Allegri: “Cinque o sei anni e smetto di allenare. Però la Nazionale m’interessa”
Cinque o sei anni al massimo, poi smetterà di allenare e si dedicherà ad altro. Magari, Massimiliano Allegri non sarà più sulla panchina di una squadra di club ma per quella della Nazionale farebbe volentieri un'eccezione. Nell'intervista a GQ il tecnico della Juventus spiega cosa può spingerlo a mettere da parte lavagne tattiche e taccuini che già adesso ama poco perché dice "non devo star lì a vedere video per ore e ore. Guardo quello che devo guardare e in un quarto d'ora capisco quello che posso capire".
Finché mi diverto ad andare in campo e insegnare io continuo, ma nel momento in cui non mi divertirò più smetterò, e avrò risolto il problema. A me piace vedere i giocatori crescere, mi piace far debuttare i ragazzini e vederli diventare grandi. A me piace insegnare. Alla fine dell'anno mi piace vedere dei giocatori che sono migliorati, per me è una soddisfazione enorme. Nel momento in cui smetto di sentire questa magia, non ha più senso che alleni.
Il futuro è Azzurro? Per adesso Allegri è assorbito dalla Juventus e da una sfida: riuscire ad arrivare sul tetto d'Europa, provarci per la terza volta dopo aver mancato il bersaglio grosso d'un soffio prima a Berlino nel 2015 e poi a Cardiff a giugno scorso. E se arriva una chiamata dalla Federcalcio tutto può cambiare.
La Nazionale è un'altra cosa. E' un motivo d'orgoglio. E ti dico anche che la Nazionale italiana dei nati tra il 1992 e il 2000 ha due generazioni di giocatori molto bravi. Sarà una Nazionale forte, nei prossimi anni.
Vincere la Champions. Compiere un'impresa del genere equivarrebbe a raggiungere l'apoteosi di un percorso iniziato con l'addio di Conte e proseguito stabilendo la supremazia in Italia. Barcellona e Real Madrid gli scogli contro i quali s'arenata la sua Juventus giunta al momento clou della stagione
La rosa è migliorata, e non era facile – ha aggiunto Allegri -. Le finali si perdono e si vincono, è sempre stato così, e così sarà anche per la Juventus. Lo dico anche ai giocatori, perché per fare grandi cose, col talento che hanno, gli ci vuole solo l'incoscienza. Di fenomeni nel mondo del calcio continua a essercene solo uno, o due, com'era prima, per ogni generazione. La differenza è che ora ci sono tanti più soldi e tante più squadre con diversi giocatori forti. Vincere la Champions ora non è come vincerla trent'anni fa.