Osvaldo: “Non denuncio un compagno venduto, lo ammazzo di botte”

"Oggi potrei dire che avrei fatto il musicista rock o blues, o lo scrittore". Ecco cosa avrebbe fatto Pablo Daniel Osvaldo se non fosse diventato un calciatore. Da giovane, l'attaccante giallorosso non aveva dubbi, voleva giocare a pallone ed ha realizzato il suo sogno, quindi ora dà sfogo alla sua vena artistica scrivendo poesie e canzoni come "hobby". Dall'intervista contenuta nel nuovo numero di GQ, in edicola dal 29 novembre, emerge un Osvaldo inedito, un po' artista e un po' idealista, che nonostante la fama e la notorietà cerca sempre di essere se stesso anche se ammette: "Nel mondo in cui lavoro è difficile, viviamo in un’anormalità oggettiva".
Il giustiziere dei calciatori venduti – Al di là degli aspetti extra-calcistici e delle sfumature personali, un dato interessante emerge in relazione all'ambito Calcioscommesse. Osvaldo ha detto che se scoprisse un compagno venduto non lo denuncerebbe, anzi farebbe di peggio.
Ciò che succede nello spogliatoio deve restare lì. Io non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte.
La normalità dell'essere gay e l'ingratitudine dei fischi – "La nostra società non è l’Alabama del ’50, ma sul tema siamo indietro". Il tema in questione è l'omosessualità nel calcio, Osvaldo ha dichiarato di non aver problema alcuno a relazionarsi con un compagno di squadra gay: "Non mi cambierebbe proprio niente. Sono persone libere, prima che calciatori". Qualche problema, invece, sorge in merito alla logica del calcio nella quale non esiste una via di mezzo, o sei un campione o una mezza calzetta.
Un giorno sei da scudetto e quello dopo da rogo. La mancanza di equilibrio mi fa infuriare, però non posso farci niente. E non ho voglia di fare niente.
Funziona così: se sbagli i tifosi ti fischiamo. Ma per il bomber della Roma i conti non tornano, il pubblico pagante non ha tutti i diritti.
Io perdo una palla e tu mi vomiti addosso il tuo odio? Non è normale- Io pago. Tu hai sbagliato il gol. Ti fischio – E quindi se il tifoso sbaglia al lavoro posso andare a picchiarlo, gettargli una banana o dirgli che sua madre è una poco di buono? Bella logica
Dall'arrivo in Italia al rapporto con Zeman – E' arrivato a Bergamo nel gennaio 2006. "Fu dura– ha raccontato il giallorosso – Non c’era un solo argentino, uno straccio di uruguaiano". Lontano da casa, spaesato, senza conoscere l'italiano: "I compagni ridevano tra loro. Parlavano una lingua che non capivo. Diventai un po’ paranoico, pensavo ridessero di me. Poi andò meglio e mi integrai". E con Zeman? Tutto ok ha affermato Osvaldo, che scherzando ha aggiunto: "Non comunichiamo a gesti, o almeno non solo. Parliamo".