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Serie A, senza diritti tv sarebbe un fallimento

Impietoso studio sui conti del campionato italiano: bilancio in rosso, ingaggi pesanti ed introiti legati solo alle televisioni. Mentre all’estero si punta su marketing e botteghini.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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La Serie A italiana continua ad arrancare: non soltanto dal punto di vista dei risultati sportivi delle proprie squadre in Europa, che ormai non riescono ad alzare un trofeo dal lontano 2010 (all'epoca fu la Champions vinta dall'Inter a Madrid, in finale sul Bayern Monaco), ma anche da quello economico. L'industria-calcio, ovvero il nuovo modo di intendere quello che nacque inizialmente come un semplice sport, in Italia fa fatica a sfondare, mentre all'estero (inteso come i principali campionati europei) è da tempo una solida realtà, come dimostra uno studio della Deloitte.

Ufficialmente, i cinque maggiori campionati europei sono in crescita: dalla Premier alla Liga, passando per Serie A, Ligue 1 e Bundesliga, il segno più è quello che prevale. Al termine della stagione 2014/2015, le "cinque sorelle" hanno generato un fatturato complessivo pari a 12 miliardi di euro, in crescita del 7% rispetto alla stagione precedente, e che rappresenta oltre la metà (54%) dell'intero ricavato europeo. Ma l'Italia, tra le cinque, è quella che fa più fatica a crescere: anzi, se si togliessero gli introiti dei diritti televisivi, il sistema-calcio italiano crollerebbe senza appello.

(Fonte: Deloitte)
(Fonte: Deloitte)

Serie A, ingaggi alti e risultati bassi

Pesano come macigni sui bilanci gli stipendi dei calciatori: non è bastato introdurre l'obbligo di rose da 25 elementi, né i tetti salariali imposti da alcune società. Ancora oggi, in Italia, il 70% degli introiti serve per pagare gli stipendi dei calciatori. Dato senza eguali negli altri grandi campionati: in Francia si arriva al 67%, in Spagna al 63%, in Inghilterra al 61% ed in Germania al 52%. Una spesa che non trova riscontro nei risultati europei: negli ultimi undici anni (stagione 2005/2006 ad oggi), l'Italia ha alzato tre trofei europei (le Champions League 2007 e 2010 e la Supercoppa 2007), l'Inghilterra quattro (2 Champions League, una Europa League, due Supercoppe), la Germania due (la Champions e la Supercoppa 2013), la Spagna 19 (7 Champions, 7 Europa League, 5 supercoppe europee, cui si aggiugerà la sesta quest'estate nella finale Real Madrid-Siviglia, terzo "derby" consecutivo tra spagnole). Di fatto, tolta la Francia che per ora appare fuori dai giochi europei, quasi tutte hanno fatto meglio dell'Italia, con la Spagna che ha vinto da sola 19 trofei su 33.

(Fonte: Deloitte)
(Fonte: Deloitte)

La Serie A chiude in passivo

I singoli campionati se la passano ancora meglio dal punto di vista dei bilanci. La Premier League ha fatturato nell'ultima stagione 718 milioni di euro, la Bundesliga 316 e la Liga 264, con la Francia in perdita di 35 milioni. Chi ha fatto peggio è stata però l'Italia, con un passivo di 133 milioni di euro. Ed il motivo è presto detto: bassi incassi da botteghini, marketing e via dicendo, con un fatturato basato quasi interamente sui diritti televisivi. Basta pensare che nella stagione 2008/2009, la Premier League fatturava 2,6 miliardi di euro mentre oggi ne fattura 4,4. Quasi il doppio, mentre la Serie A, oggi, ne fattura 1,8 oggi: meno di quanto fatturasse la Premier sette anni fa. L'incidenza dei diritti tv sui fatturati in Italia è altissima: 61% del bilancio totale. In Inghilterra appena il 53%, i Spagna il 48%, in Francia il 44% ed in Germania appena il 31%.

(Fonte: Deloitte)
(Fonte: Deloitte)

Insomma, mentre all'estero si curano tutti gli aspetti legati al tifoso come "cliente" (parola orrenda da usare nello sport, ma che rende bene il nuovo concetto di "industria-calcio"), e dunque si potenziano stadi, strutture di ricezione, marketing e così via, in Italia si bada bene solo ad incassare i diritti televisivi, spesso in barba proprio ai tifosi: basta pensare al campionato-spezzatino degli ultimi anni, con gare che partono anche dal venerdì sera, proseguono con 2-3 anticipi al sabato (15, 18, 20.45), un altro alla domenica a pranzo, uno-due di domenica sera (18 e 20.45) e talvolta anche due al lunedì (19 e 21). La domenica pomeriggio allo stadio, insomma, è una chimera.

 
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