.

Le flebo "energizzanti" al Parma, le minacce mafiose e lo scontro con gli ultrà– L'ex giocatore argentino, dopo gli anni d'oro alla Lazio in cui illuminava il centrocampo bianconceleste con i connazionali Veron e Simeone, gioca tra le fila del Parma dal 2000 al 2002. In riferimento all'esperienza emiliana, nella sua autobiografia (così come riportano diverse testate italiane) Almeyda racconta di iniezioni sospette prima delle gare.

Al Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato"

Sempre durante la sua avventura col Parma, Almeyda racconta di aver avuto delle incomprensioni con gli ultrà giallobù a causa di un'occhiataccia di sfida che il centrocampista aveva rivolto verso gli spalti. "Una volta al Parma ho lasciato lo stadio nel baule della macchina dei miei suoceri. C’erano 20 ultrà che mi aspettavano per un gestaccio che avevo fatto". Dalle ingerenze degli ultrà alle minacce mafiose ricevute dopo aver avuto disguidi con la società e la famiglia Tanzi.

Dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all'interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c'era una manata sulla parete, fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale 2002 a Parma non sono più tornato"

La presunta combine in Roma-Parma nell'anno dello Scudetto giallorosso del 2001– L'ombra del sospetto è pesante ed ingombrante. Sempre nel libro, Almeyda ricorda un antefatto di Roma-Parma 3-1, la gara conclusiva del campionato 2000/2001 in cui i giallorossi vinsero lo Scudetto:

Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Non lo so. Loro lo definivano un favore."

Coma etilico e depressione negli anni nerazzurri – Dal 2002 al 2004, l'attuale allenatore del River gioca con l'Inter, ma per lui sono anni neri più che nerazzurri. E' la fase calante della sua carriera ed Almeyda si concede troppo "lussi" extra calcistici: "Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come se fosse Coca Cola, e sono finito in una specie di coma etilico". L'alcol, però, era solo l'ultimo dei suoi problemi, il suo nemico numero uno era la depressione:

Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono".

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