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Perché il Napoli di Sarri non è l’Olanda di Cruijff

Non basta la ricerca del bel calcio e un simile modulo di partenza per giustificare il paragone. Il Napoli di Sarri cerca l’estetica attraverso la specializzazione dei ruoli, il calcio totale ha cambiato la visione degli spazi con il continuo scambio di posizioni, il pressing sull’uomo e il fuorigioco sistematico.
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“Ho visto una sola squadra giocare in modo diverso da tutte le altre, l'Olanda ai Mondiali del 1974”. Parola di Carlos Alberto, capitano del Brasile campione del mondo quattro anni prima contro l'Italia che dal Messico torna con l'orgoglio per la partita del secolo spenta dai sei minuti della staffetta Rivera-Mazzola in finale. Basterebbe questo a spiegare perché il Napoli di Sarri non è l'Olanda di Crujff, nemmeno al livello più basico dell'analogia, ovvero un modello di squadra più bella che vincente.

Una visione rivoluzionaria dello spazio

La visione del calcio totale, nell'Olanda delle dighe e dei canali, si articola intorno a due concetti base: utilizzo dello spazio e fluidità delle posizioni. Bisogna rendere il campo più largo quando attacchi e più stretto quando difendi. Il calcio, in fondo, è semplice, ma giocare un calcio semplice è una delle cose più difficili al mondo.

Il calcio, diceva Michels, è un po' come una guerra, i buoni non vincono mai. Lo chiamano, ma non per questo, generale. Il suo è un calcio ordinato e creativo, in cui ogni giocatore contribuisce alla creazione di spazi e alle due fasi. È quanto di più vicino al concetto primigenio di anarchia, assenza di istruzioni e regole sostituite dalla totale responsabilizzazione individuale.

Il Napoli di Sarri si pone più come un'evoluzione della visione scientifica della zona del colonnello Lobanovsky o del Milan di Sacchi, un'organizzazione disciplinata finalizzata alla costruzione di un quadro d'insieme di precisione e pensiero veloce.

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Continue sovrapposizioni

Il 4-3-3 di partenza, l'unico vero punto di contatto tattico fra i due modelli, si evolve spesso in un 3-4-3 perché insieme ai terzini sale anche un centrale, spesso Haan, il giocatore con più passaggi del Mondiale 1974 (come scrivono Antonio Gagliardi e Roberto Pizzato su Ultimo Uomo nell'analisi sviluppata sulla complessità del fenomeno orange), con Van Hanegem che lo aspetta per coprirgli le spalle. È solo uno dei movimenti che disegnano un cambio di paradigma. I giocatori devono muoversi in relazione alla posizione dei compagni e non alla palla.

Questo vuol dire non solo continui interscambi fra calciatori sulla stessa linea, ma soprattutto fra linee diverse nel corridoio centrale, fra difensore mediano e centravanti, e lungo ognuna delle fasce fra terzino, mezzala e ala di riferimento.

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Succedeva all'Ajax che ha dominato tre coppe dei Campioni di fila, e nell'Olanda che diventerà la miglior nazionale a non aver mai vinto un Mondiale. I movimenti continui e sincronizzatsi sublimano nel primo minuto e mezzo della finale di Monaco 1974, i 90 secondi che meglio di tutti raccontano il calcio totale. La Germania Ovest non tocca palla mai, l'Olanda sinuosa ondeggia in attesa del momento di colpire. Quando quel momento arriva, prende la forma di uno scatto di Crujff che taglia tutto il corridoio centrale con la palla. Quel che conta, stavolta, non è il punto di arrivo, il fallo da rigore, il vantaggio immediato e quel che sarà. È l'inizio. Quando prende palla alle spalle di Cruijff, in teoria il centravanti degli Oranje, c'è solo il portiere.

