Verso Inter-Juventus: il ‘rivoluzionario’ Conte, gli arbitri e il ‘conservatore’ Sarri
Archiviata la Champions League per Inter e Juventus è tempo di rituffarsi a pieni polmoni nel campionato. Domenica sera a San Siro saranno una contro l’altra e in palio ci sarà la vetta momentanea della classifica ma non solo. Il 236° Derby d’Italia (il 200° per quanto riguarda il solo campionato del Bel Paese) sarà anche l’occasione per misurare qual è lo stato di avanzamento dei due nuovi progetti tecnici: quello dell’ex Antonio Conte da un lato, quello di Maurizio Sarri dall’altra.
Conte ritrova il suo ‘ristorante’, ma adesso 100 euro a persona forse non bastano
Antonio Conte sfiderà, per la prima volta da avversario, la sua creatura: la Juventus degli otto scudetti consecutivi o se preferite “quel ristorante da 10 euro diventato adesso da 100 euro” che lui ha avviato con il titolo da imbattuto nella stagione 2011/2012, con il successo bissato l’anno successivo e con il record dei 102 punti nella terza e ultima stagione al timone. Ma adesso, dopo l’esaltante esperienza da ct della Nazionale e i successi in Inghilterra con il Chelsea, il leccese è tornato in Serie A sulla panchina di un’Inter rivoluzionata negli uomini e nel modo di giocare, plasmata pian piano a sua immagine e somiglianza (attenzione massima, dedizione assoluta alla causa, grande intensità ed esaltazione nella sofferenza: i punti cardine della nuova Inter).
Da capitano e simbolo della Juventus a ‘nemico pubblico numero uno’
Uno dei simboli della ‘juventinità’ da calciatore prima (per 5 stagioni, dal 1996 al 2001, è stato anche il capitano della Vecchia Signora) e da allenatore poi (come detto, papà del Rinascimento bianconero dopo gli anni bui del post calciopoli), si trova adesso sulla panchina dei rivali più accesi e già si è calato perfettamente nel ruolo di outsider: «Stia sereno, ora sta dalla parte forte» ha risposto a chi gli chiedeva un parere sulle lamentele di Sarri per l’orario scelto per il match di Firenze. Ed arriva allo scontro diretto della 7a giornata da primo della classe con 6 vittorie nelle prime 6 gare (come solo il ‘Mago’ Herrera era riuscito a fare da quelle parti) e dopo la gara del Camp Nou contro il Barcellona che lascia, nonostante la sconfitta, grande entusiasmo in un gruppo che sembra aver già indossato l’elmetto pronto a scendere in trincea seguendo i diktat del proprio comandante. Comandante che al termine del match contro i blaugrana si è lamentato dell’arbitraggio “casalingo” del signor Skomina: lo faceva anche quando era alla Juventus e al Chelsea ma il suo atteggiamento non era assecondato dalla società e dai tifosi.
Il rivoluzionario Sarri a difesa del ‘Palazzo’
Sull’altra panchina ci sarà Sarri che si ritrova così a giocare il suo secondo big match da allenatore della Juve in campionato, il primo in panchina (contro il “suo” Napoli non c’era a causa della polmonite) dalla parte “forte”, dalla parte di chi domina la Serie A da otto anni consecutivi macinando punti su punti, vittorie su vittorie, record su record, dalla parte di chi vuole difendere “il suo palazzo e il suo potere” (per usare un’espressione utilizzata dallo stesso tecnico toscano quando era sull’altra riva del fiume con i partenopei). E lo farà con una formazione che sta assimilando i suoi precetti ma che il nuovo allenatore non ha completamente rivoluzionato nell’anima, ma sta mantenendo quanto di buono ha trovato al suo arrivo (assetto difensivo e centrocampo) aggiungendo qualche ingrediente tipico del suo calcio (verticalizzazioni e pressione alta in fase di recupero palla). Una formazione che arriva da seconda in classifica (a due punti dai nerazzurri) e con la consapevolezza, acquisita soprattutto nei due match di Champions League disputati fin qui, di essere un top club capace di andare a dettare legge in casa del “rognoso” Atletico Madrid del Cholo Simeone e di gestire con grande intelligenza un avversario “tikitakeggiante” come il Bayer Leverkusen.
Dall’altra parte della barricata: il Comandante e la ‘conservazione del potere’
Ma quello juventino non sembra essere più un Sarri “Comandante”, quello a capo della rivoluzione popolare contro chi detiene lo scettro, quello che prima di una partita di Champions per caricare i suoi diceva «credo che in 18 persone si possa fare un colpo di Stato e prendere il potere». Si tratta piuttosto di un Sarri “Conservatore” (che poi è l’evoluzione naturale di chi quel potere in un modo o nell’altro se l’è preso) che pare essersi già convertito al credo di Boniperti, trasformato in mantra dalle parti della Continassa, “vincere non è importante, ma l’unica cosa che conta”, per il calcio-champagne fatto vedere a Napoli ci sarà tempo (anche se non sarà mai lo stesso), al momento non è in cima alla lista delle priorità. Ma non si tratta di un nuovo Sarri (gli allenamenti metodici, il drone e il libro di Bukowski sul comodino che spariglia gli appunti sulla squadra avversaria ci sono sempre) ma soltanto di un rivoluzionario che ha portato la sua rivoluzione nel “palazzo” e adesso si trova a fare i conti con la “conservazione del potere”. La vera impresa adesso sarà attirare le stesse simpatie anche dall’altra parte della “barricata” vincendo e innovando.