Pelè e i Cosmos: i primi Galacticos nella storia del calcio
“I Cosmos andavano velocissimi. Però non andavano da nessuna parte”. Il giudizio lapidario del Guardian, al netto dello snobismo britannico verso il calcio in Usa, fotografa lo spirito del tempo. Lo spirito di una squadra galattica prima dei Galacticos, il primo effetto speciale nella storia del calcio. L'invenzione della Warner che ha portato Pelè, Beckenbauer, Carlos Alberto e Chinaglia con l'obiettivo di spostare il centro di gravità permanente della passione sportiva a stelle e strisce. Per raggiungerelo, però, ci vorranno un'altra trentina d'anni.
Le origini – Il calcio professionistico comincia a prendere piede negli Stati Uniti nell'anno delle rivoluzioni, il 1968, con la fusione delle due leghe esistenti, la United Soccer Association e la National Professional Soccer League nella NASL, la North American Soccer League. Da subito, la speranza di diffusione passa per la presenza di stelle straniere di prima grandezza, come il brasiliano Vavà. È già un calcio “americanizzato”, con regole diverse piegate ai gusti dei tifosi abituati all'NBA, al football, all'hockey. Il cronometro mostra il count-down dal 90′ a zero, il fuorigioco dal 1972 viene fischiato non più oltre la metà campo ma solo oltre una linea posta a 32 metri (ma la FIFA porrà fine a questa innovazione nel 1982), e in caso di pareggio dal 1974 si tirano i rigori. In più, nei primi anni, la vittoria vale 6 punti, il pareggio 3, e si aggiungono altri 3 punti bonus per ogni gol segnato. Nel 1971, entrano tre nuove squadre: i Montreal Olympique, i Toronto Metros e soprattutto i New York Cosmos. Il 3 settembre 1973, per la prima volta un calciatore finisce sulla copertina di Sports Illustrated: è Bob Rigby, il portiere dei Philadelphia Atoms che hanno vinto il campionato NASL. Ma il calcio è ancora uno sport largamente ignorato. Uno sport, come ha detto uno scrittore dell'epoca, “giocato da checche e comunisti in calzoncini”, si legge in un articolo del Guardian.
Arriva Pelè – Per la rivoluzione, ci vuole un colpo da cinema. E nel 1973 il colpo arriva: la Warner Corporation acquista i Cosmos. Due anni dopo Clive Toye, un ex scrittore inglese che diventerà una delle figure più importanti nella storia del calcio statunitense, convince il presidente dei Cosmos, Steve Ross, che l'uomo giusto per la squadra è il migliore giocatore di sempre: Pelè. Per consentirgli di lasciare il Santos interviene Henry Kissinger, che era stato portiere in gioventù in Germania e convince il governo brasiliano a privarsi di uno dei suoi tesori nazionali in nome delle buone relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. In tre anni a New York, Pelè guadagnerà di più che in tutta la carriera al Santos. Per pagare meno tasse, gli fanno firmare contratti di tutti i tipi, e solo uno da calciatore: ne sottoscrive perfino uno con la Atlantic Records, una delle sussidiarie della Warner, come “recording artist”, come musicista.
L'isola Cosmos – Il nuovo corso dei Cosmos inizia con la conferenza stampa del 10 giugno del 1975 al 21 Club di New York. Sembra il lancio di un film. Con O'Rey, arrivano a New York Carlos Alberto, campione del mondo con lui nel 1970, Beckenbauer, che abita a Central Park, e Giorgio Chinaglia, che in otto anni segnerà più di 200 gol e diventerà grande amico e ascoltato consigliere del presidente Ross. Niente viene lasciato al caso. Sulle tribune si vedono spesso Henry Kissinger, Mick Jagger, Robert Redford, Steven Spielberg, e le locandine con le immagini della squadra tappezzano le pareti dello Studio 54, la discoteca che più di ogni altra ha rappresentato un'epoca. La prima partita, però, si gioca contro i Dallas Tornado al Downing Stadium di Randall’s Island, d Harlem. È poco più di un'arena da rodeo, nota come “lo stadio dei vandali”. "Quella che pareva erba non era altro che spray verde spruzzato sulla terra, c’erano bottiglie dappertutto, niente acqua negli spogliatoi. Un inferno", ricorda Gavin Newsham nel suo libro Once in a lifetime: The incredible story of The New York Cosmos. Ma dal 1977 giocheranno nello stadio dei Giants.
