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50 anni senza Gigi Meroni, il calciatore che odiava le etichette

Ala destra del Torino celebre per il talento e una personalità fatta di abiti disegnati, pittura e galline al guinzaglio. Morì 50 anni fa, travolto da Attilio Romero che in futuro sarebbe stato presidente dei granata. Gianni Brera raccontò così Meroni: “Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni”.
A cura di Vito Lamorte
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"Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni". (Gianni Brera)

Sono passati 50 anni dalla morte di Gigi Meroni. Il 15 ottobre del 1967 se ne andava l'ala del Torino che si fece conoscere non solo per il talento in campo ma perché fu il primo calciatore a esibire una certa personalità fuori dal rettangolo verde grazie al suo interesse per la pittura, per gli abiti, che disegnava da sé; e si è reso protagonista di stravaganze che oggi susciterebbero grande clamore.

Meroni scomparve a ventiquattro anni, investito da un’auto guidata da Attilio Romero, futuro presidente del Torino in uno dei periodi più brutti della storia granata, e ha lasciato un grande vuoto tra quanti amavano le sue azioni travolgenti e le sue finte ubriacanti.

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Como, Genoa e Torino: il percorso di Gigi

Meroni è cresciuto nel vivaio del Calcio Como insieme all'amato fratello Celestino, ma la sua carriera nella formazione lariana è breve perché nell'estate del '62, a 19 anni, passa al Genoa, dove emerge il suo carattere estroverso e controcorrente che si manifesterà poi nella sua interezza a Torino nel '64. Il presidente Pianelli cacciò 300 milioni di lire per portare in granata quell'ala gracile dalle movenze funamboliche che si fece immediatamente apprezzare per le sue giocate e i goal (24) nella città piemontese.

La Nazionale e il Mondiale del 1966

L'ala granata venne convocata in nazionale da Edmondo Fabbri che, però, insieme ad alcuni dirigenti alimentarono speciosamente una campagna stampa nei confronti di Meroni, accusandolo di dare un’immagine negativa dell’Italia. "Deve tagliarsi i capelli, in caso contrario, niente Nazionale" era il coro che arrivava da parte di molti benpensanti ma lui rispose senza troppa difficoltà: "Credo di aver dimostrato di essere capace a fare gol anche con i capelli lunghi". Il presidente Pianelli gli consigliò paternamente di andare dal barbiere ("Tanto i capelli ricrescono in fretta") e Meroni si presentò un po’ spelacchiato al raduno azzurro per il Mondiale del 1966 in Inghilterra. Gigi giocherà una sola partita, con l'URSS, ma qualche giornalista riuscì ad addossargli la responsabilità della fallimentare spedizione italiana nella terra di Albione. Quella sarà la sua unica partita ufficiale in Nazionale, mentre le altre cinque furono tutte amichevoli (con due reti, una alla Bulgaria e una all’Argentina).

Beniamino Santos, l'argentino che lo lanciò a Genova

Beniamino Santos, allora allenatore del Genoa, si era reso conto del talento di Meroni e l’aveva lanciato subito titolare, senza farsi troppi problemi per l'età o per l'eccessiva mania di dribblare di quel ragazzino lombardo. Santos morì in un incidente stradale dopo la cessione di Meroni al Torino: era in vacanza in Spagna e il presidente Giacomo Berrino gli aveva assicurato che non avrebbe venduto la giovane ala ma il numero uno del Genoa non riuscì a resistere all’offerta di Pianelli di 275 milioni più Peirò e lo diede via. A Genova, in piazza De Ferrari molti tifosi protestarono per la cessione del loro idolo e Beniamino Santos, appena venne a conoscenza dei fatti salì in macchi­na per raggiungere Genova e da­re le dimissioni, ma andò a schiantarsi con­tro un albero durante il viaggio e non arrivò mai nel capoluogo ligure.

