Un sogno chiamato Zeman. Perché il boemo serve ancora a questo calcio
Ma Zeman allena ancora? Per poca conoscenza o sfregio questa frase la si sente spesso in giro. È un allenatore di un’altra generazione, ha dato il meglio di sé negli Anni ’90, sono passati più di venti anni dal suo Foggia, non ha vinto niente…
Sono tutte sentenze, sono tutte vere e sono tutte magari anche giuste. Eppure Zeman può e deve ancora allenare perché non c’è ancora un allenatore come Zeman.
Prima di tutto non esiste oggi un allenatore “mistico” come il boemo. Tantissimi sono grandi tattici, perfetti studiosi del gioco, altri sono eccezionali motivatori e gestori del cosiddetto materiale umano. Ma nessuno ha la capacità di far immaginare un orizzonte come Zeman riesce ancora oggi a fare con i suoi giocatori e i suoi tifosi. Con Zeman il gioco del calcio cambia leggermente focus. Ovviamente tutti inseguono sempre l’obiettivo del gol, della vittoria, della salvezza o della promozione, ma quando vedi giocare le squadre di Zeman ti aspetti prima di tutto altro: soprattutto la capacità di far rendere al loro massimo i calciatori che gestisce.
Un’altra caratteristica speciale del boemo. Nelle sue mani i calciatori non solo migliorano ma acquisiscono una identità di livello superiore capace di indirizzarli poi nella loro carriera futura. Gli ultimi esempi sono i tre ‘folletti' del suo Pescara in B. Prima di Zeman, Verratti era un numero 10 nel deserto dei numeri 10 e quindi quasi inutilizzabile, Insigne un’aletta con pochissimo fisico e poca incidenza nella propria squadra, Immobile una seconda punta che svariava troppo e troppo leggera. Oggi sono il miglior regista d’Europa, un’ala tattica dalla competenza assoluta e buon goleador, una prima punta moderna che sa fare tante cose nelle due fasi. Senza Zeman tutto questo non sarebbe successo.
Fare scuola. Altra cosa che solo Zeman ha ancora è la capacità di insegnare anche agli altri allenatori. Alcuni suoi concetti del 4-3-3 sono alla base oggi delle migliori squadre d’Europa, soprattutto quelle che giocano meglio. Il 4-3-3 di Zeman è conosciutissimo e disinnescabile, ma è diventato anche una sorta di classico da cui partire per conoscere a fondo le sue ricchezze e le sue debolezze.
Il boemo che resiste. Sacchi, Orrico, Maifredi, tutti gli allenatori degli Anni ’90 che hanno voluto rivoluzionare dalle basi il calcio italiano sono tutti a fare altro da molto tempo. Lui invece riesce ancora a resistere. Dice che accade perché ha un’immensa voglia di campo e di lavoro, ma non è solo questo. Il suo gioco che ai poco attenti sembra monolitico e addirittura monocorde, in realtà è stato sempre al passo con i tempi. Un esempio su tutti è l’utilizzo di Memushaj come attaccante centrale contro la Juventus. Non è vero che Zeman è troppo fermo nelle sue idee ed è quasi ottuso nell’applicarle. Zeman conosce perfettamente il calcio contemporaneo ma sa anche che alcuni principi sono centrali per far giocare bene le squadre. Ha da sempre messo insieme questi due elementi, lasciando anche spazio alla libertà dei calciatori.
Totti il suo pupillo. Altro mito da sfatare infatti è l’idea che i calciatori con Zeman siano semplici marionette da muovere su schemi assunti. Grande errore, Zeman dà il principio di gioco e la dimensione tattica ad un calciatore, poi gli lascia grandissima libertà di immaginare calcio a partire da questi due assunti. Per questo i calciatori, primo fra gli altri Totti, amano alla follia il tecnico del Pescara.
Perché non possiamo perderlo. E poi c’è quello che Zeman riesce ancora a essere fuori dal campo, ad esempio nelle interviste dopo-partita. Nelle sue parole non si nota mai il pressapochismo da frasi fatte che utilizzano tutti, che è lo standard non solo nel calcio italiano. Un’intervista a Zeman anche di tre minuti è sempre una finestra che si apre, un momento a partire dal quale riflettere su quello che abbiamo visto e su quello che è il calcio. Zeman sa non farti fare altro mentre lo ascolti, ti cattura, ti stimola, ti insegna delle cose. Uno così è essenziale nel calcio, uno così non possiamo ancora perderlo.