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Quando la smetterà Ancelotti di far giocare il Napoli come ai quattro cantoni?

Le scelte di formazione di Carlo Ancelotti nel match con il Genk, soprattutto la tribuna per il capitano Lorenzo Insigne, evidenziano un dubbio fin qui sopito dai risultati. L’esasperato turnover del tecnico emiliano, che in stagione non ha ancora mai schierato la stessa formazione in due partite diverse, è controproducente per l’evoluzione del suo Napoli che non sembra aver trovato ancora continuità di squadra necessaria per competere ad altissimi livelli?
A cura di Michele Mazzeo
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Il troppo (forse) stroppia. Otto partite stagionali con uno score di cinque vittorie, un pareggio e due sconfitte. È questo il ruolino di marcia del Napoli di Carlo Ancelotti in questo avvio di stagione, la seconda per il tecnico emiliano sulla panchina partenopea. Più che lo score in sé, però, a sorprendere è il fatto che ancora l’allenatore non abbia mai schierato due formazioni titolari identiche e nell’ultimo periodo abbia estremizzato, come vedremo, quel turnover a lui tanto caro e di cui è maestro ma che ad oggi, almeno in termini di risultati (ma anche di gioco come dimostra l’opaco secondo tempo di Genk), non sembra pagare. Anzi, sembra essere il vero problema di una squadra che, seppur rodata, deve trovare una nuova amalgama dopo l’arrivo di importanti innesti come Di Lorenzo, Manolas, Elmas, Lozano e Llorente.

Dalla panchina di Mertens alla tribuna di Insigne: le ‘esclusioni eccellenti' di Genk

Nell’ultima gara di Champions League, quella pareggiata in casa del modesto Genk, a fare le spese di questo turnover sfrenato Dries Mertens e Fernando Llorente, mandati in panchina nonostante nelle ultime precedenti partite si siano evidenziati tra i calciatori attualmente più in forma dell’intera rosa azzurra, ma soprattutto Faouzi Ghoulam e il capitano Lorenzo Insigne, finiti addirittura in tribuna per scelta tecnica nella trasferta belga. Per come si era messo l’incontro della Luminus Arena (in quanto principali alternative dell’infortunato Mario Rui e dell’evanescente Hirving Lozano) sarebbe tornato utilissimo averli almeno in panchina.

Ma se l’esclusione dell’algerino, titolare domenica scorsa contro il Brescia, nell’ottica della panchina corta di Champions (gli allenatori possono portare solo 7 elementi), è facilmente comprensibile, quella del talento di Frattamaggiore, che nel match contro le Rondinelle non era partito dal primo minuto, lo è un po’ meno data la scelta di portare il poi inutilizzato Younes al suo posto in panchina, ma soprattutto per il ruolo che riveste il numero #24 all’interno dello spogliatoio partenopeo (escludere il capitano in una gara da vincere a tutti i costi potrebbe minare la sua leadership). E la spiegazione data nel post partita dal buon Carletto (“l’ho visto poco brillante in allenamento, così ho preferito tenerlo fuori anche perché domenica c’è il Torino e l’ho tenuto fresco”) non convince totalmente.

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La polvere sotto il ‘tappeto' del brillante successo con il Liverpool

Eppure la seconda stagione da tecnico partenopeo di Ancelotti si era aperta all’insegna della continuità con un solo cambio di formazione tra la partita di Firenze contro la Fiorentina e quella di Torino contro la Juventus dell’ex Sarri: Mario Rui titolare al Franchi, Ghoulam all’Allianz Stadium, con la squadra invariata per dieci undicesimi. Dopo la sosta per le Nazionali però il tecnico di Reggiolo ha però deciso di forzare la mano con le rotazioni degli uomini a disposizione ed ecco che nella prima casalinga contro la Sampdoria sono ben quattro le novità rispetto all’undici di Torino per poi cambiarne due nell’esordio in Champions League contro il Liverpool al San Paolo. È nella trasferta di Lecce che però c’è una prima vera rivoluzione con ben otto titolari diversi rispetto alla formazione che aveva cominciato la gara contro i Reds. Prestazioni e risultati però fin qui sembrano dar ragione ad Ancelotti, anche se i tanti gol subiti cominciano a destare qualche preoccupazione.

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Cagliari, Brescia e Genk: la ‘rivoluzione’ esagerata di Carletto

La sconfitta casalinga nel turno infrasettimanale con il Cagliari (con altri otto cambi di formazione) rivela un po’ di quella polvere nascosta sotto il tappeto d’entusiasmo dei risultati (soprattutto dopo la bella affermazione contro i campioni d’Europa in carica di Jurgen Klopp nel debutto stagionale in Champions). La vittoria sofferta al San Paolo con la neopromossa Brescia (quattro le variazioni nell’undici iniziale rispetto ala squadra che ha affrontato i sardi) non ha mitigato quei dubbi, anzi li ha fatti aumentare, così come il pareggio a reti inviolate sul campo del Genk con le già citate “esclusioni eccellenti” e uno schieramento titolare ancora rivoluzionato (questa volta per cinque undicesimi).

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La ricerca della continuità (e della felicità)

Ora, se è vero che ancora presto per fare dei bilanci, non si può non notare come questo continuo tourbillon di uomini e schieramenti non abbia ancora permesso al Napoli, certamente rinforzato dopo il mercato, di trovare la quadra e di raggiungere quell’equilibrio e quella continuità nelle prestazioni (e nei risultati) che garantirebbero l’accesso nel gotha del calcio europeo. Ma, come detto, per Ancelotti, che in quel gotha c’è stato da protagonista per oltre un decennio, il turnover è un dogma che lo accompagna nella sua vincente e brillante carriera da allenatore. Un dogma che questa volta però pare gli si stia ritorcendo contro.

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