Pirlo, maledetta è la punizione di non averti più nel calcio italiano
C’era una volta un ragazzo piccolo, magro come un chiodo e dai piedi dolci… Se volessi raccontare la storia di Andrea Pirlo, ieri all’ultima partita della sua carriera con il New York City contro il Columbus Crew nei playoff di MLS, a mia figlia di due anni per attirare subito la sua attenzione dovrei parlare così. Ma non serve solo a catturare l’interesse di una bimba un inizio del genere, perché quel ragazzino esile e delicato, con i piedi ‘morbidi come le mani' è esistito davvero.
Talento precoce
Quando Andrea Pirlo inizia a giocare con i grandi è ancora un bambino nella faccia e nelle espressioni, quelle classiche da oratorio di paese, e nel fisico, ancora acerbo come se fosse appena uscito dalla scuola media. Questo Pollicino dalle gambe secche viene mandato in campo la prima volta a 16 appena compiuti da due giorni contro la Reggiana. Lui, così piccolo in mezzo a persone che hanno il doppio dei suoi anni, non poté nemmeno farsi aiutare dalla briciole che aveva lasciato lungo il cammino.
Ma fin da subito quel Pollicino che giocava a fare l’uomo aveva mostrato qualcosa che nessun altro aveva: la capacità di guidare il pallone guardando il cielo e soprattutto di accarezzarlo, di tenerlo stretto a sé o allontanarsene con la grazia e la delicatezza di una carezza e mai di uno schiaffo o di un colpo. I piedi di Pirlo hanno subito detto qualcosa di nuovo a chi li ascoltava per la prima volta, ed era sempre una musica dolce, mai, fin dal primo tocco, un rumore assordante. Inizia a giocare a Brescia, la squadra-nido che ben presto però gli viene chiesto di lasciare perché è troppo bello da vedere per non mostrare il suo talento su palcoscenici più grandi.
Giovanissimo è dell'Inter
Nel 1999, ancora imberbe e confuso da tutto il clamore intorno, va all’Inter, la grande squadra, quella in cui sbagliare anche una sola volta non è ammissibile. Tutto all’Inter e soprattutto in quell’Inter sembra gigantesco. Enorme sembra lo Stadio e i tifosi, tantissimi, che ogni domenica aspettano da te la giocata che gli dia felicità, esagerati i compagni di squadra di allora, che vanno da uno zio di nome e potenzialmente di fatto come Bergomi, ad un compagno silenzioso come Javier Zanetti, fino ad arrivare ai migliori artisti del proprio tempo, Ronaldo, Roberto Baggio, Alvaro Recoba, senza dimenticare Simeone, Zamorano, Paulo Sousa. In mezzo a tutti questi campioni, catapultato in due stagioni folli che videro l’Inter passare da Simoni a Lucescu, da Castellini a Roy Hogdson e poi l’anno dopo da Lippi a Tardelli, Pirlo è completamente spaesato e i suoi piedi non sanno che direzione prendere, che scelte fare.
Reggina e Brescia
Lui che aveva avuto dai piedi tutto quello che voleva, in quel momento non sapeva come dirigerli, cosa fargli fare per il bene di una squadra senza regole. Insieme alla dirigenza scelse, per sua fortuna, di ritornare nel piccolo, in contesti a misura d’uomo dove poter essere di nuovo quel bel giovane principe di cui tutti si erano innamorati a Brescia. Lo fece prima a Reggio Calabria, insieme ad altri compagni giovani come Baronio e Kallon e poi di ritorno a Brescia dove conobbe un fratello maggiore e un padre calcistico che gli cambiarono la vita.
Roberto Baggio nei suoi ultimi anni a Brescia mostrò a Pirlo cosa vuol dire prendersi le responsabilità di un’intera squadra, avere i fari puntati addosso ogni attimo di una partita eppure reggere questo peso con la consapevolezza dei propri mezzi e della propria bravura, mentre Carlo Mazzone riuscì con il suo italiano sghembo e sporco a parlare alla testa di Andrea, dandogli due cose che gli cambieranno la carriera: in primo luogo la costanza di rendimento, non facendogli mai calare l’attenzione né durante una partita né nel corso della stagione e poi, soprattutto, una nuova dimensione in mezzo al campo. Fino a quel momento il Pollicino Pirlo giocava dove giocano le farfalle, dietro le punte, dove possono con un pensiero o una magia far vincere la propria squadra.
