Un presidente piccolo piccolo
Piccola. Il Napoli è una società piccola ma non è questione di budget, né di stadio "che è un cesso" (così lo ha definito De Laurentiis) o di asset patrimoniali. E' piccola perché dire in pubblico "Higuain ha preso un chilo e mezzo" è da bar dello sport non da massimo dirigente di una grande squadra. E' piccola perché alimentare il clima del sospetto sul presunto tentativo di destabilizzare l'ambiente con le chiacchiere sul futuro del Pipita non è proprio di un top club, né di un patron che è uomo di spettacolo e conosce bene le regole del gioco. Con ‘l'imbroglio nel lenzuolo' ha costruito una fortuna.
E se davvero basta un po' di gossip di mercato a turbare l'equilibrio di un gruppo che ha riscosso consensi per la qualità del gioco al di là dei singoli interpreti allora la domanda sorge spontanea: ma dove vive il presidente? Chi si crede di essere per bandire un'azienda (Mediaset) che fa informazione e mette sul piatto milioni in virtù di contratti firmati? Perché il Real Madrid e Cristiano Ronaldo possono essere tirati per la giacchetta sempre e il Napoli no? Perché Messi e il Barcellona un giorno sì e l'altro pure sono sulle prime pagine dei giornali e nessuno scaglia anatemi né ha reazioni isteriche da lesa maestà? Come dovrebbero replicare Pogba, Lewandowski, Neymar, Ibrahimovic (quattro calciatori che insieme valgono quanto tutto il Napoli) e i club d'appartenenza rispetto alle news che circolano con insistenza?
Nessuno di questi che subiscono una pressione mediatica fortissima e commisurata alla loro importanza, che è nulla a fronte di qualche voce di mercato, ha mai sbraitato né attuato ritorsioni simili. Un servizio fazioso o che racconta balle è un boomerang per chi lo propone. Altro ancora è reagire in quel modo con lo scopo di gridare ai poteri forti per distogliere l'attenzione da questioni ben più importanti. E il rinnovo di Higuain, come quello di Sarri, lo è. Così come dovrebbe essere giusto chiarire, chiacchiere a parte, quando/se/come/cosa vuol fare da grande questo Napoli. Tutte cose, anche queste, che – voci a parte – non sono definite. Non ce ne vogliano il Napoli e il suo patron ma tacere sarebbe stata la cosa migliore e avrebbero evitato la figura del bimbo permaloso che rivendica il pallone e lo porta a casa solo perché non sa giocare.
In fondo, non è la prima volta che lo fanno. De Laurentiis ha taciuto su Tavecchio (e s'è schierato pubblicamente dalla sua parte) quando ha contribuito ad eleggere alla presidenza della Figc un ‘dinosauro' d'apparato che ha qualche macchia sulla fedina penale, non certo un rottamatore immacolato. Ha taciuto quando ‘opti pobà' e le ‘donne handicappate nel calcio' fiorivano sulla bocca del numero uno federale. Ha taciuto quando le norme sulla discriminazione territoriale sono state derubricate a sfotto' mentre il Napoli e i napoletani da sempre sono oggetto di insulti razzisti. Ha taciuto anche adesso che, per una strana combinazione del calendario, non è stata garantita contemporaneità alle partite della Juventus e della sua squadra in corsa per lo scudetto. Avrebbe dovuto fare fuoco e fiamme, ma ha taciuto. E il suo non è stato certo il ‘silenzio degli innocenti' ma di un (borghese) presidente piccolo, piccolo.