Milan-Juve, quando i veri ultrà indossano giacca e cravatta
Milan-Juventus non è stata semplicemente una partita di calcio, è satata qualcosa di più, molto di più. Non è durata 90 minuti ma è andata oltre, anzi è iniziata anche prima del fischio di Tagliavento. Molto prima. Di certo, non è stato un bello spot per il calcio italiano: era un match che avrebbe dovuto delineare chi, tra Milan e Juve, fosse più degno e meritevole di una fetta di tricolore, davanti ad un San Siro con oltre 79 mila spettatori (unica gara con una cornice così ricca da inizio stagione a Milano) e con centinaia di giornalisti accreditati da ogni parte del globo, con al seguito telecamere e microfoni. Invece, è stata una ‘guerra' sportiva e non solo, in campo e non solo. L'unico applauso che si deve fare? Una volta tanto al pubblico sugli spalti: ironico, beffardo, anche polemico, ma mai olree il confine della violenza. Perchè per una sera, gli ultrà erano altri: portavano giacca e cravatta ed erano pagati milioni di euro al mese.
Sì, perchè dal primo dirigente all'ultimo giocatore chi non ha onorato lo sport e una gara di campionato sono stati loro, gli insospettabili. Coloro che, da sempre, si riempiono la bocca nel condannare gesti violenti o atteggiamenti sugli spalti o fuori dallo stadio compiuti da ultrà troppo esagitati. Gli stessi che predicano il fair play e si prestano agli spot contro il razzismo; entrano in campo mano nella mano con dei bambini, perchè si dia loro il buon esempio e si ricordi alle giovani leve che il calcio, dopotutto e malgrado tutto, è e deve restare semplicemente uno sport. Ma gli ultrà di Milan-Juventus sono stati coloro che non sono scesi direttamente in campo, vestiti in giacca e cravata, che ogni settimana si lamentano che gli stadi sono vetusti e inospitali, che il pubblico è sempre degno di rispetto e che ai tifosi che pagano il biglietto si è obbligati a dare sempre uno spettacolo sportivo degno delle aspettative; gli stessi che argomentano di diritti televisivi e che ricordano come la Lega e la FIGC debbano garantire sempre che il calcio resti lo sport più bello e affascinante di tutti.
Giocatori e dirigenti, allenatori e presidenti, giornalisti e opinionisti si sono stracciati le vesti e hanno indossato le rispettive magliette d'appartenenza, chi rossonera chi bianconera, in un sabato sera che entrerà di diritto nella storia per essere ricordato come un giorno terribile per il mondo del calcio italiano.
Andiamo per ordine e iniziamo dalla categoria dei giornalisti, facendo anche un pizzico di bagno d'umiltà che no guasta mai. Nel dopo partita è stato imbarazzante il confronto acceso tra opinionisti delle varie tv (a pagamento e satellitari) con i tecnici che – per contratto – si sono, mal volentieri, prestati al commento del match. I nervi erano scoperti, la tensione ancora altissima e non sono mancate le frecciate e i battibecchi via etere,non positivi a rasserenare il torrido clima. Conte contro Boban, Allegri contro tutti: oggetto del contendere i gol non concessi da Tagliavento, su Muntari e su Matri. Parole e insulti velati ("Boban prima di parlare togliti la maglietta", "No, Antonio, toglietela tu") ma anche posizioni intransigenti tra idee e posizioni differenti. Chi difendeva l'equità dello sbaglio, perchè trattasi di due "errori tecnici"; chi entrava nella filosofia che un gol non visto fosse più grave di un fuorigioco non fischiato; chi sosteneva che, sul 2-0, sarebbe cambiata la gara e chi affermava che se si fosse raggiunto il pareggio prima si sarebbe anche potuto vincere l'incontro.
Risultato? Tanta caciara e poco contenuto. Un contenuto eccessivo che, invece, è fuoriuscito dalla redazione di Milan Channel e che ha imperversato con la tesi di un ‘clima di guerra‘ voluto e costruito dalla Juventus, argomentando con l'idea di un complotto preordinato: critiche a Buffon (che afferma di non essersi accorto del gol di Muntari ma che – se fosse stato il contrario – non avrebbe aiutato l'arbitro); polemiche su altri gol fantasma a favore della Juve nel passato e sull'attuale, figlio delle proteste e del clima di pressione esercitato dalla dirigenza nei giorni precedenti alla gara; ironie sulla mancata riduzione di squalifica a Ibrahimovic, solo perchè la Juventus aveva preteso più ‘equità di giudizio'; e poi le due ‘gomitate' di Pirlo a risposta del ‘pugno' di Mexes e delle gomitate da kick-boxing di Muntari. Il tutto su un canale ufficiale della società rossonera, cioè su un network il cui contenuto è avvallato apertamente dalla dirigenza che da sempre controlla e verifica cosa mandare in onda e come.
