Nazionale da Conte a Ventura: così uguali, così diversi
"Antonio faceva vedere ai giocatori del Bari anche gli schemi del Pisa di Giampiero. Entrambi propongono un calcio molto offensivo, eppure trovano un equilibrio quasi perfetto in fase difensiva". Il retroscena è datato ma ugualmente suggestivo, seppur mai confermato dal diretto interessato; a svelarlo, nell'estate del 2009, in occasione dell'ufficializzazione della nomina di Giampiero Ventura sulla panchina barese, è il ds Giorgio Perinetti, ora al Venezia, ma a suo tempo "padrino" del primo Conte allenatore (lo aveva avuto da "secondo" al Siena con De Canio e fortemente voluto nel 2007 in biancorosso) e artefice del rilancio su grandi palcoscenici del tecnico genovese. La storia si ripete, ma questa volta in chiave azzurra, da commissari tecnici: un salto in alto che è il segnale di quanto bene abbiano fatto i due, dopo l'incrocio in terra pugliese.
A quella parentesi, infatti, ne ha fatto seguito un'altra più lunga, da avversari lungo le sponde della Dora, nel derby della Mole. Confronti sempre equilibrati, all'insegna del bel calcio e di due filosofie capaci di ricalcarsi in molti aspetti. Non è solo il 4-2-4 con esterni abili a collaborare e coprire tutta la fascia ad averli accomunati nel tempo; al contrario, nelle rispettive esperienze più recenti hanno dimostrato di sapersi mettere al servizio della squadra e declinare la propria idea di calcio sulla base degli elementi a disposizione.
Così è nata la Juventus della difesa a 3, che adesso costituisce anche la pietra angolare degli azzurri; così il Torino è arrivato in Europa con Glik, ora ambito dal Leicester campione d'Inghilterra, il prezioso Maksimovic e l'esperto Moretti, oltre a una nidiata di elementi valorizzati e venduti a peso d'oro.
Così uguali eppure così diversi. In alcuni presupposti di gioco, ma anche nello stile e nel carattere. Conte predilige un gioco più veloce con frequenti verticalizzazioni e ribaltamenti di fronte; Ventura ama le squadre capaci di far "frullare" la palla, portieri in grado di partecipare all'azione e un gioco che cominci da dietro con fraseggi lunghi e ben studiati, utili anche a far salire e stanare l'avversario. Inoltre il primo preferisce elementi già rodati e pronti per determinati palcoscenici, il secondo non teme gruppi giovani e da plasmare anche completamente.
Il resto lo fanno le differenze caratteriali: più impulsivo, diretto e "aggressivo" l'ex juventino, più ironico, disincantato e "paravento" (senza offesa) il granata. Insomma una base comune, ma anche un cambio di mentalità che accompagnerà l'Italia nel difficile percorso di rinnovamento post-Europeo con vista sul Mondiale 2018.