1956, il primo storico scudetto della Fiorentina
È il trionfo di un sogno. Una vittoria della fantasia, del coraggio e dell’orgoglio. L’affermazione di una città che ancora non si è ripresa dalla guerra, i ponti sull’Arno sono ancora da ricostruire, di un’Italia artigiana che si prende la rivincita sul potere, industriale e pallonari. È il primo scudetto della Fiorentina, il primo nella storia di una squadra del centro-sud.
I primi passi di Befani – È una vittoria che parte da lontano, dal 1952, quando diventa presidente Enrico Befani, industriale tessile di Prato con cospicue doti finanziarie, grande ambizione e un senso organizzativo non così comune nel calcio di allora. Porta subito a Firenze quelli che diventeranno i primi due pilastri nella costruzione della squadra scudettata: Maurilio Prini, attaccante dell'Empoli che sarebbe stato fondamentale nella Fiorentina degli anni successivi, Amos Mariani, ala dell'Udinese, e, soprattutto, Armando Segato, mediano del Prato, raffinato tessitore di gioco e colpitore di testa come pochi, uno dei due nell’anno del tricolore ad aver giocato in tutte le 34 partite. Sarà anche il primo nella triste Spoon River nel nostro calcio, la lista delle vittime della SLA, che comprenderà anche il tecnico di quella Fiorentina, l’artefice poi del Bologna dell’ultimo scudetto, la “squadra che tremare il mondo fa”: Fulvio Bernardini. L’altra colonna di quella squadra arriverà nel 1954: è Gratton, dal Como. Avrà una vita avventurosa, relazioni turbolente, una figlia che a vent’anni andrà a lavorare in Germania: finirà maestro di tennis per necessità, a Bagno di Ripoli, a lavorare e vivere nel circolo dove sarà massacrato di botte fino alla morte da due balordi il 16 novembre 1996, un sabato sera. I carabinieri dell'allora colonnello Angioni ritennero che Gratton era rimasto vittima di una rapina, anche perché lo stesso 16 novembre ignoti avevano cercato invano di rubare presso il circolo del tennis Match Ball. Per un paio di stagioni si fa valere in attacco anche Gunnar Gren, il primo anello del Gre-No-Li, il tridente svedese del Milan, che nell’estate 1955 passa al Genoa.
L'ultimo tassello: Julinho – Nel ’54 si aggiungono altri tasselli: Bizzarri, un’ala che in terza serie ha fatto benissimo a Venezia, il corazziere Giuseppe Virgili in attacco e un portiere che non ha nulla dei numeri 1 estrosi ed estroversi tanto amati dai tifosi. Non regala interventi spettacolari, ma studia gli attaccanti per anticiparne intenzioni e conclusioni. È il “portiere di ghiaccio” Giuliano Sarti, poi primo anello della filastrocca della Grande Inter, prima di Burgnich e Facchetti. Dopo il quinto posto del ’55, Bernardini ha in mente un ritocco, il pezzo che ancora manca al suo puzzle. In realtà già l’ha identificato un anno prima, ai Mondiali di Svizzera, ma la trattativa sarà lunga e complessa. Alla fine, Bernardini convince l'ala destra Julinho ad accettare un’offerta da 20 milioni con 350 mila lire di ingaggio. “Un’ala può arrivare al massimo a Julinho, e non oltre” diceva il Professore. Il brasiliano fa ingaggiare anche l’argentino Roberto Ortega, spacciandolo per la migliore ala del Sudamerica, che però a Firenze non giocherà nemmeno una partita. C’è però un altro pezzo d’Argentina nella Viola tricolore. Gioca in Cile, l’ha notato un sacerdote appassionato di calcio, padre Volpi, che l’ha consigliato a Befani. Arriva a Firenze da sconosciuto, si farà amare da tutti: Michelangelo Montuori.
