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Milan: si chiude l’era Berlusconi, presidente più vincente nella storia del calcio

Durante la sua gestione, ha vinto 29 trofei in 31 anni come solo Santiago Bernabeu era riuscito a fare. Berlusconi è il primo magnate del calcio spettacolo in Italia. Dalla rivoluzione con Sacchi agli invincibili di Capello, dal trio degli olandesi ai successi di Ancelotti, una storia di successi e rivoluzioni.
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Il presidente più vincente nella storia del calcio. Berlusconi ha sollevato 29 trofei in 31 anni, come solo Santiago Bernabeu. L'ultimo acuto a Doha, quando il ‘diavolo' ha strappato la Supercoppa alla Juventus. Con lui il Milan ha festeggiato otto Supercoppe italiane, otto scudetti, cinque Champions League, tre Mondiali per club, cinque supercoppe Uefa e una Coppa Italia. “L’Italia dovrebbe sforzarsi di adottare il modello Milan” diceva. “Il calcio è metafora di vita: dai successi del Milan la gente ha capito che la mia è una filosofia vincente, che lavorando si possono raggiungere risultati ambiziosi”.

Ha cambiato il calcio in Italia

Chi lo conosce da sempre sostiene che fosse un tifoso dell'Inter. Ma a cinquant'anni decide di entrare nel calcio comprando il Milan sull'orlo del fallimento per effetto degli scandali e della doppia retrocessione. Rileva la squadra il 20 febbraio 1986, appiana i debiti e nella sua prima estate da presidente si presenta a Milanello in elicottero con Cesare Cadeo a presentare l'inizio della rivoluzione del calcio spettacolo in Italia. Ha cambiato il calcio in tv senza le carnevalate stile NASL e scritto le pagine migliori nella storia del Milan. Compra subito Donadoni per 10 miliardi e Massaro per sette: si manifesta immediatamente come il primo magnate nel calcio italiano, disposto a investire cifre anche fuori mercato per i calciatori e per gli ingaggi. “Vincono i migliori. E sono i meglio pagati” scrive Mario Sconcerti. “Vent’anni fa, all’arrivo di Berlusconi, questo concetto elitario ha squassato il calcio. Berlusconi aumentò la posta, per giocare al suo tavolo bisognava continuamente rilanciare. Non ha resistito nessuno, nemmeno la Juve. È nato un calcio diverso ed è stato il calcio del Milan”.

Sacchi, rivoluzione vincente

La prima scommessa la vince dopo un Milan-Parma di Coppa Italia. A San Siro vincono gli emiliani guidati da un semi-sconosciuto Arrigo Sacchi, che ha già un mezzo accordo con la Fiorentina. Berlusconi lo blocca a metà dell'autostrada fra Bologna e Firenze e riesce a convincerlo a firmare per il Milan perché al Milan avrebbe fatto la storia. Il ciclo inizia con lo scudetto del 1988. E' un Milan che fuoriesce dalla nebbia degli scandali e riprende la luce della gloria europea. È il Milan che esce dalla nebbia di Belgrado, nell'anno del ritorno in Europa dopo nove stagioni, grazie a un gol non convalidato a Savicevic, allora faro della Stella Rossa in un ottavo di finale sospeso sullo 0-1 e con i rossoneri in dieci, ripreso come volevano le regole di allora dal 1′ e dallo 0-0, undici contro undici.

La vittoria ai rigori darà lo slancio per la manita al Real Madrid e il 4-0 alla Steaua Bucarest, preludio alla profezia berlusconiana sul calcio europeo. “i tempi sono maturi per il cambiamento di formula” della Coppa dei CampionI, diceva a Repubblica. “Per la società ci sarebbero più incassi, per il pubblico incontri di cartello, per i media eventi importanti a metà settimana. Sono certo che questa sarà la formula di domani, o meglio di dopodomani. E al calcio dai diritti televisivi dovranno arrivare cifre ben più consistenti di quelle attuali”. Tre anni dopo sarebbe nata la Champions League, e Mediaset ne avrebbe goduto non poco, prima delle difficoltà attuali e dell'avvicinamento a Vivendi.

Capello, eroe della restaurazione

Sacchi rivoluziona il calcio italiano, conquista l'Europa e poi il mondo (vince uno scudetto, due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali e altrettante Supercoppe Uefa). Lascia nell'estate del 1991 dopo un secondo posto, per prendere la guida della nazionale, e la figuraccia nel buio artificiale di Marsiglia. Il Milan conosce allora la restaurazione con Fabio Capello. Nascerà la squadra degli invincibili, che apre e chiude contro il Parma di Nevio Scala, avversario che torna nei momenti importanti della storia recente, una serie di 58 partite consecutive senza sconfitte.