L'importanza di Sor Carletto
Ma Pirlo era sì un’artista dal tocco vellutato, ma anche un artigiano della traiettoria perfetta e fu per questo che Mazzone lo arretrò a centrocampo, nel cuore del gioco, creando una bella e buona eresia nel calcio di allora, dominato da medianoni capaci di correre novanta minuti e più senza saper fare molto altro. Mazzone con Pirlo decise di far finta di tornare indietro, ridando a quella zona del campo l’importanza che ha sempre avuto, guardando così direttamente al futuro. Pirlo regista puro della squadra sembrò a tutti una pazzia, cosa poteva fare quel Pollicino contro avversari grandi e grossi che lo avrebbero pressato e poi attaccato senza pietà per tutta la partita? Eppure divenne la scoperta del tesoro che tutti avevano cercato fino a quel momento. Dopo la mezza stagione al Brescia, un altro allenatore-genitore riuscì in maniera furba a capire che quel Pirlo avrebbe fatto molto comodo alla sua squadra.
Il Milan, Ancelotti e la Champions
Carlo Ancelotti, che sembra uno di quegli orsacchiotti burberi al primo sguardo ma in fondo dolci come il miele, prende Pirlo al Milan e copia l’intuizione di Mazzone, chiedendo però molto di più. Adesso Andrea non è più Pollicino, è grande nella testa e nelle esperienze fatte, per cui è il momento che diventi un bellissimo Principe, capace di prendere in mano gli altri calciatori e portarli dove lui ha deciso di andare. E la strada tracciata da Pirlo, con la guida di Ancellotti, porta a due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, due Champions League, due Supercoppe UEFA, una Coppa del mondo per club. Il piccolo Principe è diventato un re indiscusso, il Maestro, come lo chiamano in tutto il mondo. Un Principe in rossonero ma anche in azzurro, il colore che gli dona forse più di tutti.
Il trionfo di Berlino
Già da ragazzo con i ragazzi fa sfracelli: vince un Europeo Under 20 nel 2000 in Slovacchia portandoci letteralmente per mano grazie a 3 gol e soprattutto ad una partita in finale vinta grazie ad un suo rigore e ad un gol su punizione. Tutta l’Italia del pallone è davanti alla televisione e sta soffrendo per un pareggio contro una squadra molto complicata da affrontare. Le abbiamo provate tutte ma i ragazzi di Karel Bruckner non mollano. Serve una magia. Punizione dal lato sinistro, solita carezza alla palla e vittoria. Sensazioni molto simili, anche se molto più forti accadono poi sei anni dopo a Berlino per la finale mondiale contro la Francia.
Quel Mondiale era iniziato con un gol di Pirlo contro il Ghana, un gol molto più importante del suo valore statistico. Fino a quell’istante eravamo la squadra di Calciopoli, l’accozzaglia di calciatori che sanno fare il bello e cattivo tempo solo quando hanno le spalle coperte dal potere, che non sono mai diventati veri uomini tanto da affrontare tutto il mondo. Il gol di Pirlo cambia all’improvviso le prospettive, facendo immaginare a tutti che anche quella squadra poteva diventare qualcosa di grande. Anche a Berlino, durante i rigori finali, serviva qualcuno che parlasse al pallone con i suoi piedi. E il rigore di Pirlo ci dà quella serenità che ci ha condotti alla vittoria.
Gli anni juventini
Dopo aver vinto tutto quello che si poteva vincere, i signori (essendo in una favola dovremmo apostrofarli come “cattivi” ma hanno anche il loro lato buono) del Milan decidono senza nemmeno chiederglielo che Andrea Pirlo è vecchio o comunque disfunzionale per il loro progetto per un nuovo Milan molto più giovane. In questo modo credono di levarsi un peso regalandolo alla Juventus. Alla prima partita con la nuova Juve di Conte contro il Chievo, Pirlo con un passaggio zuccheroso manda in porta Liechtsteiner. Fu da quel gol e da quella consapevolezza gentile nel capire il calcio e muoverne ritmi e traiettorie a suo piacimento, come era successo anche in Germania per il gol contro il Ghana, che si ha la sensazione che qualcosa di grande sta per succedere alla nuova Juventus. Dopo quattro anni di Pirlo la Juve ritornerà a vincere quattro campionati, due Coppe Italia e due Supercoppe Italiane.
Il Principe divenuto Maestro
Mia figlia si è addormentata e le ultime sgambate in America sono fatte più per qualche dollaro in più e portare la grazia dove sembra non esserci mai stata, nonostante i più grandi bene o male lì ci siano andati. Ieri è stata l’ultima volta che abbiamo visto il Principe Pollicino Pirlo, divenuto Maestro, giocare al calcio. La sua carriera non è stata una strada facile né tutta in discesa, gli ostacoli sono stati tanti e le avversità e le incomprensioni ne hanno costellato il cammino. Ma sono queste, in fondo, le favole più belle.