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11 luglio, l’Italia è campione del Mondo. Nel 1982 (foto)

32 anni fa il Mundial spagnolo si tinse d’Azzurro. A Madrid, Rossi, Tardelli e Altobelli piegarono la Germania dell’Ovest alzando al cielo la terza coppa. Oggi, di quella straordinaria avventura non ci resta che il ricordo e i soliti, insoluti, problemi.
A cura di Alessio Pediglieri
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Sono passati 32 anni, tantissimo tempo, un'eternità. Certificata dall'assoluto vuoto attuale del nostro calcio. L'11 luglio 1982 c'era una Nazionale che questa sera avrebbe alzato la Coppa del Mondo per la terza volta nella sua storia, vincendo una strepitosa finale contro la Germania Ovest, in Spagna a Madrid. Una storia bellissima tra racconti e aneddoti che sono rimasti nel credo sportivo di ogni italiano. A partire dai nomi degli stessi protagonisti al seguito del Grande Vecio, Enzo Bearzot, che coronò la sua carriera sulla panchina azzurra: Zoff, Collovati, Scirea, Gentile, Cabrini, Oriali, Bergomi, Tardelli, Conti, Graziani, Rossi. Una formazione che si sapeva (e si sa ancora oggi) a memoria, una litanìa perfetta capace di trascinare in trionfo una Paese intero uscito con le ossa spezzate dallo scandalo scommesse ridando spinta e coraggio ad un calcio che seppe ritrovare se stesso. Oggi, a pochissime settimane dal totale fallimento azzurro in Brasile, quel ricordo è ancora più vivo e sentito, ancor più di quello di Berlino 2006 dove gli uomini di Lippi riscrissero il quarto capitolo della nostra storia mondiale. E il filo conduttore, oltre l'Azzurro, è un altro, sotto gli occhi di tutti: la Germania. 32 anni fa quella dell'Ovest piegata in finale, 8 anni fa quella unita, ospitante i Mondiali, oggi la Germania – lei sì – ancora in una finale Mondiale.

Nostalgia, canaglia

Oggi è doloroso ricordare Espana'82, lo si fa con il gusto del rimpianto e del rammarico di aver perso qualcosa che consapevolmente non tornerà più. Un'alchimia perfetta, un sogno nato dagli incubi – i tre pareggi con Polonia, Camerun e Perù – e ritrasformatosi in sogno nella seconda fase con i successi su Argentina prima e Brasile poi, fino al riscatto in semifinale ancora coi polacchi per la cavalcata perfetta al Santiago Bernabeu. Difficile, ancora adesso, capire cosa accadde in quei 28 giorni e forse nessuno ancora lo ha capito e non vuole nemmeno saperlo altrimenti la magia potrebbe infrangersi. Certo è che oltre al coraggio e alle qualità dei singoli e del gruppo, la (buona) sorte giocò un ruolo importantissimo, ma l'audacia fu di crederci e provarci con la convinzione di chi non avesse nulla da perderci.

Cos'è rimasto di quegli Anni 80

Anche allora c'era un mix  di spavaldi giovanotti alle prime armi in una struttura ben consolidata nel tempo. Anche allora c'erano state scelte ‘azzardate' dal Commissario Tecnico che avevano fatto storcere il naso a critica e opinione pubblica. Anche allora i pronostici erano per tutti gli altri. Eppure, la favola si completò quell'11 luglio 1982 quando in quella torrida domenica estiva, Rossi, Tardelli, Altobelli segnarono la storia in maniera indelebile. Di quegli anni '80 a conti fatti è rimasto ben poco. Soprattutto di positivo: in un'epoca ancora florida economicamente e socialmente parlando, l'Italia – intesa come Paese ma anche come "impresa calcio" – non riuscì a costruire nulla di importante e duraturo. Il successo Mondiale non fu volano di alcunché e, invece di aprire cicli virtuosi, fu semplice contorno (e forse illusione) di un'Italia che si sentiva invincibile ma che colpevolmente non riusciva – né voleva – a vedere oltre il proprio naso: Italia '90 con tutto ciò che di male ha portato, ne è stato il classico esempio. Ci si beò di quell'urlo mondiale di Tardelli, dell'esplosione di ‘Pablito', delle partite a scopa sull'aereo con Pertini.

Il vecchio che ribussa alla porta

Di quegli anni ci resta il solo ricordo di una Nazionale gloriosa, ineguagliabile. Di una avventura che risollevò gli animi e rinfrancò gli spiriti. Ma ci restano anche e soprattutto le solite ataviche pecche i mali incancreniti che ancor oggi, loro sì, si ripresentano puntuali: scandali sportivi, polemiche arbitrali, politiche vecchie, i soliti personaggi. Non è un caso se stiamo in questi giorni discutendo ancora su quale debba essere il futuro del calcio italiano che si stabilirà fra un mese esatto, il prossimo 11 agosto. E davanti alla domanda di come potranno cambiare le cose, la risposta che i più danno si riduce ad un unico nome: Carlo Tavecchio, un impresentabile classe'43, che negli anni '80 era già nel mondo del calcio, come consigliere del Comitato Regionale Lombardia della Lega Nazionale Dilettanti, e poi ancora capo del Comitato Regionale Lombardia per venire eletto infine presidente della LND e successivamente ricoprendo il ruolo di vice presidente vicario della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Il tutto sotto la incessante – e silenziosa – egida di Franco Carraro. Sì, proprio lui: il già presidente della FIGC degli anni ‘7o e capo del CONI in quello straordinario Mondiale del 1982.

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