Il Milan dell’era Berlusconi: l’uomo che ha rivoluzionato il calcio
All'inizio lo presero per matto. Per un folle visionario. Per uno che non sapeva come buttare i suoi soldi. Ma gli scettici, furono presto smentiti. Il colpo di fulmine tra "Sua Emittenza" ed il Diavolo arrivò nel febbraio 1986. Salvato dal fallimento il club, guardò in faccia tutti e disse: "Dobbiamo diventare la squadra più titolata al mondo". Gli sguardi divertiti di chi era presente in quel summit tenutosi nel castello di Pomerio, si trasformarono presto in sguardi d'ammirazione per le capacità di quell'imprenditore che stava già cambiando profondamente le nostre abitudini televisive. Anche gli stessi giocatori, per nulla convinti di quelle parole, furono subito travolti dal potere economico e "mediatico" di Silvio Berlusconi: una forza che esplose in tutta la sua potenza nel famoso primo giorno di ritiro del luglio seguente, quando la squadra atterrò, accompagnata dalle note della cavalcata delle Valchirie, sul terreno dell'Arena Civica di Milano.
Luglio 1986, la rinascita del Milan
Sono passati quasi trent'anni dall'atterraggio degli elicotteri. Una vita per molti tifosi del Milan che, fino ad allora, erano in preda all'ansia di veder sparire la loro gloriosa società. "Avevamo appena il pullman, ci siamo trovati in elicottero", disse Franco Baresi qualche anno più tardi. L'ex proprietario, sommerso dai debiti, fuggì e lasciò una situazione disastrosa. Berlusconi arrivò, sistemò i conti e cominciò a lavorare secondo la sua "folle" filosofia. Da quel luglio 1986, la società rossonera cambiò radicalmente. Il Cavaliere entrò nel mondo del calcio con forza, senza chiedere permesso. Un vero e proprio tornado si abbattè sul mondo del calcio. Diede visibilità al suo progetto attraverso una martellante campagna pubblicitaria sulle sue televisioni, cambiò le regole interne di Milanello, che poco prima veniva addirittura affittato da Farina per matrimoni e ricevimenti. Fece del centro sportivo rossonero, un posto invidiato dagli altri club dove potersi allenare e costruire vittorie. Cambiò quasi tutto: dall'inserimento nello staff di uno psicologo, fino al menù dei giocatori che, ben presto, dovettero anche cambiare le loro abitudini dentro Milanello e fuori dal campo.
Galliani, il ‘condor' del mercato, e l'era Sacchi
Grazie all'arrivo di Adriano Galliani, vecchio socio in affari nelle "questioni" televisive, Silvio Berlusconi stravolse anche il concetto di mercato acquistando giocatori "veri", senza badare a spese. Il primo fu Roberto Donadoni, strappato con decisione all'Atalanta che, a sua volta, lo aveva già promesso alla Juventus. Salutato Nils Liedholm, con il quale non aveva mai legato, scoprì Arrigo Sacchi, gli diede in mano una fuoriserie e riuscì a riportare la società sul tetto del mondo. Grazie al lavoro di Ariedo Braida, arrivarono gli olandesi: protagonisti principali dello scudetto vinto in faccia a Diego Armando Maradona. Un anno più tardi, riempì il "Camp Nou" di tifosi del Milan e riportò la Coppa dei Campioni a Milano. A distanza di mesi, arrivò anche la punizione di Evani ed il successo nell'Intercontinentale. Non contento, e nel momento dell'addio a Sacchi, s'inventò allenatore Fabio Capello e vinse nuovamente anche con quello che, ai tempi, veniva chiamato "il cameriere di Arcore": quattro scudetti di fila e la Champions League nella magica notte del pallonetto di Dejan Savicevic.
Trent'anni di successi
Dagli elicotteri dell'Arena, e prima dell'arrivo del van nero di Mr. Bee, la storia rossonera è stata un concentrato di grandi vittorie e di grandi protagonisti. Per buona parte di questi ventinove anni anni, la Milano rossonera ha potuto applaudire grandi campioni, riempiendo prima i due, poi i tre anelli di quel "Meazza" che, anche lui, pare essere al passo d'addio. Basterebbe fare un giro nel nuovo e bellissimo "Mondo Milan" (il museo del club, adiacente alla nuova sede) per rendersi conto di quanto è stato importante "il Silvio" (come lo chiamano a Milano). Nel punto più importante del museo rossonero, una specie di "piazzetta" con al centro una gigantesca Champions League, vi è una bacheca circolare talmente piena da far girare la testa che, oltre ai successi dell'era pre Berlusconi, contiene anche i trofei vinti durante la sua gestione: 8 scudetti, 1 Coppa Italia, 6 Supercoppe italiane, 5 fra Coppe campioni e Champions League, 5 Supercoppe europee, 3 tra Coppe intercontinentali e Mondiali per club.
Tonfi e trionfi, Istanbul come Caporetto
Un cammino straordinario che ha avuto anche i suoi momenti drammatici. Dalla notte di Marsiglia (serata di cui ancora tutti si vergognano) fino alla sconfitta più dura da digerire (Istanbul 2005), Berlusconi (e Galliani) hanno anche dovuto portare la nave in mezzo a tempeste burrascose, divenute sempre più pericolose dal progressivo allontanamento del proprietario: risucchiato e coinvolto in faccende extra calcistiche e con meno quattrini da poter spendere per la sua creatura. Il resto è attualità e le foto di Maldini e Kakà che alzano la coppa ad Atene e quella di Ibrahimovic che si cuce lo scudetto sul petto, sono ormai dolci ricordi lontani. Giocatori sempre più inadeguati, San Siro che si svuota, la tifoseria che contesta, le prime voci di un possibile addio e l'arrivo dei primi compratori. All'alba di una svolta importante per Milano e per il Milan (lo stadio di proprietà), è in arrivo un cambio epocale e un nuovo azionista di maggioranza. Qualche giorno dopo l'atterraggio dei famosi elicotteri, Stefano Tacconi disse "Gli serviranno per scappare alla prima sconfitta". A distanza di anni dalla poco profetica dichiarazione dell'allora portiere juventino, Berlusconi lascia il club. Ma lo fa senza scappare. Passa semplicemente la mano come, prima di lui, ha fatto il suo dirimpettaio Moratti. Con quello che ha vinto, può farlo a testa alta.