Le altre stelle – La strada verso la nuova frontiera l'aveva aperta in realtà Gordon Banks, il portiere dell'Inghilterra campione del mondo nel 1966, autore di quella che molti considerano la parata più bella di sempre, che nel 1967 si trasferisce ai Cleveland Stokers. Perde la vista da un occhio per un incidente stradale nel 1972, ma nel 1977 porterà i Fort Lauderdale Srikers al titolo nella Eastern Conference. È solo dalla metà degli anni Settanta che la NASL si riempie di campioni in cerca di soldi facili dall'Europa. Nel 1975 arriva Eusebio, dopo 15 stagioni al Benfica, va a giocare, da centrocampista centrale, ai Boston Minutemen. Passerà poi ai Toronto Metros, che porta al titolo nel 1976 con 16 gol, compreso quello nella finale del campionato, il Soccer Bowl, e ai Las Vegas Quicksilver l'anno successivo. Oltre a New York, l'altra meta ambita per le leggende del calcio è Los Angeles. Nel 1976 gli Aztecs ingaggiano George Best, che alla seconda stagione verrà votato giocatore dell'anno e segnerà 54 gol negli Usa. E nel 1979, con un biennale da 1.4 milioni di dollari, Johan Cruijff, che nei primi sette minuti della prima partita con la nuova maglia, contro i Rochester, ha già segnato due gol. “Pelè era magico anche a 35 anni” dirà Robert Iarusci, allora difensore dei Washington Diplomats, “ma Crujff era un'altra cosa. Stentavi a credere a quel che vedevi”.
Non solo pensionati – La NASL non è solo un buen ritiro, una pensione dorata per campioni un po' bolsi. Hugo Sanchez inizia la sua avventura ai San Diego Sockers a 21 anni, prima di diventare una star a Madrid. I paraguayani Roberto Cabanas e Julio Cesar Romero arrivano ai Cosmos a 19 e 20 anni. Trevor Francis si unisce alla NASL a 23, Mike Flanagan a 26. La NASL è addirittura la prima tappa nella carriera di Peter Beardsley dopo gli anni in Third Division al Carlisle: gioca ai Vancouver Whitecaps, dove nel 1979 i tifosi hanno trovato un idolo in Bruce Grobbelaar, che non è ancora il portiere ballerino del Liverpool campione d'Europa all'Olimpico.
1977, l'ultima di Pelè – È una New York buia, per i continui blackout, impaurita dal serial killer David Berkovitz (Son of Sam), quella che assiste all'ultima partita di Pelè. O'Rey, che si era presentato ai Cosmos con un gol in rovesciata al primo allenamento, non segna. Il Soccer Bowl contro i Seattle Sounders a Portland è elettrico. I Cosmos vanno in vantaggio, ma si fanno raggiungere. Il gol vittoria lo firma Chinaglia, che aveva tentato di convincere Ross di essere il nuovo Pelè. È una rete che solleva tutta la squadra, anche il pittoresco portiere Shep Messing, che ha firmato il suo primo contratto al tavolo di un Burger King, si è fatto cacciare dai Cosmos per aver posato nudo su una rivista, è andato a Boston, ha parato un rigore a Pelé ed è poi tornato per unirsi al più grande di tutti. “Se non avessimo vinto quella partita” ha spiegato, “se Pelè non avesse lasciato il calcio da campione, non ci saremmo più potuti guardare allo specchio per il resto della vita”. Pelè si concede solo un ultimo match d'addio, un'amichevole contro il Santos davanti a 77 mila spettatori allo stadio e al mondo intero davanti alla tv. Sotto il diluvio, è in lacrime prima della partita, nella cerimonia con suo padre, Kissinger, Mick Jagger e Mohammed Ali. A fine partita sono i due portieri, Messing e Erol Yasin, a portarlo in trionfo. Il 9 agosto del 1985, Pelè annuncia da Rio che l'era dei Cosmos è finita. È finita proprio tutta la prima era della NASL, ormai delle 24 squadre ne sono rimaste due. “I padroni dello sport americano” ha scritto David Hirshley per ESPN, “hanno frainteso il successo dei Cosmos. Hanno pensato che fosse un endorsement per il calcio, e invece si trattava solo di un momento effimero e febbrile, in cui l'arrivo di un idolo globale ha fatto scattare la scintilla per la nascita dello showbiz nello sport americano. Quando il castello di carte è crollato, la fine si è rivelata totale. Sono serviti altri dodici anni perché una nuova lega, la Major League Soccer, emergesse dalle rovine”.