Difesa alta e interscambi continui

Cruijff, l'epitome della velocità come intuizione, gioca ovunque: apre gli spazi da trequartista, va a cercar palla su entrambe le fasce, recupera anche da terzino se necessario. Il gol di Neeskens, ala destra, contro il Brasile, nasce da un'azione che avvia e rifinisce nella corsia di mezzo con il numero 14 che chiude il triangolo lungo da destra. Krol, che parte da terzino sinistro, gioca a tutta fascia, Suurbier parte da destra ma nessuno si stupisce vedendolo a sinistra. Nel '74 Michels ha un'intuizione decisiva, arretra per necessità Haan, un centromediano, da difensore centrale e alza la linea difensiva.

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La ricerca della specificità di ruoli e di istruzioni del Napoli si pone dentro una tradizione diversa, di un calcio e di un sistema culturale in cui non si cresce, come in Olanda, con l'idea che mettere in discussione le certezze, trovare la propria via e la propria risposta alle domande della vita sia normale. Quella del Napoli è una bellezza razionale, scientifica, in cui il talento individuale non viene sacrificato ma incanalato per un'interpretazione individuale finalizzata alla creazione di un quadro organicista.

Pressing e fuorigioco

Il miglior Napoli, l'ha dimostrato Allegri, si disinnesca con l'aumento della densità in difesa, con la chiusura delle linee di passaggio negli ultimi venti metri, costringndolo a far circolare il pallone in maniera diversa dal solito. La Germania del 1974, al contrario, ha disinnescato un'Olanda diventata superba per volontà di umiliare rivali sportivi e non solo, con una feroce marcatura a uomo e l'occupazione sistematica del centrocampo.

Le differenze di approccio tattico e di cultura calcistica si notano di più, però, nelle fasi di non possesso. Uno dei principi che definiscono il calcio totale è un'applicazione feroce del fuorigioco con una linea altissima, che il Napoli ancor di più quest'anno non dimostra. Proprio questa volontà porta Michels a preferire in porta Jongbloed, non eccezionale fra i pali, ma notevole con i piedi. Il portiere che giocava col numero 8 diventa un difensore aggiunto. Quella difesa senza palla, quella difesa in avanti, è il primo tassello di una rivoluzione.

L'aggressione sul portatore di palla dei giocatori dell'Olanda contro l'Uruguay al Mondiale 1974
L'aggressione sul portatore di palla dei giocatori dell'Olanda contro l'Uruguay al Mondiale 1974

Così si avvia una rivoluzione

L'altro è un pressing altrettanto totale, alto, a tutto campo. In tanti, a folate, vanno sull'uomo, sul portatore di palla. Spesso è Neeskens a far partire l'aggressione da Arancia Meccanica, da cervelluti che si affidano all'ispirazione. Ma c'è ordine in quell'avanzare disordinato, che sembra casuale ma ha un scopo chiaro. Il fuorigioco non funziona come oggi. La regola allora non funziona nemmeno come all'epoca del Milan di Sacchi che orchestra un pressing asfissiante ma più organizzato, sempre alto e con gli attaccanti primi protagonisti di una strategia difensiva che diventa offensiva. Ma nel caso del Milan non si punta più solo a mettere in crisi il portatore di palla, a farlo giocare di fretta, ma a togliergli possibilità di scarico, chiudendogli ogni linea di passaggio. L'obiettivo è chiaro: recuperare il pallone in una zona vantaggiosa, più vicino possibile alla porta avversaria, e trovarsi in quel momento già in posizione per costruire un'azione da gol.

Il pressing a tutto campo permette anche di mantenere la squadra corta, così da favorire gli inserimenti offensivi e i ripiegamenti difensivi. Il calcio, nei templi della moderna architettura razionalista, non è posizionale, ma spaziale. Il campo deve diventare più piccolo, più stretto, attraverso l'aggressione sistematica e la creazione di triangoli per l'avvio classico dell'azione, scarico indietro e verticalizzazione. Non importa chi occupi un certo spazio, conta che quello spazio sia occupato da qualcuno. Così si avvia una rivoluzione.

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