Mourinho e Ancelotti: il trionfo del calcio all’italiana tra catenaccio e contropiede

Mourinho che gioca pensando al catenaccio, offrendo una fase difensiva come raramente se ne vedono in giro per l'Europa e riesce a ingabbiare l'Atletico Madrid nella tana dei Colchoneros giocandosi intatte chances di qualificazione alla finale a Stamford Brdige davanti al proprio pubblico. Ancelotti che lascia possesso di palla e manovre al Bayern Monaco di Pep Guardiola, sfruttando contropiede e ripartenze per colpire e ottenere un 1-0 con il gol partita di benzema che ha un valore pesantissimo in vista del ritorno all'Allianz Arena bavarese. Due modi diversi ma non troppo di intendere il calcio, lasciando in un cassetto il bel gioco e lo spettacolo, trasformando le gare d'andata di Champions League in due partite a scacchi con un'unica chiara matrice italiana.
In Champions di Italia ce n'è, eccome – Se in quest'Europa in apparenza c'è poco o nulla di Italia in campo, con l'assenza di squadre del nostro movimento nelle fasi finali di Champions League, vantando solamente la presenza in panchina di quattro tecnici che hanno avuto trascorsi più o meno esaltanti e vincenti in serie A, di Italia in queste due prime semifinali ce ne è stata e molta. Perché sia Josè da Setubal che Carletto da Reggiolo hanno dato fondo a insegnamenti e scelte le cui radici attecchiscono profondamente nel patrimonio del nostro calcio e della nostra tradizione. Spesso criticata dal resto de'Europa del pallone, ma oggi tanto redditizia e utile da raggiungere il suo acme nel momento in cui i 90 minuti di gioco diventano tanto importanti da decidere un'intera stagione.
L'idea di Rappan – Stiamo parlando di catenaccio e contropiede, l'esemplificazione massima del "gioco all'italiana" che per anni ha etichettato il nostro calcio dove la fase difensiva è stata un elemento identificativo di una mentalità che da sempre vive sul principio del "primo non subire gol". E' vero, gli storici del calcio potrebbero dire che il "catenaccio" e il "contropiede" hanno origini austriache grazie a Karl Rappan che nel lontano 1932 sulla panchina del Servette per primo portò il "sistema" a trasformarsi in un autentico fortino, utilizzando la classica linea difensiva a tre (con rigorosa marcatura a uomo) cui aggiunse la straordinaria idea del "libero", un centrale aggiunto – tolto dalla mediana di centrocampo – destinato a eventuali raddoppi e a difendere ad oltranza la propria area di rigore.
Da Barbieri a Rocco, i maestri italiani – Se a Rappan bisogna darne atto di una scelta tattica che rivoluzionò il calcio, è ai tecnici italiani però che si deve rendere onore nel riuscire anche a vincere grazie a quella tipologia di gioco. Da Ottavio Barbieri che nel '44 sorprende tutti con il suo Spezia vincendo il campionato d'Alta Italia sul Torino di Valentino Mazzola a "Gipo" Giani che con la sua Salernitana scala la classifica della serie B nel '47 conquistando la massima serie. Fino ad Alfredo Foni che vince grazie al ‘Catenaccio' lo scudetto con l'Inter nel '48, per arrivare al massimo esponente del ‘gioco al'italiana' universalmente riconosciuto, Nereo Rocco che prima con la Triestina e poi con il Padova sorprende platee e addetti ai lavori con schemi che ancor oggi si studiano, tra l'1-3-3-3 e l'1-4-4-1. Fino a vincere in Italia, in Europa e nel Mondo negli anni sessanta alla guida del Milan.
L'evoluzione tra il Trap e Bearzot – Sempre di marca italiana – e vincente – il ‘catenaccio' trovò la sua fortuna anche negli anni 60 quando in Europa si iniziava a parlare di "fluidificanti", "ala tattica" e "ala tornante", e il nostro calcio non abbandonò la mentalità ‘difensiva' nemmeno negli anni '70 e '80 quando la marcatura a uomo si stava trasformando in marcatura a zona. Basti pensare alla Juve di Trapattoni e all'Italia di Bearzot e Vicini, tutte massime esponenti dell'ultima evoluzione del ‘catenaccio', cioè la ‘zona mista'.
Il catenaccio vincente nel Terzo Millennio – Nell'epoca moderna, in un calcio votato al bel gioco, allo spettacolo e alla cura della ‘fase offensiva', il "catenaccio" è scomparso e chi lo attua spesso è tacciato di difensivismo e incapacità tattica. Eppure viene spesso attuato all'occorrenza, soprattutto quando il fine può giustificare un mezzo così discusso. Come accadde agli Europei del 2004 quando trionfò la Grecia che propose propio questa scelta – vincente – di gioco. E come accade spesso e volentieri a Josè Mourinho in Coppa. Già nel 2010 contro il Barcellona, il portoghese alla guida dell'Inter gicò la non-partita perfetta contro i marziani catalani di Guardiola, conquistando a Madrid la Champions contro il Bayern. E ancora lo Special One ha tirato fuori dal cilindro il caro vecchio ‘catenaccio' nella sfida di martedì contro l'Atletico. E come è riuscito ad esaltarlo anche Carletto Ancelotti contro il Bayern, con un Real che ha rinunciato a fare la partita innalzando un muro davanti a Casillas e pungendo in contropiede, in un gioco di rimessa e ripartenze.