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Tagliare lo stipendio dei calciatori per il Coronavirus: cosa dice la legge

Cosa succede se il campionato non riprende e il periodo d’inattività dei calciatori si allunga nel tempo? I club possono decurtare loro lo stipendio? Questione di difficile interpretazione sia perché non esistono precedenti al riguardo sia per la difficoltà d’inquadrare la situazione a livello normativo. Ecco cosa potrebbe accadere.
A cura di Maurizio De Santis
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Provate a immaginare la Famiglia Agnelli che fa un po' di conti e, come accadeva ai tempi della Fiat, decida di mettere in cassa integrazione i calciatori perché così va il mercato. Certo, fa sorridere pensare che "lavoratori" con stipendi (perdonate l'eufemismo usato solo per comodità di definizione) vicini o al di sopra (in alcuni casi anche di molto) del milione di euro debbano preoccuparsi di una stretta del genere da parte delle società.

Cosa volete che sia qualche mensilità in meno rispetto a introiti che permettono una vita serena e agiata? Nulla, in rapporto alle difficoltà che sta attraversando il Paese per il brutto ruzzolone dell'economia causato dall'emergenza sanitaria internazionale scaturita dal diffusione del contagio da Coronavirus (qui tutti gli aggiornamenti). Nulla, eppure anche l'azienda calcio – che in Italia sopravvive essenzialmente grazie alla torta dei diritti tv, alla strategia del player trading e delle plusvalenze – potrebbe trovarsi costretta a sedersi al tavolo con il sindacato.

  • Oggetto della discussione: chiedere ai giocatori, in virtù del mancato impegno agonistico e delle ricadute finanziarie della crisi provocate dal ritardo o dal rinvio dei campionati, di rinunciare a parte delle spettanze previste da contratto.

È possibile una cosa del genere, ovvero che i club chiedano un sacrificio ai tesserati come diretta conseguenza della loro mancata prestazione? Non esistono precedenti né prescrizioni normative al riguardo, considerata l'unicità assoluta della situazione in atto. Non è mai capitato che un torneo non sia stato concluso per colpa di una pandemia. E la decisione da parte delle autorità sportive di portare comunque a termine la stagione – con il relativo slittamento di tutte le competizioni, da quelle nazionali fino a quelle continentali per club e per nazionali – in qualche modo consente un periodo di recupero eccezionale (andare in campo anche a giugno/luglio) di quello in cui non c'è stata prestazione. Però, proviamo a dare una lettura della situazione.

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È possibile che il calciatore stia a casa e il club sia comunque obbligato a pagargli lo stipendio? Questione di difficile interpretazione e in ogni caso il discrimine potrebbe essere la durata del periodo di inadempimento della prestazione. C'è un articolo del Codice Civile, il 1256, secondo sui "l'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile".

  • Che succede se l'impossibilità è temporanea come nel caso della Serie A? In questo caso il debitore della prestazione (il calciatore) non è responsabile dell'inadempimento. "Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla".
  • Una società di calcio deve comunque corrispondere l'ingaggio? Sì ma come è legittimo che il calciatore/lavoratore non offra la prestazione data la situazione contingente sarebbe altrettanto legittimo da parte del datore di lavoro applicare una riduzione dei compensi.
  • È legittimo che i club convochino ancora i calciatori per gli allenamenti? In teoria sì ma – restando nell'ambito del Codice Civile – l'articolo 2087 chiarisce che "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". La domanda sorge spontanea: come è possibile tutelare l'integrità fisica dell'atleta se, nel caso specifico, il calcio è uno sport di contatto e condivisone?

Differente è il ragionamento sotto il profilo morale che tocca due aspetti in particolare: il diritto alla salute che viene prima di ogni cosa, anche dei contratti milionari; la sensibilità da parte degli stessi calciatori – in un momento drammatico per il Paese – ad accettare eventuali tagli/riduzioni da parte delle società di calcio che, in caso di mancati introiti, sarebbero costrette a rivedere i propri budget.

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