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Napoli: Maradona, Juve e sogno scudetto (VIDEO/FOTO)

Il possibile ritorno in Italia e nella capitale del Sud accende i ricordi dei tifosi partenopei.
A cura di Maurizio De Santis
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diego palleggia al san paolo

Talento leggendario, abusi, eccessi, gioie e dolori, matrimoni falliti, amanti focose e mignotte metropolitane. Figli illegittimi, camorristi in vasca, cronisti impallinati, squalifiche per doping da cocaina ed efedrina. Epatite, arresti cardiaci, terapie riabilitative, cliniche psichiatriche e una manciata di sigari cubani in tasca. Grasso fino a pesare più di un quintale e a meritare un by pass gastrico per non esplodere. Maradona sopravvive anche a se stesso. La morte è scesa in campo con lui e ha provato a soffiargli pure il pallone. Diego, che ha giocato con la vita come con le arance al mercato quand’era ancora un bimbo con le spalle strette, l’ha sfidata alla sua maniera. Colpi di tacco, palombelle velenose, dribbling e un paio di finte, attaccato alle macchine, in un letto d’ospedale: il meglio del suo campionario per convincerla a lasciarlo ancora un po’ sulla terra, nonostante avesse il cuore al ritmo di una pendola scordata e due ciminiere al posto dei polmoni. E così l’ha presa sotto braccio, le ha offerto un cohiba e un bicchiere di rum. Se l’è fatta amica e l’ha risparmiato.

Santo e peccatore. E’ il primo caso di divinizzazione in vita. Uno che prende in prestito la mano di Dio e la usa per fare marameo e rifilare una scoppola agli inglesi dopo le scoppole (e le pallottole) prese dalla Nazione dei generali sulle rive delle Falklands (per i seguaci di sua maestà) o Malvinas (per i revanscisti sudamericani). Fenomeno laico, lo odi oppure lo ami. Il pibe accanto ad Evita, Che Guevara e San Gennaro. Una specie di Achille, ma col piede fatato e più scugnizzo che condottiero. Perfetto come idolo che parla alla pancia, non alla testa, del popolo.

Cerimoniale. Il suo rituale, semplice e pagano, ha fatto proseliti in tutto il mondo: a Rosario (Argentina) c’è anche una chiesa che celebra una liturgia ispirata all’asso sudamericano e conta gli anni a partire dalla sua nascita. Dunque, secondo il calendario maradoniano, viviamo nel 52 d. D. (dopo Diego). Secondo quello gregoriano, sul quale sono tarate anche le scadenze delle cartelle esattoriali che pendono come un anatema sulla testa dell’ex azzurro, a fine ottobre potrebbe esserci l’epifania del Protettore della Napoli oppressa e liberata dallo strapotere del caravan serraglio di diavoli, biscioni, lupacchiotti e zebre sbiadite. Napoli che tira a campare senza quattrini e su strade scassate. Immobile, aspetta ‘a ciorta, un nuovo Masaniello che la riaccenda, una scarpa oggi e l’altra dopo il voto, un altro padrone da “lisciare”… Chi mme piglia pe' francesa, chi mme piglia pe' spagnola, ma so' nata ‘o conte ‘e Mola e metto ‘a coppa a chi vogl'io… cantavano le sciantose dalle parti del Caffè Margherita, nei pressi di piazzetta Augusteo, per il sollazzo dei signori e dei figli di papà. Mentre quelle di oggi si alzano la veste e mulinano le cosce davanti ai produttori cinematografici. Pudore situazionista.

Eppur si muove. Cambiano i tempi, non le vecchie abitudini. Già, perché qui è rimasto tutto come ventinove anni fa, all’arrivo del messia nello stadio San Paolo: con qualche posto di lavoro in meno e un po’ di monnezza in più. Magari è la volta buona. Stai a vedere che, siccome anche lui è unto dal Signore, fa un altro miracolo e questa volta con un tocco di mano ripulisce la città? La sua città. Che l’ha accolto, osannato, stritolato d’affetto e ingoiato nel ventre caldo dei vicoli. Perchè Maradona è meglio ‘e Pelè, pure tra i feticci. La casacca indossata dall’argentino nella storica gara con l’Inghilterra vale almeno il doppio della maglia calzata da ‘o rey nella finale di Messico ’70 contro l’Italia. L’albiceleste che fece venire le traveggole ai britannici è esposta nel Museo nazionale di Preston e assicurata per circa seicentomila sterline. Per Steve Hodge, abbagliato dal lampo che lasciò di sasso Shilton, è un trofeo inestimabile. Terry Butcher, suo compagno di squadra, la considera ancora il simbolo di una truffa: “Non ci avrei nemmeno lavato la macchina”, sbottò. Chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Chi ama il Dieci, invece, non dimentica. C’è scritto dovunque: su adesivi, magliette, bandiere, sciarpe, tazze e caccavelle, corpi tatuati e mura affrescate, nei film, nella comicità popolare, nei libri e nell’agenda quotidiana di chi sa quant’è duro il mestiere di vivere.

Cascata di riccioli. Nel Corpo di Napoli c’è anche lui, el Diego. Napoli che ricorda e commemora alla sua maniera i tiempe belle e ‘na vota, quando un tizio, che non sarà mai un uomo normale, tesserato con un coup de theatre da babbo Ferlaino, sovvertì la geografia del calcio e lasciò l’Italia pallonara in braghe di tela. Uno scapigliato, con la chioma riccia e arruffata. Tra i misteri alessandrini, accanto alla statua del Nilo, schiere di fedeli (e di curiosi) sostano dinanzi all’edicola votiva per ammirare con devozione reliquie propizie, taumaturgiche, portentose. Un’ampolla con le lacrime dei partenopei orfani del Pibe, una preghiera, qualche immaginetta sacra, un ammonimento al viandante e un capello che vale quasi quanto il sangue di San Gennaro. Lui lo scioglieva ogni santa domenica su un prato verde e gli bastava una finta, nel villaggio globale e digitale è sufficiente scaricare un’applicazione gratuita, agitare un iPod e confidare che sul display si manifesti la liquefazione hi-tech, strettamente personale. Bastasse questo per rivoltare Napoli come un calzino e rivincere lo scudetto… In nome del padre, del figlio e dello spirito Maradona. Amen.

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