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Sarri alla Juve, ha vinto De Laurentiis. E per favore, non parlateci più di rivoluzioni

L’annuncio ufficiale di Maurizio Sarri alla Juventus è l’ennesimo successo del presidente, Aurelio De Laurentiis. Ha vinto lui, Aurelio d’America insultato e maledetto da quegli stessi tifosi dinanzi ai quali Sarri andò a genuflettersi. Ha vinto lui, il produttore fattosi uomo di calcio, che ha fiuto per gli affari e sa come si tratta. Retorica a parte è così che va nel calcio come nella vita, su quel che resta del Sarrismo e di una bellissima illusione collettiva.
A cura di Maurizio De Santis
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Maurizio Sarri nuovo allenatore della Juventus è una vittoria di Aurelio De Laurentiis. La piazza mugugnò quando il presidente scelse il tecnico dell'Empoli e lo sostenne dopo un avvio di campionato difficile. Il verbo del comandante si manifestò tra sigarette e spire di fumo, droni e schemi scanditi da allenamenti maniacali, cazzo e frocio sdoganati nel linguaggio verace dell'uomo di campo, la tuta e la barba incolta, la rivoluzione e la presa del palazzo, il tifo confuso con la professione, il dito medio, gli arbitri condizionati, il fatturato che fa il controcanto a "io sul mercato non ho mai chiesto niente", ‘the Champioooons' e lo scudetto perso in albergo.

Per 3 anni a Napoli l'epica del Sarrismo è divenuta mitologia, religione pagana venerata nel ventre molle della città che s'è agitata, sollevata, adunata attorno al novello Masaniello originario del quartiere di Bagnoli [quello operaio dell'Ilva avvelenato dall'amianto e del papà gruista], emigrato in Toscana, bancario per professione, allenatore per hobby, pronto a liberare il popolo dal potere calcistico della ‘vecchia signora', salvo farle il baciamano e prenderla sotto braccio. Lui da una parte, Gonzalo Higuain dall'altra: il figlio ‘che ha fatto una cazzata', così lo definì quando, amareggiato per il modo in cui era andato via da Napoli ["non mi ha fatto nemmeno una telefonata"], commentò la decisione del Pipita di fare le visite di nascosto a Madrid e trasferirsi a Torino dopo aver saltato sotto la Curva per il record di gol.

Maurizio Sarri alla Juventus è una vittoria, l'ennesima, di Aurelio De Laurentiis dopo il ‘tradimento' dell'unico argentino che a Napoli è associato al numero 71 della smorfia [l'uomo senza valore, l'omme e merda in dialetto]. Da quando è nel calcio – piaccia o meno – ha mostrato abbastanza intuito da prendere una squadra che nemmeno aveva i palloni per fare allenamento e portarla tra le prime 20 d'Europa in 15 anni. "Pappone, caccia i soldi", è lo slogan scritto ovunque, di bocca in bocca, nelle chiacchiere da bar, nella retorica del vicolo, contro il patron amato poco e odiato assai, refrattario alla promiscuità delle emozioni e dei traffici, attento al bilancio, devoto alla famiglia – che siede tutta nel CdA del club – e all'azienda cinematografica Filmauro, in perfetta simbiosi finanziaria tra cinema e pallone.

Ha vinto lui, Aurelio d'America perché il ‘nemico sportivo' per eccellenza rinnega la propria filosofia del ‘vincere prima di tutto, a ogni costo' e prende l'allenatore che aveva allestito un bellissimo spettacolo da circo, regalato una visione a un popolo che s'era perso tra i misteri alessandrini del capello di Maradona. Ha vinto lui, Aurelio d'America insultato e maledetto da quegli stessi tifosi dinanzi ai quali Sarri andò a genuflettersi. Non una bella cosa verso chi ha creduto in te e ti paga ma un'uscita di scena teatrale consona a una sceneggiata.

Ha vinto lui, il produttore fattosi uomo di calcio, che ha fiuto per gli affari e sa come si tratta: nell'anno che avrebbe determinato la fine di un'epoca eroica, ingaggiò l'allenatore che ha conquistato tutto in carriera, Ancelotti, e avviò la rifondazione in corsa senza perdere il tesoro della Champions. Una mano la stringeva a Carletto, con l'altra teneva al guinzaglio il tecnico che a gennaio già flirtava col Chelsea e andava in tv a parlare di una squadra smontata e ridimensionata. Lo ha liberato solo quando da Londra è giunto il bonifico dell'indennizzo. Lo stesso preteso dai Blues prima che Sarri si dedicasse anima e corpo alla causa juventina perché lui – dice – è un professionista, di quelli che può mettere la mano sul cuore o sul fuoco senza scottarsi mai. Retorica a parte è così che va nel calcio [che oggi è prima di tutto azienda, business] come nella vita.

E' molto bello quello che ha fatto per me, ma vede sono una donna come tante… sudo, tossisco, ho la carie. Non le mancherò, se ne sarà certo reso conto. E non dimentichi di chiudere la porta uscendo.

Dall'azzurro al [film] blu, il colore dominante per un finale perfetto, sfumato a sorpresa su quel che resta del Sarrismo e di una bellissima illusione collettiva. Ha vinto ancora una volta Aurelio d'America. Magari inizierà a farlo anche sul campo. E per favore, non parlateci più di rivoluzioni.

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