Alla conquista dell’Europa: la Spagna e il fenomeno Siviglia
Un fatturato in crescita graduale ma costante. Un modello di business basato sulle plusvalenze. Così il Siviglia è diventato uno dei club più sani di Spagna e ha monopolizzato l'Europa League. Nel 2000 i Rojiblancos erano in seconda divisione e alle prese con la crisi economica. Da allora hanno azzerato debiti e prestiti bancari, hanno giocato 14 finali in 10 anni e hanno alzato nove trofei. L'anno scorso hanno superato per la prima volta il fatturato del Valencia, toccando i 125,8 milioni di euro. E l'aumento è destinato a continuare.
Quanto vale l'EL – Il titolo europeo, infatti, porta nelle casse del club una buona cinquantina di milioni. Il Siviglia è arrivato in Europa League attraverso la Champions, forte dei 3 milioni totali di premi per le vittorie contro Juventus e Borussia Moenchengladbach: se avesse vinto tutte le sei partite del girone di Europa League avrebbe incassato decisamente meno (2,16 milioni). Il cammino nella seconda competizione continentale, poi, frutta altri 9,75 milioni (750mila euro per il passaggio ai sedicesimi, 1 milione per i quarti di finale, 1,5 per la semifinale e 6,5 per la vittoria finale), più il market pool che l'anno scorso ha garantito 9,8 milioni e quest'anno dovrebbe salire ancora. Il titolo, poi, permetterà agli andalusi di giocare anche la prossima Champions League, che vale almeno altri 12 milioni e la Supercoppa Europea contro Real o Atletico, per altri 3 milioni di base, 4 in caso di nuovo titolo a dieci anni di distanza dal primo, contro il Barcellona.
Plusvalenze – I margini di crescita viaggiano in due direzioni. Da una parte, i ricavi commerciali, saliti a 11,66 milioni nell'ultimo bilancio anche se il club non ha ancora un adeguato sponsor di maglia. Dall'altra, le plusvalenze da calciomercato, il principale modello di business che permetterà, si legge nella relazione di bilancio, “di mantenere la sostenibilità dei livelli di costo della prima squadra. Plusvalenze che hanno generato 250 milioni nelle ultime 11 stagioni, anni in cui il Siviglia ha smontato e ricostruito la squadra senza perdere il valore: è questo il vero miracolo dietro il miracolo Emery. E come in molti casi, l'uomo chiave di questo processo è l'eminenza grigia, il direttore sportivo Ramón Rodríguez Verdejo, per tutti Monchi, secondo portiere del Siviglia all'epoca dell'arrivo di Diego Armando Maradona.
Da Bacca a Kondogbia – Monchi ha rivenduto Caceres a 9 milioni, Fazio a 10 milioni, Keita a 14. In estate ha ceduto per 17 milioni al Barcellona Vidal, comprato a 3. Ha realizzato 55 milioni dalle cessioni dei canterani Sergio Ramos e Alberto Moreno. Ha scovato per 1,8 milioni l'uomo che ha deciso la finale, Koke. Certo, ha lasciato andare Perotti al Genoa e non ha rinnovato il contratto di Banega. Ma tutto questo svapora di fronte ai 100 milioni che ha portato con le cinque principali operazioni della sua gestione. Ha venduto Dani Alves per 36 milioni e l'aveva preso a 500 mila euro dal Bahia. Ha generato 23 milioni di plusvalenza dalla vendita di Bacca, 16 dalla cessione di Rakitic e dieci dal passaggio di Medel al Cardiff. C'è anche Geoffrey Kondogbia, preso dal Lens a 4 milioni e rivenduto al Monaco a 20. Ma il trasferimento del francese ora all'Inter racconta anche il lato oscuro del calcio da esportazione del Siviglia: le relazioni “pericolose” con il fondo Doyen, per cui il club ha pagato una multa da 50 mila euro l'estate scorsa.
