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Stranieri, Tavecchio chiama il Governo

Obbligo di almeno sei italiani in campo, riduzione del numero di squadre in A e B: obiettivo, varare le riforme entro 8 mesi.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Un mese dopo la sua elezione a presidente federale, per Carlo Tavecchio è tempo di iniziare a discutere delle riforme di cui il calcio italiano ha profondamente bisogno. Sono tanti i problemi a cui bisognerà trovare una soluzione. Fra tanti, sono due i temi più frequenti sul banco federale: in primis, la questione stranieri e la riforma dei campionati. Due temi caldi e su cui bisogna lavorare bene per evitare ulteriori cataclismi al calcio nostrano, già provato da risultati sportivi al di sotto delle aspettative. In più, c'è la questione Nazionale che, dopo una bella partenza, ha già mostrato qualche crepa: lo screzio sul caso Chiellini è ancora nell'aria, ed anche se verrà archiviato con la ripartenza dei campionati di questo fine settimana, è certo che avrà effetti anche nell'immediato futuro. Non c'è moltissimo tempo per attuare le riforme: l'ideale per Tavecchio sarebbe quello di renderle attuali entro otto mesi, in modo da poter partire già dal prossimo campionato.

La questione stranieri. Il problema principale sembra essere legato alla "territorialità" del fenomeno. L'Italia è un paese di circa 60 milioni di persona, l'Unione Europea poco più di 500 milioni. Inevitabile che la comparazione di un polacco ad un tedesco, già di suo parificato all'italiano, è un processo non reversibile. Ed i futuri allargamenti ad est (Turchia, Montenegro, Serbia, Macedonia ed Albania bussano alle porte di Bruxelles già da diverso tempo. Bosnia e Kosovo lo faranno prossimamente) prevedono ulteriori abbattimenti di barriere e dunque nuovi "comunitari". Dal Sud America continuano ad arrivare flotte di giocatori, molti dei quali in possesso di passaporto comunitario (non è difficile trovare in America Latina giocatori con nonni di origine spagnola, portoghese, inglese e naturalmente italiana). Un fenomeno che molto spesso riguarda anche giocatori africani: oltre a quelli cresciuti in paesi europei (ad esempio Pogba e Coman), molti altri hanno passaporti europei come ad esempio Didier Drogba. Insomma, l'extra-comunitario vero e proprio, tra parentele e passaporti, lo sono quasi sempre soltanto i giocatori asiatici, il cui numero peraltro è esiguo in Serie A. Tavecchio, come tutti, sa bene che questa questione non può essere risolta facilmente, e così si rivolge al Governo. "Nel nostro campionato gioano troppi stranieri, c'è bisogno dell'aiuto del Governo per quanto riguarda gli extracomunitrari, che devono avere un certo curriculum per giocare in Italia", ha spiegato intervento a "Pezzi da 90", programma di Radio Onda Libera, "in Inghilterra esiste una legge ad hoc; sui comunitari è più difficile, per il discorso della libera circolazione dei lavoratori. Ma potremmo fare altre cose, come ridurre le rose, per favorire un maggior utilizzo degli italiani. Abbiamo allo studio le riforme in un discorso da fare con la Serie A che detiene il monopolio di queste situazioni. La Federazione intende adoperarsi".

I centri federali. Il problema, secondo Tavecchio, potrebbe essere risolto con i Centri federali, che potrebbero "scremare" gli stranieri in grado di fare la differenza da quelli che invece sono allo stesso livello di giovani italiani. "In Italia c'è un bacino di settecentomila giovani sotto i diciotto anni", ha proseguito Tavecchio, "Per mostrarli e farli conoscere, bisogna fare i centri federali che abbiano una diramazione territoriale nelle province e poi nelle regioni. È un'esigenza di costi, di bilanci che vedo sempre più drammatici: la Federazione dovrà andare anche nelle scuole per creare, come hanno fatto gli inglesi con i college, delle squadre negli istituti scolastici che possano partecipare a dei campionati". Come sarà possibile crearli, vista la situazione economica non proprio florida, è un mistero. Ma l'idea, per ora, pare essere questa. Governo permettendo, ovviamente. "Servono sinergie tra Governo, Enti locali e società. Servono operazioni in sintonia e non andare ciascuno per conto proprio".

Numero minimo di italiani in campo. Considerando, dunque, che gli "extracomunitari" tendono sempre più a diventare "comunitari" grazie a discendenze e passaporti, l'idea di Tavecchio è puntare su un minimo di italiani in campo, a prescindere dunque dalle nazionalità degli altri: si partirà da un minimo di quattro italiani in campo per poi arrivare a quota sei entro il campionato 2015/2016, con l'istituzione di una "commissione" per i nuovi extracomunitari che vorranno venire a giocare in Italia, simile (ma non troppo uguale) a quella che già esiste in Inghilterra per la Premier League. Ovviamente il numero minimo non andrà ad intaccare quello "massimo": ben vengano dunque squadre capaci di schierarne undici (come il Sassuolo alla prima di campionato), ma addio a squadre che ne schierano uno o nessuno (come il Napoli, che in Champions League ha giocato a Bilbao con il solo Christian Maggio).

Diminuzione delle squadre di A e di B. Altra riforma è quella che riguarda i campionati: sono troppe le 20 squadre di A, ancora di più le 22 di B. La Serie C, prima articolata in C1 (due gironi da 18) e C2 (tre gironi da 18) è passata ad un campionato unificato a tre gironi da 20 squadre. In pratica, da 90 si è passati a 60, che non è poco. Anche perché, grazie alla vecchia divisione (nord, centro e sud), per le società di C le trasferte saranno meno dispendiose: stop a trasferte in Sicilia per le piemontesi o nel Friuli per le pugliesi. Più "pericoli" di ordine pubblico dovute al sempre pessimo fenomeno ultras, ma quello può essere risolto, anche se tristemente, con stadi chiusi e campi neutri. In tempi di crisi non si può fare gli schizzinosi. Per la Serie A, dunque, si scenderà a quota 18 squadre, mentre la Serie B a 20. Insomma, si torna all'antico. Così facendo si dovrebbe anche ridurre (eliminare sarebbe un miracolo) il pericolo di risultati "scombinati" verso la fine del campionato, quando molti verdetti sono già stabiliti. O almeno, si spera.

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