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Quale Italia arriverà alle qualificazioni di Euro 2020?

Dal novembre 2017 al novembre 2018, cosa è cambiato dalla Nazionale di Gian Piero Ventura che fallì contro la Svezia la qualificazione ai Mondiali a quella di Mancini che nella stessa cornice di San Siro non è andata oltre lo 0-0 contro il Portogallo in Nations League mancando l’accesso alla Final Four.
A cura di Jvan Sica
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Dal novembre 2017 al novembre 2018 per la Nazionale italiana sembra essere passato più di un anno. Prima di tutto si sono seduti sulla panchina tre allenatori diversi, Ventura, Di Biagio e Mancini e in secondo luogo tanti senatori hanno lasciato, Buffon, De Rossi e Barzagli fra gli altri, e tanti nomi nuovi sono entrati nel clan azzurro.

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Non è successo tutto per caso, come tutti sanno. Il 13 novembre 2017 allo stadio San Siro di Milano, l’Italia non riesce ad andare oltre lo 0-0 contro la Svezia, che aveva vinto 1-0 in casa, e viene estromessa dai Mondiali di Russia dopo ben 60 anni di nostre partecipazioni. Il Presidente federale Tavecchio, prima degli spareggi disse che la non qualificazione sarebbe stata un’Apocalisse. Così è stata per lui, Ventura, buna parte dei calciatori, ma è bene allargare il discorso all’intero calcio italiano, che dopo anni di disastri e pochezza europea, finalmente si rende conto che è al suo minimo storico e deve fare qualcosa di serio e sostanziale per ripartire.

Questa premessa era d’obbligo perché bisogna capire dove eravamo un anno fa, per analizzare meglio quello che siamo adesso. Il 17 novembre 2018, sempre a San Siro, per una nuova manifestazione, la Nations League, giochiamo la partita decisiva contro il Portogallo e ripetiamo il risultato di un anno fa, 0-0, venendo eliminati dalla Final Four di giugno. Stesso stadio, stesso risultato finale, stessa conclusione per la squadra. Eppure qualcosa di diverso c’è.

Roberto Mancini doveva essere un ct con idee nuove per non ripetere errori che ci hanno tagliato le gambe in questi anni e, piano piano, sta davvero dimostrando di voler cambiare delle dinamiche in ogni settore, dal campo alle scelte che riguardano l’intero ambiente. Grazie anche ai suggerimenti che il campionato gli sta dando, come il nuovo ruolo di Insigne nel Napoli di Ancelotti o la crescente importanza di Bernardeschi nella Juve di Allegri, ha deciso finalmente di mettere in campo tutti gli uomini di talento che abbiamo, senza preoccuparsi troppo di equilibri troppe volte limitanti per la nostra Nazionale. In questo momento un’Italia tipo vede in campo Verratti, Jorginho, Barella, Chiesa, Insigne e Bernardeschi. Solo un anno fa pensare di giocare senza un mediano di corsa, anche se Barella può fare tutto, senza un centravanti che apriva spazi col fisico e facesse la boa per essere il fulcro del gioco, e con tre mezzepunte o ali brave nello scambiarsi in corsa compiti e posizioni, era assolutamente improponibile. Mancini ha fatto digerire alla squadra in un tempo molto breve questa idea e il gioco espresso contro Polonia e Portogallo dimostra la bontà della scelta.

Inoltre con Mancini, due calciatori fondamentali per questo gruppo, Jorginho e Verratti, stanno facendo le migliori prestazioni nella loro traiettoria in maglia azzurra, segno che oltre alla fiducia del ct bastava metterli al centro di una squadra che sapesse dialogare con loro, che ne capisse le intenzioni. Altro cambiamento netto rispetto al passato è quello che fanno adesso i due terzini. Ancora con la Polonia a Bologna o il Portogallo a Lisbona si vedeva Biraghi prendere rincorse di metri e metri per mettere al centro cross parabolici su cui Balotelli, Belotti o Immobile avrebbero dovuto trovare la palla in mezzo a centrali che li sovrastavano. Erano momenti di gioco assolutamente inutili. Già con la Polonia, ma molto di più con il Portogallo, abbiamo visto i terzini giocare palla a terra ed entrare nel campo, per scambiare posizione con la mezzala e sfruttare gli half-spaces, le fasce di campo fondamentali nel gioco contemporaneo.

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In terzo luogo il nuovo ct ha concretizzato una frase che tutti gli allenatori della nazionale hanno sempre ripetuto: “Tutti devono sperare nella maglia azzurra”, venendo poi clamorosamente smentiti dai fatti. Sarà perché gli italiani in serie A giocano molto meno oppure per una semplice questione di pochezza generale, Mancini ha deciso di far provare la maglia azzurra davvero a tanti calciatori, anche giovanissimi, in una sorta di stage continui che nei suoi pensieri dovranno servire per ambientarsi prima ad un certo livello. Da questi tanti calciatori convocati, siamo sicuri che resteranno quei due-tre che saranno molto utili alla nazionale del prossimo futuro.

Detto questo, non possiamo affermare che l’Italia finalmente sia guarita e possiamo puntare subito ai grandi traguardi. Come un anno fa non abbiamo un goleador, uno che finalizza la mole di gioco creata. Oltre a non essere goleador, i nostri Belotti e Immobile, facendo i due nomi più convocati e scelti negli ultimi anni, ma possiamo allargare il discorso a tutti i centravanti italiani, non sanno entrare in quella rete che il talento diffuso si sta creando anche in Nazionale. Ieri Ciro Immobile ha interrotto almeno cinque-sei azioni molto interessanti perché ha sbagliato la misura del passaggio. Oggi al centravanti non è chiesto solo di segnare, skill sempre fondamentale, ma deve perfettamente calarsi nel gioco della squadra ed esserne un elemento integrante, non un tassello distonico. Il centravanti deve quasi più finalizzare che segnare, più avere una visione di gioco ampia che essere un rapace d’area di rigore. I nostri centravanti questo non sanno farlo e se il rimedio deve essere Insigne centravanti, questa adesso è l’unica pezza che possiamo mettere.
C’è anche un altro elemento negativo che un anno dopo è ancora presente.

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Come ha detto bene Bonucci, chi ha fallito il Mondiale di Russia 2018, porterà per tanto tempo addosso quello strascico. Il peso della maglia azzurra per tutti coloro che erano presenti il 13 novembre 2017 a Milano, è molto più fastidioso e opprimente rispetto al passato. Non si può dimenticare una catastrofe come quella contro la Svezia e tutti lo sanno, in primo luogo i calciatori, ma anche noi tifosi, che sembriamo avere una RAM clamorosamente striminzita e dimenticarci tutto subito, e invece ricordiamo tutto e tutti e siamo ancora lontani dal poterci fidare di chi ci ha portati nel baratro.  Un anno dopo siamo ancora qui, con un 0-0 tra le mani ed eliminati dal torneo a cui stavamo partecipando e facciamo due cose classiche degli innamorati: da una parte ricordiamo, dall’altra speriamo che tutto ritorni come prima. Ora è giusto così, ma nel più breve tempo possibile dobbiamo invece guardare solo al futuro, trovando o riscoprendo un nuovo grande amore.

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