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Zaza alla conquista della Liga: vi faccio vedere come fa gol un (bomber) italiano

I lucani, scrive il poeta Sinisgalli, non sono esibizionisti. Quello che fanno, però, non basta mai. E’ la storia anche di Simone Zaza, simbolo della rinascita del Valencia, legatissimo alla famiglia e agli amici di sempre. Attaccante perfetto per una squadra che gioca in verticale, ha praticato taekwondo come Ibrahimovic.
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“Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti”. Vivono bene nell'ombra, scrive il poeta Leonardo Sinisgalli, nella troppa luce si eclissano. Hanno un tratto caratteristico, aggiunge, sfuggito a viaggiatori, tursti, benefattori, sociologi. Il lucano non si consola mai di quello che ha fatto, non gli basta mai quello che fa. Il lucano è perseguitato dal demone della insoddisfazione”. Metti un volto cinematografico, da bravo ragazzo d'azione, su queste parole ed ecco spuntare il ritratto di Simone Zaza. Ha segnato il suo gol simbolo al Real Madrid, sfiderà il Barcellona per la vetta della Liga, ma resta ancora il mistero senza fine bello di un'attaccante moderno all'antica, di un ragazzo proteso alla ricerca della sua normalità.

Il valore della famiglia

E' una storia di radici, incastonata dentro una geografia ristretta, fra Metaponto e Bernalda. È storia due famiglie. Quella avuta in dono, innanzitutto, i “due pilastri” che, raccontava alla Gazzetta dello Sport, “quando non ero come sono, quando stavo per cadere, mi hanno sempre tenuto in piedi”. C'è mamma Caterina che soffre in silenzio quando vede il figlio partire a 13 anni, “con la camicia così come sei nato” verrebbe da dire con il De Gregori che canta di altri viaggi, altri miraggi, altri emigranti. E papà Antonio che gli insegna ad avere le spalle larghe e a farsi scivolare la vita un po' addosso.

E c'è la famiglia che si sceglie, gli amici, pochi e buoni, sempre gli stessi, quelli che le prime impressioni non sbagliano mai. Gli amici di Simone, non del calciatore Zaza, perché l'amico è chi di te sa tutto, chi condivide la gioia senza conoscere l'invidia, chi aiuta anche se non potrebbe, chi trova tempo nella sua agenda e ancor di più chi quell'agenda non la guarda nemmeno.

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Quanti treni per farsi amare

Ne ha conosciuta di gente che per lui, grazie a lui, ha battuto in aria le mani e le ha fatte vibrare. Ma, quando aveva 16 anni e l'Atalanta lo teneva fuori rosa perché rifiutava di firmare un contratto sindacale, di pensieri neri ne sono arrivati. A fare come Simone, allora, sembrava si potesse solo sbagliare. Era l'Atalanta di Delneri, che lo fa giocare poco ma lo stima molto. “E' un centravanti puro, come Vieri” dirà anni dopo al Corriere dello Sport. “Fa gli stessi movimenti, è mancino e tecnicamente è anche più forte di Vieri”.

Vedere, per credere, il gol al Real del febbraio 2017, un bignami a velocità irreale di tutto quel che dev'essere un attaccante. L'anticipo nello spazio, lo stop orientato, la difesa della palla, la costruzione di un tiro complesso in un tempo che non consente a Varane, pure più rapido della media dei centrali, di intervenire in chiusura. Sembra passata un'era da quando poteva riconoscere, alla Juve Stabia, le tribune di tutti gli stadi di serie B.

La paura di volare

Cinque anni fa, all'improvviso, su un Bologna-Bari scopre la paura di volare. Ma è proprio in quell'anno che inizia il suo volo, e non certo di fantasia. Undici gol a Viareggio poi il passaggio all'Ascoli. I 18 centri non basteranno a salvare i bianconeri dalla retrocessione ma lo proiettano verso Sassuolo.

È una nuova alba, un nuovo giorno, una vita nuova. In Emilia Simone, che da ragazzo mangia di tutto e a qualsiasi ora, impara a resistere alle tigelle e allo gnocco fritto. Sa resistere anche alle tentazioni, Zaza, che la notte prima delle partite dorme con tranquillità e da giovane consuma le videocassette di Van Basten. “Una volta, guardavo in video i suoi gol così tante volte da saperli tutti a memoria” raccontava alla Gazzetta. “Oggi vedo troppi ragazzi fragili, che non sanno scegliere fra cosa è giusto e cosa è sbagliato e si trasmettono debolezze, trascinandosi fra loro, facendosi trascinare dalla massa. Servirebbero più modelli forti”.

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E non basta un riferimento come Ibrahimovic, passato anche lui con ben altre fortune alla Juventus, dove Zaza ha trovato un grande amico come Morata ma poco spazio. Come lo svedese, anche Zaza ha praticato taekwondo, il suo primo sport. “Non so se mi ha aiutato nel calcio” dice, contrariamente a Ibra, che a FourFour Two spiegava quanto la pratica dell'arte marziale coreana lo abbia reso un calciatore migliore. “Forse può essere utile nelle giocate acrobatiche, al massimo”. C'è un aspetto, però, che di Ibra avrebbe voluto rubare, la capacità di segnare con naturalezza anche i gol facili e importanti.

Movimenti atipici

Zaza, però, non è mai stato un fautore della semplicità, né in campo né fuori. In casa ha portato ogni tipo di animale, dai bulldog all'amstaff che gli ha fatto compagnia a Sassuolo. Ma c'è anche un pappagallo, un'iguana e un serpente, un giorno che si era stancato di cacciare girini in uno stagno. Attaccante ancora senza patente, per anni ha girato in monopattino, con lo sguardo da bravo ragazzo e la sbruffoneria nella rincorsa dagli undici metri contro la Germania all'Europeo che ha diviso l'Italia. O forse, in fondo, l'ha unita in uno degli sport che insieme alla salita sul carro del vincitore meglio contraddistingue l'italica cultura sportiva: la denigrazione.

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Zaza ha rotto le convenzioni del calcisticamente corretto, scriveva Giuliano Ferrara sul Foglio nel 2014. “Mai avremmo pensato di essere raggiunti da un orco angelicato, da un ragazzone non carino, ma simpatico e amabile, capace di superarci da sinistra e da destra in monopattino, noi e le nostre Ford Focus. Speriamo bene. Speriamo che non si rovini maturando. Che si mantenga non tanto umile, che in quel senso dell’umiltà non ce ne facciamo alcunché, ma modesto, proporzionato a sé stesso, leggero nella parola come nell’accelerazione, e preciso nel dire come nel gol”.

Fuori dagli schemi

Fuori dagli schemi, ha stampato una tripletta al Malaga dopo aver litigato con il coach Marcelino. Gioca da punta di riferimento, ma ha la generosità di una seconda punta. Va a pressare alto, partecipa alla fase di non possesso e tira comunque con una percentuale di precisione vicina al 60%.

Gli bastano 18.5 tocchi di media per superare i due tiri a partita. Il suo gioco “è costruito su pochi palloni giocati (…) e sull’obiettivo primario di finalizzare l’azione al più presto. Un profilo che si adatta perfettamente a una squadra verticale, rapida, concepita per colpire attraverso le transizioni” scrive Alfonso Fasano su Undici.

E' un attaccante che verticalizza presto, ma non così associativo come il calcio moderno richiederebbe, e forse questo l'ha frenato alla Juve. E' un centravanti all'antica, sempre in cerca della sua normalità.

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