Sarrismo o Maxismo, la via della rivoluzione per lo scudetto. Da che parte state?
Prima della pausa invernale del nostro campionato tutto è sembrato allinearsi in una posizione ben definita e che quasi tutti pronosticavano ad inizio torneo. Il copione s'è ripetuto anche alla ripresa della Serie A. Le ultime prove molto opache di Roma e Inter hanno detto che a contendersi ancora una volta lo scudetto, con alcune differenze rispetto agli anni precedenti, saranno Napoli e Juventus. E quest’anno ancora più di prima la battaglia finale sarà fra Maurizio Sarri e Massimiliano Allegri.
La sfida è un confronto fra due squadre e due tecnici, tra due filosofie di gioco. Se prendiamo gli allenatori di serie A ormai tutti si incasellano in due box differenti: da una parte quelli come Di Francesco, Oddo, Giampaolo i quali si sentono ispirati dai principi sarriani, mentre i due Inzaghi o Pioli si sentono molto più vicini alle idee allegriane. Questa dicotomia netta certifica due cose: la prima è che è giusto parlare di sarrismo e maxismo come le due idee di proposta calcistica più studiate e seguite dagli altri allenatori italiani, e in secondo luogo è corretto considerare questa come la stagione che decreterà il vincitore definitivo e che avrà di sicuro un effetto fondamentale sul calcio italiano in un momento di assoluta tabula rasa e necessaria ricostruzione dopo l’eliminazione contro la Svezia della nostra Nazionale.
Sarrismo contro Maxismo non è un vezzo giornalistico quindi, ma è lo scontro da cui ne uscirà soltanto una di proposta calcistica che ci guiderà nel nostro futuro. Delle differenze fra i due modelli di calcio si è parlato tanto e tanto ancora c’è da dire. Se ci fermiamo solamente al campo viene semplice indicare come grande differenza l’importanza del possesso palla ad alta velocità richiesto da Sarri, rispetto a quello cadenzato e con cambi di ritmo repentini di Allegri. Allegri ha richiesto e ottenuto il centravanti vero, quello che ti sa decidere una partita e su cui lui punta sempre molto, mentre Sarri, una volta che quello stesso centravanti gli è stato tolto, ha deciso che il suo attaccante doveva essere lo spazio, dove tanti giocatori a turno sanno farsi trovare pronti.
L’impostazione difensiva delle squadre forse è la loro più grande diversità. Sarri non vuole che i suoi calciatori difendano rispettando le loro posizioni, vuole che difendano aggredendo e cercando di togliere il pallone all’avversario nei primi secondi di impostazione della manovra altrui. Allegri invece non ha paura del “rinculo” moderato della sua squadra, perché ha due consapevolezze, la prima è quella di avere una difesa granitica, capace di reggere gli urti senza problemi e perfetta per quel che riguarda i movimenti difensivi anche dopo aver perso Bonucci, la seconda è che il duo Pjanic-Khedira riesce a giocare ancora meglio quando viene recuperata la palla e loro possono aprire il gioco o fiondarsi negli spazi mentre la difesa avversaria è ancora in transizione.
Questi sono solo due dei principi tattici di base a creare già una grossa differenza fra Sarri ed Allegri. Poi c’è la parte dell’atteggiamento. Il Napoli ha sempre fretta di chiudere, è una squadra che non può e non sa rilassarsi perché perderebbe subito le distanze fra reparti e uomini e verrebbe meno il principio del “seguire” costantemente il gioco e adattarsi continuamente ad esso, rimanendo sempre attivo. Allegri, ricalcando in parte anche il suo essere stato calciatore, non vuole far perdere fosforo al suo centrale difensivo e a Pjanic, oltre a far rendere sempre allo stesso livello Higuain e Dybala per 90 minuti. Questi devono capire la partita e guidarla, non spremendosi fino alla fine ma conservando energie importanti da distillare nell’arco di tutto il match.
E poi quanto sono diversi di fronte alle telecamere e per quello che noi, guardandoli, pensiamo di loro. Sarri lo pensiamo e si mostra come un burbero maestro di scuola, col tutone largo e la cicca fra le mani, l’immagine di un artigiano mezzo genio (o mezzo pazzo) che cerca di far capire delle cose ai suoi allievi, a volte riuscendoci ed altre no. Allegri è l’opposto totale, perché da uomo tendenzialmente vicino al Sarri di oggi si allontana da quella figura divenendo un vero e proprio uomo di azienda, sempre impeccabile, tranne per qualche sfuriata necessaria, e sempre col sorriso di chi deve vendere emozioni prima che farle vivere.
E allora ci siamo, il campionato che tornerà dal weekend prossimo ci deve dire chi vincerà la sfida e chi sarà l’uomo da seguire per ritornare a contare: l’orizzonte mai raggiunto ma il cui percorso è meraviglioso di Sarri, o l’officina ben gestita e piena di pezzi di ricambio di Allegri? Chi vince questa sfida determina il calcio italiano dei prossimi dieci anni. Beh, mica male come peso oltre a dover vincere anche lo scudetto.