Quasi due anni senza mai perdere, dal 26 maggio 1991 al 21 marzo 1993, fino alla punizione di Asprilla al Meazza. Il Milan vince il dodicesimo scudetto da imbattuto (era capitato anche al Perugia di non perdere mai, in un campionato a sedici squadre però, nel 1978-79 finendo secondo nell'anno dello scudetto della stella rossonera). Grazie a una difesa guidata da Franco Baresi, Maldini e Costacurta, grazie a Donadoni e Papin e poi all'innesto di Desailly e Weah, che segna undici reti nella stagione 1995-96, i rossoneri raggiungono il quinto titolo in nove anni. Con la guida del tecnico goriziano, giocheranno anche tre finali consecutive in Champions League. Il capolavoro rimane la notte di Atene, il 4-0 al Barcellona grazie alla magie di Savicevic e a un Massaro praticamente perfetto sotto porta.

Il lungo ciclo ha un finale amaro però. Dopo due stagioni deludenti, Berlusconi richiama il tecnico friulano ma il Capello-bis, “una scelta completamente sbagliata” dirà Boban, naufraga nella finale di Coppa Italia 1998 persa contro la Lazio. È il momento di un'altra rivoluzione. L'uomo giusto, il millennium bug per la stagione 1998-99 è Alberto Zaccheroni.

L'acuto di Zaccheroni e la prima crisi

“La squadra veniva da un undicesimo e un decimo posto con due grandi allenatori” ha raccontato a Futbol su La7 lo scorso luglio. “Non sembrava che ci fossimo rinforzati, visto che avevamo perso giocatori importanti. Erano arrivati Bierhoff e Helveg che molti pensano avessi portato io, invece li aveva portati Capello. Io fui contattato dal Milan a maggio quando erano stati già presi. Poi arrivarono Ambrosini dal Vicenza, Sala e Guglielminpietro“. Trova “un’intesa forte con lo zoccolo duro italiano della squadra composto da Costacurta, Maldini e Albertini“, nelle ultime sette giornate piazza Boban trequartista al posto dell'esausto Leonardo e in un pomeriggio di forti polemiche a Perugia centra il trionfo che segna la sua carriera. Fallita la scommessa Terim, nonostante una super campagna acquisti che porta a Milano Rui Costa (42 milioni) e Inzaghi (37 milioni più il cartellino di Zenoni), il Milan torna padrone d'Italia (2004), d'Europa (2003 e 2007) e del mondo (2007) con Carlo Ancelotti.

Ancelotti, e il Milan torna padrone d'Europa

C'è un momento in cui i rossoneri capiscono di poter tornare una superpotenza del calcio. È il 23 aprile del 2003, è il ritorno dei quarti di Champions contro l'Ajax. Quel pallonetto beffardo di Inzaghi a Lobont, appena corretto sulla linea da Jon Dahl Tomasson, lancia un trionfo europeo segnato dal miracolo di Abbiati su Kallon a tempo scaduto nella semifinale di ritorno contro l'Inter, dalla traversa di Antonio Conte in finale, dal rigore di Shevchenko ala Juventus nella notte di Manchester nel teatro dei sogni per il calcio italiano, mai più così protagonista in Europa. L'ultima finale tutta italiana in Champions e la rivincita di Atene, un altro di quei posti che raccontano una storia, contro il Liverpool dopo la rimonta più incredibile mai subita in una finale europea, testimoniano il ritorno di Berlusconi al suo antico principio, alla vocazione per i grandi nomi e per le grandi cifre, quelle investite via via per Nesta (che torna a rimettere in ordine alla difesa), Rivaldo, Seedorf.

Gli ultimi anni

Dai colpi ad effetto, ma comunque mirati a migliorare la rosa, si passa a Ronaldo, Vieri, Ronaldinho, Beckham. E' l'epifania di quello che verrà, le risorse finanziarie non sono più quelle di una volta e il Milan comincia a non comandare più come prima. Allegri fa comunque in tempo a godersi Zlatan Ibrahimovic che nell'estate del 2011 vince il suo ottavo campionato di fila da miglior marcatore di squadra (21 gol in 41 partita) e allunga la serie l'anno dopo da capocannoniere della serie A (35 in 44 gare), primo e finora unico straniero a vincere questo titolo con due squadre diverse.

È l'ultimo acuto, Muntari o non Muntari, di una squadra che prima dell'era Conte aveva sostituito la Juventus come paradigma del successo nell'immaginario pubblico. Il resto è storia di una battaglia di retroguardia, della voglia di riportare grande il Milan e della paura dell'ininfluenza da allontanare. Perché, come diceva a Gian Antonio Stella, “sulle cronache sportive si parla del Milan di Sacchi, di Alberto Zaccheroni e di Ancelotti, mai del Milan di Berlusconi. Eppure sono io che da anni faccio le formazioni, detto le regole e compro i giocatori. Sembra che io non esista”. E il closing con i cinesi ancora non c'è.

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