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Ventura spalle al muro: la Nazionale non lo segue, il modulo non va

I senatori chiedono il ritorno al 3-5-2. Il passaggio inspiegabile dal 4-2-4 del Bernabeu al 3-4-3 contro la Macedonia non convince. Aver centrato i playoff non basta, la squadra ha perso il filo. E ora ritrovarlo sarà sempre più difficile.
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L'Italia, ha ammessso Ventura, ha perso il filo. E il primo è proprio lui, il ct passato senza un perché dal 4-2-4 a un 3-4-3 anacronostico in quello stadio dedicato al Grande Torino che da squadra visionaria proprio con quel modulo in sostanza illuminava di futuro il nostro calcio ma con ben altro quadrilatero di centrocampo. Un modulo che invece non piace ai senatori di oggi, che ha fatto apparire una squadra temibile perfino la semplice e disciplinata Macedonia, le cui stelle fanno scaldare i tifosi del Palermo in Serie B.

Obiettivo playoff raggiunto

“Questo è il momento più difficile della mia gestione, ma fa parte del gioco: sta a noi ribaltarlo fin dalla sfida di lunedì in Albania” ha ammesso Ventura. Un momento che può sembrare paradossale, in cui non è tanto il risultato ma il modo che ancora offende. Perché, a guardare il quadro nel suo complesso, in un girone con la Spagna campione di tutto le altre giocano per il secondo posto. L'obiettivo realistico degli azzurri il giorno del sorteggio non poteva che essere il playoff. E, certo con l'aiuto del Belgio, il playoff è oggi una certezza. L'obiettivo è raggiunto. Ma il crollo in Spagna e il secondo tempo che più incolore non si può di Torino, fanno passare il traguardo in secondo e forse anche terzo piano.

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Una squadra spaesata e confusa

È la confusione che traspare, la sensazione di una nave senza nocchiere in gran tempesta. Il tracotante 4-2-4 del Bernabeu è diventato un 3-4-3 solo nella forma, con due mediani “come Gagliardini e Parolo, che peraltro sono quasi il meglio che c’è. O faccia finta di giocare solo con tre difensori. Quando ci sono Zappacosta e Darmian ai lati, è una squadra divisa in due, non un esperimento moderno” chiosa Mario Sconcerti sul Corriere della Sera. Una squadra, dunque, più difensiva in casa contro i macedoni che nel regno della Spagna. Paradosso dei paradossi.

Ma, qui sta il dilemma che ha a che fare con le cause leggere della guerra del cuore e non con l'esistenzialismo del principe di Danimarca, una nazionale deve essere o non essere un esperimento moderno?

Gli esperimenti non funzionano

Il 3-4-3 di Torino fa riecheggiare la storia di Alfredo Foni che a Belfast riuscì a perdere contro l'Irlanda del Nord, fra le possibili avversarie dell'Italia nello spareggio, con tre punte e due mezze punte: così il Mondiale di Svezia 1958 diventerà l'unico con l'Italia fuori nelle qualificazioni.

Gli esperimenti di Ventura, spiega Antognoni a Repubblica, “non sono andati. Non come avrebbe sperato: non un reparto, ma tutta la squadra non girava”. Non funzionano i cambi di modulo continui, e l'alibi degli infortuni che pure si sono concentrati nella parte iniziale della stagione regge fino a un certo punto.

Non è un mistero che i senatori, Buffon su tutti, vorrebbero un ritorno al 3-5-2 di contiana memoria, per vincere il play-off e assicurarsi la certezza di un posto a Russia 2018. Poi ci sarà tempo per gli esperimenti.

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Buffon e i senatori scuotono e chiedono il 3-5-2

Proprio il portiere e capitano ha guidato una riunione fra i giocatori, di cui Ventura è stato avvisato a cose fatte e da cui è stato tenuto fuori. Non cercare alibi all'esterno, è da perdenti, è il leitmotiv per scuotere un gruppo che dopo la sconfitta con la Spagna, più per il modo che per il punteggio, ha perso troppe certezze in soli 90 minuti.

«Il clima intorno a noi non è dei più positivi” ammette, “e i primi responsabili siamo noi giocatori, soprattutto i più esperti, che devono avere un senso di responsabilità ancora maggiore, per sgravare i ragazzi più giovani, perché ai playoff ci si gioca veramente tanto”.

Non si capacita, e non è l'unico, delle paure, delle ipocondrie contro la Macedonia. Il collasso del Bernabeu, prosegue come riporta la Gazzetta dello Sport, “ha minato le nostre certezze. Così, contro la Macedonia ci siamo quasi im-pauriti, e non capisco il perché. Questo ci fa capire che è una problema psicologico. Ora occorre senso di appartenenza, quello che ha consentito a tanti di noi di avere una vita così lunga in azzurro”.

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Troppe paure e un evidente calo di talenti

Il senso della crisi azzurra è tutta qui. A Torino Parolo e Gagliardini hanno corso a vuoto, Zappacosta e Darmian sono rimasti bassi, Verdi ha sbagliato troppi dribbling e in pochi hanno giocato in appoggio a Insigne e Immobile. Il resto lo fa un Bonucci che fa fatica anche nel Milan e un Chiellini che segna da centravanti ma poi manca un contrasto da difensore, che dovrebbe essere il suo ruolo e compito primario, che dà il via all'azione del pareggio.

Quella vista nello stadio che fu il Filadelfia è una nazionale che ha perso la voglia e il gusto del gioco, col cuore che rallenta e le gambe che camminano, una squadra che galleggia, corrichia, che aspetta e spera che magari poi si avvera.

E allora pur nel contesto di una crisi di sistema, di un calo di livello e di talenti che ha cause profonde e ben note nella gestione dei vivai e nello scarso appeal della Serie A, la vera questione è più di uomini che di numeri e di schemi.

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E' l'atteggiamento dei singoli che deve cambiare

Perché le modeste prestazioni in azzurro di Immobile, di Bonucci e Chiellini, di Bernardeschi, e a Torino anche di un Verdi giustificato più degli altri per l'emozione, non sono del tutto imputabili alle scelte tattiche del ct, che pure tiene a riposo un Florenzi recuperato dall'infortunio e arruolabile per la causa.

Certo, l'atteggiamento anche degli allenatori di club che rinforzano la sensazione di una nazionale vissuta più come un peso nel corso della stagione può non aiutare a far sì che i giocatori si esprimano al meglio in questo tipo di match.

Dalla trasferta in Albania in poi, l'Italia rischia di procedere con più domande che certezze verso lo spareggio. Perché i senatori, ormai è chiaro, non si fidano di Ventura ma cedere alle autoritarie ansie di rottamazione sarebbe la mossa peggiore. Perché Ventura, che a questo punto si sente commissariato, difficilmente opterà per una scelta in cui non crede solo perché lo chiedono i calciatori: un conto è un confronto condiviso, come fra Chapman e la mezzala Charlie Buchan da cui nacque la rivoluzione del WM, un altro è cedere de facto la centralità e il potere decisionale alla squadra. Da qui nasce il terzo, e potenzialmente più pericoloso, problema.

Perché il 3-5-2, per sua natura, è una configurazione che allunga la squadra, che funziona, come e più del 4-2-4 e del 3-4-3, se i reparti restano corti, se i raddoppi arrivano con continuità, se le transizioni non lasciano spazi scoperti sulle fasce e alle spalle dei centrocampisti. Ovvero, tutto quello che sarebbe servito e non si è visto in Spagna e a Torino. Se gli uomini non ritrovano il filo, nessun modulo potrà bastare.

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