Narcos e affari, l’ombra dei signori della droga sul calcio in Colombia
Colombia vuol dire vita, gioia, bellezza, povertà, ricchezza, contraddizioni, creatività e tanto altro ma, per alcuni anni, ha significato anche narcotrafficanti, droga e scontri, non solo calcistici, fra cartelli. Un paese, quello di fine anni ’80 e di inizio ‘90 dilaniato, diviso da una guerra interna che ha portato all’assassinio di 10mila persone all’anno fino al 2002 ma che ha mostrato unità e compattezza verso una sola, unica passione: quella per il calcio.
E così, dopo l’inarrestabile ascesa dei “Signori della droga”, nel paese, anche per attirarsi sempre più le simpatie dei tanti appassionati, i Narcos iniziano a investire milioni e milioni di dollari nel mondo del pallone con la nascita di quella che venne definita l’era più proficua del calcio colombiano, quella del Narcofutbol.
Atletico Nacional de Medellin Escobar
Pablo Emilio Escobar Gaviria, per tutti El Patron, è stato l’autentico artefice, con soldi provenienti da droga, violenza, sangue e morte, dell’inarrestabile ascesa di un movimento calcistico da sempre relegato nei bassifondi del pallone sudamericano. Prima di lui, infatti, i club colombiani non avevano mai raggiunto grandi traguardi a livello internazionale e la nazionale non aveva conquistato obiettivi importanti con una sola partecipazione ai mondiali nel 1962 ed un secondo posto nella Copa America del 1975. Escobar, negli anni ’80 divenuto uno degli uomini più ricchi del pianeta (addirittura settimo in assoluto secondo la rivista americana Forbes) capisce che, col calcio, lo sport della sua vita, alcuni dei circa 60 milioni di dollari incassati al giorno con la cocaina potevano essere “lavati” in questa seguitissima disciplina con un duplice risultato: amore dalla gente e "lavacro lustrale" del danaro.
Un binomio indissolubile che portò il narcotrafficante più famoso di tutti i tempi ad acquistare la squadra della sua città, quell’Atletico Nacional de Medellin che, grazie al suo Patron, conquistò la Copa Libertadores nel 1989 contro i paraguaiani dell’Olimpia Asuncion per poi giocarsi l’Intercontinentale, alcune settimane dopo un terribile attentato ordito proprio da Escobar per porre fine alla vita del candidato presidente Gaviria nel quale persero la vita 101 civili su di un aereo che viaggiava da Bogotà a Cali, col Milan di Sacchi.
Escobar, profondo amante del suo paese, decise poi per i suoi anche uno stile calcistico personalizzato, all’Athletic Bilbao per intenderci, con tutti calciatori provenienti dalla Colombia e fieramente colombiani. Così, allestì, a suon di quattrini, uno squadrone di Puros Criollos (puri creoli) con leggende viventi come il portiere che inventò lo scorpione Higuita, Andres Escobar (poi assassinato per un autogol a Usa ’94), Perea, Luis Fernando Herrera e Albeiro Usuriaga Lopez guidati dal santone Francisco Maturana. Talenti straordinari che finirono per costituire l’ossatura della nazionale dei Cafeteros negli anni successivi con 3 qualificazioni mondiali consecutive ed una manita all'Argentina nel 1993.
Il no de D10S nella Catedral
Prima della sua morte nel 1993 poi, il “Dio della cocaina”, dopo aver fatto vincere numerosi titoli ai suoi ed essersi costituito per poter scontare la sua pena nella Catedral (la prigione d’oro che si era fatto costruire dopo aver siglato un patto col governo), ospitò un’altra divinità, stavolta del calcio, ovvero El Pibe de Oro. Correva l’anno 1991 e Maradona, ignaro di dove fosse e con chi fosse, si esibì in amichevole, dietro cospicuo pagamento, insieme ad alcuni nazionali colombiani. Subito dopo la partitella, Escobar gli propose di giocare nel suo Nacional, ma Maradona allora in forza al Napoli declinò l’invito per approdare poco dopo in Spagna al Siviglia.
Gacha e i Milonarios di Bogotà
Nella capitale colombiana, invece, troviamo il temibile trafficante di cocaina e smeraldi José Gonzalo Rodriguez Gacha detto El Mexicano (per via della sua ossessiva passione per la cultura azteca) che decise, negli stessi anni del suo amico e socio Escobar nel Cartello di Medellin, di acquistare (mai nome fu più azzeccato) i Milonarios di Bogotà. Coi soldi del "Messicano" che, formalmente possedeva il 29.15% delle quote societarie, i Millos tornano a vincere la Primera Liga dopo nove lunghi anni di digiuno e fanno il bis l’anno seguente, mentre il three-peat del 1989 sfuma per la sospensione del torneo provocata dall’assassinio dell’arbitro Ortega.
In quegli anni, in competizione col Patron, i due club si sfidano a colpi di acquisti milionari (Valderrama ad esempio) con la speranza, da parte di Gacha, di rinverdire i fasti del club degli anni ’50, quando, decine di giocatori argentini migrarono verso la Colombia (tra cui il grande Di Stefano, 90 reti con i Milionarios), vista l’esclusione della federazione dalla FIFA e la grande disponibilità economica per attrarre grandi calciatori. Tale grandioso punto della storia dei bianco blu, però, non verrà mai raggiunto proprio perché, nel 1989, Gacha viene assassinato dalla polizia, segnando la fine de i Milionari di Bogotà e l’inizio del lento declino del calcio colombiano.
L’America di Cali di Gonzalo e Rodriguez Orejuela
A chiudere questa rassegna sul Narcofutbol troviamo i fratelli Gonzalo e Rodriguez Orejuela che operavano nel cartello di Cali (predominante nel commercio con New York), divenuto poi rivale storico di quello di Medellin (le cui rotte della droga convergevano verso Miami). Questo antagonismo non si verificò solo con la polvere bianca della cocaina a suon di omicidi ma anche su di un rettangolo di gioco con i fratelli Orejuela che riuscirono, dopo le difficoltà riscontrate per controllare il Deportivo Cali, ad acquistare le quote dell’America Cali.
Con la compagine della valle del Cauca, la contesa con Escobar si riverberò a tal punto anche nel calcio tanto che El Patron, dopo una partita nell’89 nel quale il fischietto Ortega (uno dei pochi non corrotti) decretò un fuorigioco al Nacional che perse 3-2 la contesa, venne assassinato con 9 colpi di pistola da alcuni sicarios provocando poi la sospensione del torneo 1989. Violenze disgustose a parte, fra gli anni ’80 e l’inizio dei ’90 con la gestione del cartello, il club dei Diavoli Rossi riuscì, prima della triste fine dei fratelli Orejuela nel 1995, a vincere ben 7 titoli nazionali andando per 3 volte, senza mai vincere, in finale di Copa Libertadores.