Il "calciatore beat"

"C’era gente che andava allo stadio soltanto per vedere, gustare il suo dribbling". (Gian Paolo Ormezzano)

Soprannominato "calciatore beat", cugino di George Best ma senza gli stessi eccessi, Gigi Meroni non amava calciare i rigori, voleva e cercava l'agonismo, era un artista del dribbling e dell'assist. Quest'ultima dote lo conosce bene Nestor Combin, suo grande amico, scaricato da Juventus e Varese perché "bollito" e rinato nel Torino grazie a Meroni, l'ala che riusciva sempre a fargli fare goal.

Meroni, come è già stato ripetuto milioni di volte in questi anni, non è solo un calciatore, è stato molto, molto di più: ascoltava i Beatles e la musica jazz, dipingeva quadri, leggeva libri e scriveva poesie. Convive nella "mansarda di Piazza Vittorio" insieme a Cristiana, la "bella tra le belle" dei LunaPark della quale si innamorò follemente tanto da presentarsi al matrimonio imposto dai genitori di lei per cercare di fermare la cerimonia. Un vero personaggio.

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L'incidente

Quel maledetto 15 ottobre 1967 era una domenica, il Toro aveva vinto per 4 a 2 sulla Sampdoria e Meroni era uscito insieme al suo compagno di squadra Fabrizio Poletti. Edmondo Fabbri aveva concesso loro la serata libera senza continuare il ritiro e mentre tentava di attraversare Corso Re Umberto Gigi venne travolto dall'auto di un diciannovenne appena patentato. L'investitore è Attilio Romero, uno dei suoi più grandi tifosi granata e futuro presidente del Torino. Meroni morì la sera stessa per i gravi traumi riportati assistito da Cristiana, dai familiari e dai suoi amici. Ai funerali parteciparono migliaia di persone. Ancora oggi, da­vanti al bar Zambon in corso Re Umberto, c’è un cippo sempre carico di fiori per ricordare "la farfalla granata".

Il 4-0 granata alla Juve

La domenica successiva alla morte di Gigi Meroni si giocò il derby di Torino con la Juventus e i granata vinsero per 4 a 0 grazie a tre goal vennero messi a segno da Combin, che malgrado i 39 gradi di febbre scese in campo ugualmente; e una rete da Carelli, che giocava al posto dello scomparso funambolo lariano con la sua maglia e fece un goal alla Meroni partendo da centrocampo e dribblando tutti quelli che si frapponevano tra lui e la porta. Molti sono convinti che lo spirito del numero 7 fosse lì in quel momento, subito prima del boato della Maratona per il poker rifilato ai rivali di sempre.

Gigi Meroni, oggi

Come sarebbe Gigi Meroni oggi se non fosse accaduto quello che sappiamo? Riuscite ad immaginarlo su un divanetto a commentare la Serie A odierna e le varie manifestazioni calcistiche o sul lago di Como a dipingere senza nessun coinvolgimento con tutto ciò che gira intorno al mondo pallonaro? Molto più probabile la seconda ma, soltanto per un attimo, ve lo immaginate arrivare in studio con una gallina al guinzaglio, scimmiottando il gesto compiuto negli anni ’60, e commentare le reti di giornata con riferimento alla musica e all'arte ed eliminando quell'ipocrisia che in troppi casi regna in alcuni salotti. In uno studio televisivo perfetto andrebbe a braccetto con un altro grandissimo personaggio di cui ricorre l'anniversario in questi giorni, ovvero Beppe Viola, ma, purtroppo, il nastro non si può riavvolgere e allora dobbiamo accontentarci degli atteggiamenti e delle dichiarazioni di tecnici, calciatori e dirigenti sempre uguali, scontate e piuttosto noiose che hanno distrutto la fantasia e la magia che qualche tempo fa, molto più di ora, si respirava intorno a questo sport.

Lascia che si scandalizzino annoiati da una vita senza fantasia, lasciamo che ci giudichino da quel pulpito tanto provinciale, lasciamoli parlare che si divertono così, anzi, diamogli più corda e che si impicchino. (Yo Yo Mundi, Chi si ricorda di Gigi Meroni?, 1999)

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