Partnership commerciali e milioni, quanto vale giocare la Supercoppa italiana in Arabia
La Supercoppa Italiana a Jeddah migliorerà la condizione delle donne in Arabia Saudita? Presubilmente no. Le donne arabe sarebbero più libere se l'Italia decidesse di non giocare la Supercoppa a Jeddah? Nemmeno. Eppure, la questione dei settori separati nello stadio che ospiterà la sfida fra Juventus e Milan non è solo un discorso di principio. E' un matrimonio di interessi: alla Lega Serie A fan comodo i soldi, alla monarchia saudita serve l'evento per aumentare la credibilità sportiva e internazionale. Il potere di far fallire la festa, però, avrebbe potuto e forse dovuto suggerire un'accettazione meno passiva della situazione.
L'Italia partner commerciale pregiato
“L’Arabia Saudita è il maggior partner commerciale italiano nell’area mediorientale grazie a decine di importanti aziende italiane che esportano e operano in loco, con nostri connazionali che lavorano in Arabia e nessuno di tali rapporti è stato interrotto” ha detto il presidente della Lega Serie A, Gaetano Miccichè. Nel 2017 l'Italia risultava il nono partner dell'Arabia, con un volume di flussi commerciali di 6,7 miliardi di euro.
L'Italia esporta soprattutto macchinari (1,4 miliardi), derivati del petrolio (386 milioni), materiale e apparati elettrici (292 milioni), lavorati in ghisa, ferro e acciaio (212 milioni) e mobili (187 milioni). Importa petrolio e derivati, materie plastiche e prodotti chimici organici.
L'Italia non ha nemmeno preso provvedimenti contro la vendita di armi all’Arabia Saudita, a differenza di altri paesi europei, tra cui Spagna e Germania. Secondo i dati ufficiali dell’Ambasciata saudita a Roma, infatti, nel 2017 l'Italia ha venduto armi all'Arabia Saudita per 45.650.475 euro. Dall'Italia, i sauditi hanno comprato, tra il 2013 e il 2017, l’1,5% dei suoi armamenti, rivelano gli svedesi del SIPRI. Proprio per questo, come ha ricostruito Silvia Sciorilli Borrelli su Politico, la RWM Italia, di proprietà al 100 per cento della tedesca Rheinmetall, ha continuato a vendere armi all’Arabia Saudita, incluso un particolarmente tipo di bomba usato nella guerra in Yemen. Il calcio può avere logiche diverse? Per Micciché no. Per altri dovrebbe. La verità, come spesso capita, sembra stare nel mezzo.
I rapporti fra le due nazioni, racconta Roberto Zichittella su Famiglia Cristiana, risalgono al Trattato di Amicizia del 1932. “Il 10 febbraio di quell’anno lo firmano a Jeddah il ministro degli esteri saudita, Emir Faisal, e il Console italiano, Guido Sollazzo. L’ambasciata saudita a Roma viene aperta nel 1958″. La visita di Saud bin Abdulaziz Al Saud nel 1962 è solo la prima di una lunga serie.
L'undicesima Supercoppa all'estero
"Se l’Italia, non ha interrotto i rapporti diplomatici e commerciali con l’Arabia Saudita perché il calcio dovrebbe rinunciare a quel contratto?”, ha scritto il segretario dell'Usigrai Vittorio Di Trapani, il più forte oppositore della scelta di giocare in Arabia Saudita. “Perché il calcio, lo sport, non sono – non devono essere – una impresa come un’altra. Il calcio e lo sport producono talento. Sono veicolo di valori”.
Questa sarà l'undicesima edizione della Supercoppa Italiana su trenta disputata all'estero, la seconda in una nazione araba dopo la Libia. È il risultato di un accordo firmato a giugno, dunque mesi prima dell'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi molto critico verso la monarchia saudita, ucciso nel consolato arabo in Turchia secondo la Cia su mandato del principe Mohammed bin Salman. Un accordo che prevede tre edizioni della Supercoppa in cinque anni. "Se chiudere il contratto vuol dire pagare una penale, allora questa va pagata al fine di tutelare i diritti umani e civili. È una battaglia che dobbiamo fare tutti insieme, tutti quelli che credono che lo sport non sia solo un'industria. Dobbiamo dare un segnale ai nostri figli, perché non esiste un business che possa violare i diritti umani e civili" ha detto Di Trapani a RMC Sport.
Il budget di 7 milioni per giocare il Trofeo in Arabia
I sette milioni offerti dall'Arabia, circa il doppio di quanto incassato nelle precedenti edizioni organizzate all'estero, compresa quella in Cina dove pure in tema di diritti civili molto si sarebbe potuto obiettare, rappresentano un plus per la Lega Serie A. Il campionato italiano, infatti, secondo uno studio Pwc, ha attirato meno della metà del pubblico di Premier e Liga tra il 2014 e il 2017. Per questa stagione, scriveva a novembre Il Sole 24 ore citando una ricerca di tv Sports Markets Rights, IMG ha ottenuto solo 280 milioni dalla vendita dei diritti esteri della serie A, 100 milioni in meno dei costi. Per un pugno di dollari non è detto che si debba accettare tutto. Anzi.
