A Napoli Mazzarri può sorridere
A Napoli Mazzarri può sorridere. Guadagna quanto Allegri del Milan e un po' meno di Conte della Juventus ma uno scudetto non l'ha vinto ancora e la Champions l'ha appena assaggiata. Nella speciale classifica degli allenatori italiani è secondo: ha un contratto biennale (in scadenza) che lo lega al Napoli per 2.5 milioni di euro (il collega juventino ne percepisce 3). Accordo sontuoso per chi, come lui, vuol tenersi le mani libere e decidere a fine stagione se concedersi il lusso di godersi un po' di riposo oppure tentare, fin d'ora, abboccamenti con qualche altro club. Per la serie: sono sul mercato. Se qualcuno mi vuole, parliamone. Legittima la necessità dell'uomo, sottoposto a stress emotivo prolungato, di staccare la spina per rigenerarsi dopo anni passati in trincea a bordo campo.
Chi se ne va che male fa. Altrettanto giusto che immagini il proprio futuro altrove. Questione di stimoli, ne ha tutto il diritto. E anche se non fa piacere sentirsi messi in disparte rispetto ad altri, è così che va la vita. Ci provò anche di recente, quando sulla bocca di mezza Italia pallonara (l'altra metà, quella dietro le quinte, ne conosceva già i dettagli) c'era la notizia di un suo possibile passaggio alla Signora, che aveva bisogno di riscattarsi dopo il disastro dell'era Delneri. Anche allora ci fu la manfrina odierna, solo che cominciò più tardi. L'affare andò a monte: Conte a guidare un branco di zebre, lui sempre in groppa a un ciuccio. Il terzo posto in campionato e la musichetta della Champions, però, ne solleticarono orgoglio e fantasia al punto da sostenere che "i successi del Napoli sono il simbolo del riscatto sociale della città". Storiella che si raccontava a margine delle prodezze di Maradona, della sua mano de Dios e che ha fatto solo la fortuna delle bancarelle. Lui, il Mourinho dei poveri, che si assimila a Guardiola per l'intensità del lavoro, sostiene che le qualità e i risultati di un tecnico vanno commisurati alle potenzialità della rosa a disposizione. A Napoli si dice "friggere il pesce con l'acqua", una delle tante sfumature dell'arte di arrangiarsi.
Riconoscenza reciproca. E Mazzarri, a giudicare da quanto fatto all'Acireale, al Bologna, alla Pistoiese, alla Reggina, al Livorno e alla Sampdoria prima dell'approdo in azzurro, ha mostrato di adattarsi bene. Che i suoi metodi e quel 3-5-2 divenuto un mantra siano in grado di reggere standard di rendimento elevati, in Società avvezze a competere ad alto livello, con rose altrettanto dotate e giocatori "titolarissimi", lo può dire solo il campo. Per ora, non c'è la controprova. Pure questo è un dubbio che gli ronza in testa. Più ci pensa e più se ne convince. Ovvio che conosca benissimo le differenze di categoria. Mazzarri viene da squadre di medio cabotaggio, anche quando ha allenato nel massimo campionato. Lui e il Napoli sono cresciuti insieme, la riconoscenza dovrebbe essere reciproca. L'unico trofeo che brilla nella sua carriera è la Coppa Italia strappata alla Juventus, quella che a Genova (sponda Samp) perse in finale ai rigori contro la Lazio. E' con lui anche la piazza, la stessa che al presidente De Laurentiis rinfaccia che "non vuole cacciare i soldi" per comprare i grandi giocatori. Sì, a Napoli Mazzarri può sorridere: ha conquistato la folla e con essa anche la propria libertà.
Sindrome di calimero. Ha molti meriti, lo dice il campo. Passionale com'è, si odia o si ama. Mazzarri è così: vola alto e finisce in picchiata. Vince, si esalta e si prende il merito. Perde, si deprime e lascia trapelare che il valore di un gruppo è direttamente proporzionale al monte ingaggi. Quel "dobbiamo crescere" ripetuto di continuo più che uno stimolo è diventato l'emblema di un complesso d'inferiorità tale che la colpa è sempre di qualcun altro: dell'arbitro, dei giocatori che non sono campioni, della sfortuna e dei peccati di gioventù. E se, a torneo appena iniziato, con il "suo" Napoli imbattuto, la frase "sono stanco, a fine stagione vado via" pronunciata nel pre e post partita con la Juve è sembrata incomprensibile e anacronistica, le parole riservate a Vargas e Insigne – per giunta dopo una sconfitta causata dalla prestazione opaca di tutta la squadra in Ucraina – hanno testimoniato un malessere che vien fuori come un rigurgito e può far solo danni, alla sua immagine e alla squadra. "Ho poca voglia di sorridere" ha sbottato anche in Svezia, dopo aver battuto l'Aik e guadagnato la qualificazione grazie a Cavani. "Gli devo molto è un grande allenatore" ha detto il Matador. E, se a dirlo è un bomber che vale oltre 60 milioni di euro, allora sì, a Napoli Mazzarri può sorridere.
Parole, opere e omissioni. Come potrebbe sopportare la pressione di un grande club dove arrivare secondi è un fallimento e uscire ai quarti di Champions è da perdenti? Se Mazzarri considerava la sua permanenza a Napoli un ciclo finito poteva non rinnovare il contratto e prendersi una pausa di riflessione. Avrebbe lasciato un buon ricordo. Invece, no, ha rilanciato: c'è un Napoli uno, che può lottare per lo scudetto, e un Napoli due, da esibire in Europa League. Titolari da una parte, riserve dall'altra: proprio come si fa in allenamento e nelle partitelle del giovedì. Qualcuno, però, deve essersi confuso. E di un allenatore che sembra già parlare da ex proprio non sa che farsene una squadra che annovera calciatori del calibro di Cavani, Pandev, Hamsik e Insigne, talento con Zeman, in evidenza nell’Under 21 di Mangia e improvvisamente troppo acerbo per Mazzarri. Come Verratti, fenomeno in embrione nel Paris Saint Germain, che il Napoli avrebbe preso per mandarlo a farsi le ossa altrove. Nonostante tutto, Walter resta un trascinatore, con lui gli azzurri hanno toccato vette inimmaginabili fino a pochi anni fa. E lui con gli azzurri ha mostrato di poter ambire anche a traguardi importanti che non siano una straordinaria salvezza conquistata con la Reggina, la Uefa dignitosa con la Samp, una serie A trattenuta per i capelli prima di migrare sotto il Vesuvio. Sì, a Napoli Mazzarri può sorridere.