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Perché la Juventus non è ancora la squadra di Maurizio Sarri (e non è detto lo diventerà)

Il bilancio dei primi sei mesi di Maurizio Sarri sulla panchina della Juventus: risultati positivi, la macchia della Supercoppa e una proposta di calcio ancora lontana dai canoni del ‘Sarrismo’. Al di là di questioni tecnico-tattiche, la Juve non è ancora diventata la sua squadra perchè non è scattata la scintilla.
A cura di Sergio Chesi
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C’è una cosa che alla Juventus complica tutto, da sempre: la sconfitta. Maurizio Sarri lo sta imparando sulla sua pelle dopo aver fallito l’obiettivo Supercoppa contro la Lazio, l’amaro atto conclusivo dei suoi primi sei mesi in bianconero. Il momento ideale per un bilancio sicuramente positivo ma non entusiastico, a maggior ragione dopo aver lasciato andare il primo trofeo stagionale. Soprattutto alla Juve, appunto, dove persino un ruolino di marcia quasi immacolato non basta per mettere a tacere critiche e mugugni.

Sei mesi di Sarri alla Juventus: il bilancio

I numeri: 42 punti in 17 giornate rappresentano il terzo miglior parziale della Juventus dal 2011/12. Non vale il primo posto in solitaria solo per merito di una straordinaria Inter, che Sarri ha avuto il merito di battere nello scontro diretto a San Siro al termine di una delle migliori prestazioni della sua Juve. Percorso sicuro e agevole anche nel girone di Champions League, dominato e chiuso al primo posto. I problemi si condensano sostanzialmente nelle ultime settimane: delle ultime sei partite la Juventus ne ha vinte solo tre, perdendone due contro la Lazio (di cui una già decisiva).

Dall'inizio di dicembre, da Juventus-Sassuolo alla Supercoppa, la Juve ha incassato 11 gol in sei partite. E' in questo dato che si annida la questione su cui Sarri è chiamato ad intervenire in vista delle fasi decisive della stagione. La Juventus, oggi, ha perso quelle certezze difensive su cui ha costruito anni di successi in Italia: quest'anno ha già incassato 24 reti in tutte le competizioni, 10 in più rispetto ad un anno fa.

La complessità della faccenda non è semplicemente tecnica o tattica, ma quasi filosofica. Perché al di là delle statistiche o del rendimento, la scelta di Sarri da parte della Juventus portava con sè un intento chiaro: voltare pagina e cambiare spartito attraverso una proposta di calcio diversa da quella abbracciata per anni con Allegri. Proposta che finora si è vista soltanto a sprazzi.

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La Juve, il Sarrismo e la scintilla che non c'è

L'impaccio che la Juventus ha affrontato nei primi mesi con Sarri l'ha spiegato bene Giorgio Chiellini qualche settimana fa, dal suo punto di vista privilegiato: capitano con il polso dello spogliatoio ma a suo malgrado quasi punto di vista esterno, visto l'infortunio al ginocchio che lo ha costretto ai box dallo scorso mese di agosto.

Il modo di giocare di Sarri è una ricerca costante dello stare nella metà campo avversaria anche in fase difensiva. Con Allegri era un concetto completamente diverso: o si prova a riconquistare subito o ci si abbassa, stiamo compatti, sfruttiamo le nostre qualità e difendiamo in 8-9 dietro la linea della palla. Eravamo più abituati a farlo e avevamo il baricentro più basso. […] Bisogna avere più emozione nel bel gioco. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci trascini, di una scintilla. Noi l’abbiamo sempre trovata nel difendere, godevamo a vincere 1-0. Adesso dobbiamo trovarla nel bel gioco, abituarsi a vincere 3-1, a stare più dall’altra parte del campo, a rischiare e osare. E’ un passaggio che stiamo cercando di fare.

L'etichetta di ‘belgiochista' che Sarri ha (giustamente) cavalcato per costruire gli anni decisivi della sua carriera da allenatore gli si sta in qualche modo ritorcendo contro, almeno per il momento. Perché la Juventus, oggi, non è ancora la Juventus di Maurizio Sarri. E non è scontato lo diventerà, se il metro di paragone resterà – equivocamente – lo stile di gioco che ha caratterizzato il Napoli negli anni del Sarrismo. Come è già successo al Chelsea, guidato comunque verso traguardi importanti. Tra questa Juve e quel Napoli intercorrono enormi differenze di interpreti, sul piano tecnico e su quello della predisposizione ad un certo tipo di calcio, ma ancor prima esiste un gap di empatia e coinvolgimento.

La Juventus non è ancora la squadra di Maurizio Sarri perché non è ancora scattata la scintilla di cui parlava Giorgio Chiellini. I principi di gioco sono evidentemente riconoscibili, il modo in cui vengono applicati fa la differenza. C'è ancora distanza tra l'idea di calcio nella mente di Sarri e il prodotto finale, frutto dell'interpretazione in campo, e non sarà semplice colmarla nei prossimi mesi. Tra la fase ad eliminazione diretta della Champions League, le partite decisive in campionato e il tormentone sul tridente da dirimere ci sarà poco tempo per lavorare. E zero margine per sbagliare. Sarri lo sa e in qualche modo dovrà trovare la quadra giusta per vincere, a costo di proporre una Juve diversa da quella che tutti si aspettavano da lui.

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