Lo sport può dare un segnale
Quando Arthur Ashe diventò il primo giocatore nero a disputare un torneo nel Sudafrica dell'apartheid, chiese che per le sue partite venisse eliminata la distinzione fra settori per bianchi e per neri. Gli organizzatori avevano bisogno della sua presenza, era una delle condizioni per evitare che il Sudafrica fosse squalificato in Coppa Davis, Ashe ha forzato la mano: alla fine, i settori son rimasti divisi ma una parte dei biglietti delle aree per bianchi è stata venduta anche a tifosi neri. Non è cambiato il Sudafrica allora, non è cambiato il mondo, ma vent'anni dopo in quello stesso stadio a Johannesburg Nelson Mandela, eletto presidente, stringerà la mano al capitano bianco della nazionale di rugby. Lo sport diede un segnale, seminò un dubbio, rappresentò una sfida all'ordine.
In questo caso, proprio in quanto organizzatore dell'evento col potere di far fallire la festa, la Lega Serie A un segnale così avrebbe potuto darlo non solo rinunciando all'offerta saudita, alternativa allettante, auspicabile, ma poco realistica. Avrebbe potuto imporre il rispetto di una serie di condizioni per l'effettiva organizzazione della partita, compresa la non separazione dei settori nello stadio.
Lo sport e la visione dell'Arabia Saudita per il 2030
L'organizzazione di eventi sportivi nazionali e internazionali fa parte del piano pomposamente definito Vision 2030 del regno saudita. La visione, almeno nelle intenzioni, punta a ridurre l'effetto dell'islamismo wahabita in nome di una maggiore modernizzazione e moderazione. Gli annunciati progressi nella condizione sociale annunciati da Mohammed bin Salman, che ha permesso alle donne di guidare, ha riaperto i cinema dopo 35 anni, restano di facciata. Perché devono ottenere l'approvazione di un garante maschio per mettersi al volante, possono assistere solo a film approvati dalla censura, ed entrare negli stadi solo negli appositi settori. Per quanto, rispetto al divieto totale, pur sempre di un piccolo passo avanti si tratta.
Dal punto di vista sportivo, l'Arabia Saudita punta a portare il numero di praticanti sportivi dal 13 al 40% della popolazione nel 2030. La federazione ha avviato una partnership con la Liga spagnola che ha accolto nove giocatori nell'ultima stagione e medita di creare academy in Arabia. All'espansione dei mercati calcistici oltre i tradizionali interessi in Inghilterra, si abbina l'organizzazione di eventi sul territorio nazionale come la Race of Champions di moto, le World Series of Boxing e lo European Tour di golf che arriverà a febbraio al Royal Greens Golf and Country Club di King Abdullah Economic City.
La credibilità sportiva e il bisogno di investimenti esteri
La credibilità sportiva, come ha già dimostrato il Qatar che l'ha indicata fra gli elementi della costruzione della nuova identità nazionale, può diventare uno strumento attraverso cui migliorare l'immagine del Paese. E la monarchia saudita ha un enorme interesse verso questo processo perché, ha sottolineato Stephen Grand su Atlantic Council, perché Vision 2030 funzioni gli investimenti esteri in Arabia dovrebbero raggiungere il 5,7% del prodotto interno lordo. Cifra da cui sono lontanissimi, se è vero che gli investimenti sono passati da 7,5 miliardi di dollari nel 2016 a 1,4 nel 2017. e il deserto che ha accompagnato la prima offerta pubblica per l'acquisto di quote del colosso petrolifero nazionale Aramco dimostra ulteriormente come gli obiettivi prefissati nel 2016 siano praticamente impossibili da raggiungere, perché richiederebbero un'indipendenza economica dal petrolio non certo realizzabile nello spazio di un decennio o poco più.
Se però la diversificazione economica fallisse, scrive Giorgio Cafiero a conclusione del capitolo che ha curato nel rapporto dell'ISPI sul futuro dell'Arabia Saudita, ne deriverebbe una crisi con implicazioni enormi in tutta l'area. “La fornitura di energia e gli interessi economici dei Paesi industrializzati soffrirebbero tremendamente vista l'importanza del Golfo per l'economia globale. L'abilità dell'Arabia Saudita di trasformare la propria economia in breve tempo è interesse non solo dei governanti del regno, ma di tutto il mondo”. Anche dell'Italia, che ha sempre considerato l'Arabia Saudita un Paese amico, nonostante tutto.
Agli amici, però, qualche segnale si può dare. Anche, soprattutto, attraverso lo sport i cui messaggi arrivano con meno filtri e meno barriere. E raccontano chi siamo, a cosa siamo disposti a rinunciare in nome della ragion di stato o dello spettacolo che deve andare avanti.