L’intuizione – L’inizio di stagione non è granché: pareggio con Inter e Pro Patria, un bel 4-0 alla Juventus ma il gioco non decolla. Così il 16 ottobre, contro il Bologna, Bernardini riprende una delle lezioni dell’Inter che ha vinto gli ultimi due scudetti con Foni in panchina e il catenaccio come modello tattico. Il Professor “Fuffo”, che gioca col WM, mette Prini per Mazza, per avere un giocatore in più che rientra sulla fascia. E crea un meccanismo perfetto. Quando si stacca Cervato, terzino d’attacco prima che questo ruolo fosse inventato e rigorista infallibile, lo stopper Rosetta si sposta a coprirgli le spalle, e di fatto diventa un libero sganciato da compiti di copertura, col terzino Magnini che scala in mezzo e al suo posto retrocede Chiappella, atleta formidabile nato interno poi diventato mediano, che in viola giocherà più di 300 partite. Ed è Gratton, tipico interno d’attacco, a sacrificarsi in copertura per aiutare Chiappella. La difesa, con Prini ala tornante in anticipo sui tempi di almeno una ventina d’anni, è più protetta e non a caso subirà solo 20 gol. E Cervato può essere lasciato più libero di inventare gioco, di liberare la velocità di Julinho e i suoi cross tesi, ideali per un centravanti come Virgili, capocannoniere con 21 centri, e senza rigori.
Pecos Bill e Milano – Virgili, per tutti “Pecos Bill” perché forte e irruento come l’eroe del fumetto western in voga in quegli anni che predilige l’uso dei pugni a quello della pistola, decide le partite più importanti per il titolo. Buona parte della sua stagione ruota intorno a Milano. Il 4 marzo, la Fiorentina va a San Siro per affrontare l’Inter, distante 10 punti in classifica. Il presidente Moratti ha vinto un lungo braccio di ferro con la federazione per il tesseramento da dilettante dello svizzero Vonlanthen, che ha fittiziamente assunto come impiegato in una delle sue aziende, per fargli ottenere il visto dalle autorità di polizia. La Fiorentina è senza Sarti, infortunato alla mano sinistra, ma davanti basta e avanza la doppietta di Pecos Bill, che per non farsi mancare niente ne fa due anche al Milan, in casa. E sempre a San Siro, un mese dopo, il 25 aprile, ne segnerà “due e mezzo” al Brasile di di Gilmar, Djalma Santos, Nilton Santos, Didì, Escurinho. Virgili, che in azzurro ha debuttato il 27 novembre 1955, insieme a Bearzot, in casa dell’Ungheria di Puskas, firma praticamente da solo un 3-0 che fa storia. Due gol sono sicuramente suoi, il terzo non gli viene assegnato perché, come racconta, “non era come adesso che quando un giocatore la devia assegnano la paternità del gol a chi ha esploso la conclusione. Secondo i regolamenti di allora si fissava autorete del tale giocatore e non invece gol del tiratore. Io, quella volta, arrivai assieme sulla palla con De Sordi, e, punta mia, punta sua, l'abbiamo buttata in gol la palla. E non me l'hanno assegnato a me il merito e io continuo a dire che io al Brasile feci due gol e mezzo”.
La matematica – Non può essere che l’uomo simbolo, il più voluto da Bernardini, Julinho, che una volta tornato in Brasile dipingerà di viola le pareti di casa, a regalare il gol dello scudetto. Basta la rete dell’1-1 a Trieste per rendere matematico il titolo, a cinque giornate dalla fine. E solo l’ex Gren, all’ultima giornata, toglie ai Viola la gioia supplementare di chiudere il campionato da imbattuti. Il presidente Befani omaggia la squadra sulle pagine della Nazione, e prospetta la nascita di quello che sarà il centro tecnico di Coverciano, voluto dal marchese Ridolfi, il fondatore della Fiorentina, che però morirà prima della sua apertura. “Il giuoco collettivo della Fiorentina, campione d’Italia, ha rappresentato nel campionato della decorsa stagione, per efficacia di manovra e bellezza di stile, una vera eccezione nell’attuale quadro tecnico del giuoco del calcio italiano. [Ma] occorre pertanto che si arrivi al più presto ad un deciso miglioramento qualitativo di tutto il nostro giuoco se non si vuole che esso decada definitivamente, soffocato dalle necessità professionistiche e spettacolari delle società cui interessa assai più la classifica, ritenuta condizione necessaria di un buon bilancio economico, che non il comportamento tecnico della propria squadra. [… Per l’estensore di queste note [resta] un legame ideale, un filo conduttore non solo sentimentale, unisce, se non altro per la loro origine, questi due organismi così apparentemente dissimili nelle loro finalità: la Fiorentina Campione d’Italia, capolavoro di Befani e dei suoi valenti collaboratori, di Bernardini e degli atleti viola da un lato, e dall’altro il Centro Tecnico Federale che vuol essere, almeno nelle intenzioni, fucina e palestra di futuri campioni e di maestri del nostro sport più vivo e più bello: il giuoco del calcio”.