Morosini avrebbe potuto salvarsi: i defibrillatori c’erano ma non vennero usati
Il processo non è ancora finito, ma il giudice monocratico del tribunale di Pescara sta cominciando ad avere una quadro chiaro di quanto accadde in quel triste pomeriggio dell'aprile 2012 durante Pescara-Livorno. Dopo la testimonianza di Leila Di Giulio, dirigente della Digos e vicequestore in servizio allo stadio Adriatico proprio in quel giorno, la convinzione unanime che Piermario Morosini potesse essere salvato cresce di ora in ora. La teste chiamata a deporre ha ricordato quei momenti drammatici, ancora negli occhi di molti tifosi italiani, basandosi sui filmati acquisti dal tribunale: "Morosini si accascia a terra dopo 29 minuti e 42 secondi di gioco – ha riferito il vice questore – Dopo 20 secondi sono entrati in campo il medico del Livorno, Porcellini, e poi quello del Pescara, Sabatini. Subito dopo è arrivato anche un operatore della Croce Rossa, con la barella, ma poco dopo è tornato verso la sua postazione, per prendere una valigetta gialla contenente il defibrillatore".
Perché non vennero usati i defibrillatori? – Il processo, che vede imputati per omicidio colposo i medici del Pescara, Ernesto Sabatini, del Livorno, Manlio Porcellini e del 118 di Pescara, Vito Molfese, è ripreso dunque dall'aspetto più importante e, probabilmente, decisivo: il mancato utilizzo del defibrillatore. Davanti al giudice Laura D'Arcangelo, la Di Giulio ha inoltre ricordato come "dopo circa un minuto dalla caduta del giocatore, Porcellini ha iniziato le manovre sul corpo di Morosini e ha effettuato un massaggio cardiaco, mentre dopo due minuti e 40 secondi è arrivata in campo l'ambulanza". Il dispositivo portato in campo, come ha confermato la Di Giulio, non venne mai usato così come gli altri due che si trovavano ai bordi del terreno di gioco, e gestiti da Croce Rossa e Misericordia, ed un terzo che si trovava a bordo di un’ambulanza.