Siviglia e Doyen – Era ancora l'epoca del presidente Del Nido, finito poi in carcere per frode, malversazione e abuso di potere in concorso con l'ex sindaco di Marbella perché tra maggio 2001 e dicembre 2002, attraverso la società Fergocon, avrebbe provocato danni al comune per 1,7 milioni di euro. Il passaggio di Kondogbia, come rivelano gli accordi resi pubblici da Football Leaks, non costa nulla alla società: i 3 milioni più diritti di formazione e meccanismi di solidarietà, vengono direttamente anticipati dalla TPI, che però si assicura il 50% dei diritti del giocatore. Kondogbia firma un contratto quinquennale a ingaggi crescenti: 350 mila euro nelle prime due, 400 mila nella terza, 450 mila nella quarta, 500 mila nell'ultima. Ma c'è una clausola: il club ha l'obbligo di venderlo in presenza di un'offerta superiore ai 6 milioni. Così, quando viene depositata la clausola di rescissione del giocatore, dei 20 milioni pagati dal Monaco, il club ne intasca solo 8,5: gli altri 11,5 vengono girati al fondo Doyen, che nel 2012 garantisce anche un prestito personale di 500 mila euro all'allora presidente Del Nido.
Il modello Monchi – Legami o no, i soldi devi anche saperli spendere. E Monchi sa come scegliere i giocatori giusti per ricreare il giocattolo di successo ogni anno. Ha una rete di sedici osservatori che monitorano diversi campionati e per i primi cinque mesi della stagione accumulano dati. Ogni mese definiscono la formazione ideale di quel campionato, poi si concentrano su quei calciatori che si sono fatti notare stabilmente in casa, fuori, nelle gare internazionali in modo da costruire il profilo più ampio possibile. Genera così una matrice di centinaia di nomi, ruolo per ruolo, da cui poi estrarre i nomi degli atleti con le caratteristiche richieste dal tecnico. Monchi sa che deve darsi e dare delle alternative. Non può competere, nella trattativa con un giocatore, con l'appeal di un top club europeo. Ma, ha detto al Guardian, “io vendo la città, vendo un club serio che paga quando e quanto promesso, che sembra banale ma non lo è”. Solo così si vince. E vincere aiuta a vincere, anche fuori dal campo. “Abbiamo creato un ambiente che aiuta i giocatori a crescere e a migliorare” ha detto. “Dopo la semifinale, sono andato negli spogliatoi e Rami, che aveva giocato a Lille, al Valencia e al Milan, mi ha abbracciato e mi ha detto: Non so che c'è di speciale in questa squadra, ma non avevo mai giocato una finale prima, e nel mio primo anno qui ne giocherò tre”. Eccolo, il segreto. “Bisogna saper vincere, altrimenti sei un negozio. Nessun tifoso esporrà mai uno striscione con su scritto: ‘Grazie per il meraviglioso bilancio in attivo'”.
Effetto Liga – I successi del Siviglia, e il secondo derby di Madrid in finale di Champions in tre anni, rappresentano la punta di un sistema che nell'ultimo biennio sta creando valore anche al di là delle eccezioni Barcellona e Real. Ancora nel 2013-14, infatti, la quasi totalità degli 1.9 miliardi di euro di ricavi della Liga dipendevano dalle due superpotenze, anche se la vittoria del Siviglia in Europa League contribuiva al +4% nei ricavi da diritti audiovisivi, aumentati soprattutto in virtù della distribuzione Uefa. L'anno scorso, invece, lo scenario è cambiato piuttosto radicalmente. I ricavi hanno sfiorato i 2 miliardi e mezzo (2,42), portando l'utile complessivo nell'ultimo lustro a 183,4 milioni. I ricavi televisivi restano la principale voce nelle entrate della Liga (785,9 milioni), che dalla prossima stagione passerà alla contrattazione collettiva. Dietro, ma in calo, i ricavi da stadio (587,3 milioni): Real e Barcellona rimangono seconda e terza in Europa per introiti da botteghino, con 129,8 e 116,9 milioni rispettivamente. L’Atletico si ferma invece a 37,2, ma sarebbe comunque la seconda squadra per ricavi da stadio in Ligue 1 e in Serie A. La Liga si conferma un campionato da esportazione, con il record di 337,4 milioni derivanti da operazioni di mercato. E diventa più sano e più bilanciato. Mentre il debito con lo Stato si riduce di oltre il 60% rispetto al 2012, la redditività complessiva delle squadre aumenta: escludendo Real e Barcellona, gli altri club della Liga infatti sono passati in un anno da una situazione complessiva di deficit a un profitto cumulato di 109 milioni di euro. Se la Spagna domina l'Europa, dunque, c'è un perché.