Real-Atletico, il derby di Madrid alla lavagna tattica
È cambiato molto in cinque mesi. Real e Atletico sono oggi due squadre diverse rispetto alla finale di Champions. Zidane acuisce la tendenza alla verticalità dei blancos, che tirano più di tutti in Europa ma non cercano più la gestione insistita del possesso. Simeone ha fatto evolvere i Colchoneros nel senso di un maggior controllo degli spazi, di un calcio sempre aggressivo ma più complesso rispetto alla difesa aggressiva e alle ripartenze veloci viste fino all'anno scorso. Merito di un centrocampista universale come Koke e di un Carrasco sempre più decisivo davanti in appoggio a Griezmann.
La filosofia di Simeone – L'idea alla base del calcio del Cholo è semplice. Giocare di squadra, in contropiede, far leva sulla compattenza. Un principio che non è mai cambiato pur nella naurale evoluzione di quest'anno. L'Atletico cerca di portare il maggior numero possibile di giocatori sulla palla per recuperare presto il possesso. Divide et impera, il Cholo: costringe gli avversari ad aprirsi e mantiene l'unione dei suoi con una difesa più bassa. Porta gli avversari a giocare in zone meno pericolose, fa leva sul fraseggio per l'uscita bassa del pallone e su giocatori universali, con un notevole primo controllo e una visione che ne esalti la versatilità (come Saül Niguez o lo stesso Carrasco).
I principi di Zidane – Col tempo, Zidane ha trasformato l'idea iniziale che aveva illustrato al momento della presentazione in una configurazione mista, a volte anche più meccanica, che porta comunque i blancos a creare 15,73 occasioni a partita. Zidane ha proseguito nella visione di Ancelotti, ha reso estremo il 4-3-3 con un solo “pivote” e due mezze-ali più votate all'attacco. Ha intensificato, accentuato la partecipazione anche di Marcelo, Carvajal e Danilo nella costruzione del gioco, e sviluppato un'identità non sempre in grado di essere all'altezza delle aspettative di brillantezza nella circolazione del pallone che caratterizza l'ambiente del Bernabeu.
Real senza Kroos – Zidane avrà un grosso rebus da risolvere sabato: l'assenza di Kroos, il quarto miglior “passatore” d'Europa (almeno nei cinque principali campionati che compongono il big five). Il tedesco, che gioca da unico centrocampista difensivo nel 4-3-3 di Zidane, non ha un vero sostituto. Modric ha controllo e visione per riprenderne i compiti di impostazione, ma qualcosa si perderebbe dal punto di vista del recupero del pallone, e soprattutto rimane molto più incisivo com mezzala di possesso. Considerato che Kovacic è sì un centrocampista difensivo, capace di garantire sì copertura a tutto campo ma non a suo agio nell'intercettare palloni e nel mantenere la compattezza fra le linee (è insomma ideale se deve giocare accanto a un altro regista basso), Zidane potrebbe decidere di forzare i tempi di recupero di Casemiro, il jolly chiave nel derby di finale di Champions.
Che modulo per Zidane – Senza Morata, ma con il recupero di Benzema, è più che probabile che Zidane mantenga la soluzione con una punta, magari passando a una sorta di 4-2-3-1 che permette a uno fra Isco e James Rodriguez di giocare nel ruolo in cui si esprime meglio. Certo, questa configurazione richiede molto impegno da parte degli esterni alti per portare il pallone negli ultimi trenta metri, un tipo di lavoro che Cristiano Ronaldo non sembra più riuscire a gestire con continuità. E questo ha tolto un po' di fluidità alla manovra offensiva del Real.
Atletico, come si cambia – Fluidità che invece l'Atletico sta trovando eccome. Merito dell'energia di Gameiro, che maschera l'assenza di una prima punta classica, di un erede effettivo di Diego Costa. Merito anche della diversa consapevolezza di Carrasco. “Simeone mi ha detto di tirare di più quando sento che è il momento” ha spiegato, “e di passare meno la palla di fronte alla porta”. Merito anche di giocatori che hanno portato una mentalità più offensiva e una maggiore creatività, come Correa, che trasuda esuberanza a ogni tocco di palla. Insieme all'imprevedibilità di Griezmann, c'è però un fattore principale che ha reso l'Atletico una squadra più votata rispetto al passato alla gestione del possesso palla, oltre che al controllo degli spazi: l'emergere, la definitiva maturazione di Koke, che ha contribuito alle fortune dei rojiblancos con 25 gol e 66 assist nelle 285 presenze spalmate in sette anni di carriera.
Koke – I 76.8 passaggi di media a partita lo spingono al secondo posto nella Liga dietro Mascherano. E' il giocatore che crea più occasioni nell'Atletico, 2.4 passaggi chiave a partita, in una classifica guidata dal nuovo leader del Las Palmas Jonathan Viera che, come ha detto a Marca qualche giorno fa, aveva perso l'illusione e la passione per il calcio.
È proprio la sua evoluzione a raccontare il cambio di passo dei Colchoneros dal 4-4-2 aggressivo e disciplinato nell'anno del titolo, un modulo che funziona contro avversari che attaccano e prendono spazi ma non sempre risulta efficace contro difese chiuse e compatte. Quest'anno, con un gioco più maturo, l'Atletico ha un centrocampo più simile al Barcellona con un regista arretrato e una mezzala di possesso. Tuttavia Augusto, Tiago o Gabi non hanno la precisione nei passaggi di Busquets (ma quelli che ce l'hanno sono pochi) e Koke si ritrova un po' a mescolare i due compiti e i due ruoli. Per esempio, contro il Deportivo l'Atletico ha completato 608 passaggi: Koke ne ha effettuati 110 e ne ha ricevuti 103. Più di un terzo, dunque, dei palloni giocati dai Colchoneros in 90 minuti son passati da lui.
Oltre alla forma, poi, c'è la sostanza. Davanti l'Atletico ha attaccanti molto diretti nella ricerca della porta, vedi Torres e lo stesso Griezmann. Ma sviluppa un gioco che richiede una pressione costante, un'evoluzione nel principio di organizzazione della manovra che guarda al Borussia Dortmund ma richiede più tempo per essere interiorizzato. E soprattutto richiede un artefice come Koke che sappia come tenere palla con la squadra alta e costringere i difensori a salire per aiutare gli inserimenti verticali negli spazi dei compagni d'attacco.
Che partita sarà – Sarà dunque un Madrileno Derbi tutto giocato sui dettagli, sulla ricerca dei semi-spazi, dei corridoi interni, sull'anticipo delle intenzioni. Su quel filo sottile che passa fra l'adattarsi per sfruttare i punti deboli dell'avversario e lo snaturarsi per coprire i propri. Un derby che vive di trasformazioni e di accenti, di rivincite da prendere, di lezioni da imparare, di cambiamenti per il meglio. Un derby che parla di Madrid, e con Madrid parla di questa Spagna in stallo e gattopardesca trasformazione, ancora senza governo. Perché Madrid, come scriveva Hemingway, “non ha nulla di quello che ci si può aspettare dalla Spagna. È moderna più che pittoresca senza costumi, Non c'è in città nessun sito di color locale per i turisti. E pure, a conoscerla, è la città più spagnola di tutte”. E questo derby rimane il più spagnolo di tutti. Un affresco di passione lungo 90 minuti.