Ma non solo.
L'acme dell'antigiornalismo era arrivato ancor prima, sempre in telecronaca di Mila-Juventus, questa volta sui canali audio del commento ‘di parte', di Mediaset Premium, per opera del tifoso-giornalista Carlo Pellegatti che ,in un fuori-onda che fuori-onda non era, si è lasciato andare ad un "Conte è un malato mentale" per poi scusarsi pubblicamente tramite lettera scritta al tecnico dei bianconeri, alla società e ai tifosi. Peccato che lo stesso Conte non abbia avuto il buon gusto di accettare le scuse, visto che indiscrezioni vicine al tecnico confermano l'intenzione di querelare il giornalista di Mediaset. Intanto, Pellegatti ha fatto pubblica ammenda:
Ormai da anni sono il telecronista sulle reti Mediaset per quanto riguarda il commento fazioso, che io ho sempre preferito definire “appassionato”, cercando comunque di mantenere sempre, nei confronti delle squadre avversarie e degli arbitri, un atteggiamento corretto e soprattutto educato. Atteggiamento che è venuto meno ieri nel corso della telecronaca di Milan-Juventus,quando ho usato parole sconvenienti ed offensive, pensando di non essere in onda, ma questo non deve essere una attenuante. Chiedo subito scusa dunque alla Juventus, ad Antonio Conte, soprattutto ed ai tifosi juventini, che si sono sentiti giustamente offesi. Capita di trovare una buca sulla strada della vita, io l’ho trovata un sabato di febbraio
Fin qui, gli ultrà giornalisti. Ma non sono mancati anche quelli in campo. Di Conte e Allegri già abbiamo detto nel post-gara ma anche a fine partita, a bordo campo, non hanno perso occasione nell'entrare nelle varie mischie degne di una gara di rugby, per esternare la propria rabbia e ‘vis' agonistica. Insieme ad un nutrito numero di giocatori di entrambe le parti. Certo, Tagliavento e Romagnoli ci hanno messo del loro ma non sono mancati episodi da ‘codice rosso' in mezzo al campo dove alcuni calciatori si sono fatti giustizia da soli: Muntari su Lichsteiner, Mexes su Borriello, Antonini ancora su Lichsteiner e poi Pirlo che ha sgomitato su Van Bommel. Tutti episodi che non sono stati sanzionati ma che hanno innescato la miccia, già cortissima, che ha fatto esplodere le rispettive dirigenze.
Perchè anche i ‘colletti bianchi' non sono stati a guardare e hanno approfittato del caos generale per atteggiarsi da ultrà. Non si spiegherebbe, altrimenti, la sceneggiata nel tunnel degli spogliatoi, a fine primo tempo, dell'Amministratore Delegato Adriano Galliani che ha inveito contro Tagliavento per il gol annullato a Muntari. Un livore talmente grande da far quasi svenire il numero due del Milan, poi direttosi a casa anzitempo per problemi di pressione. Lo stesso Galliani che, solo 24 ore prima, aveva chiamato Agnelli perchè abbassasse i toni di una polemica fin troppo accesa.
Eppure, non soltanto Galliani è reo di essere venuto meno ai propri compiti e doveri di dirigente. La stessa presidenza bianconera, da Agnelli (con le parole dure su Abete), a Giuseppe Marotta (ricerca di equità nei trattamenti) a Pavel Nedved (confermando i retaggi di Calciopoli) avevano portato il clima ad una soglia di allarme totale, senza dimenticare i comunicati ufficiali delle due società, pieni di livori e di promesse di rivincita. Quello della Juve a sostegno di Conte che parlava di ‘paure arbitrali' figlie della decisione bianconera di non accettare i verdetti di Calciopoli; quello rossonero di polemica aperta sulla squalifica di Ibrahimovic per il grave ‘errore giuridico' nei confronti della società e del giocatore.
Insomma, un sabato nero, da dimenticare e cancellare subito. O forse da ricordare, per questi motivi, ancora più a lungo. Perchè sia da monito e da esempio per tutti: di queste sceneggiate imbarazzanti nessuno ne sentiva la necessità ricordando, la prossima volta a chi predica buon senso, di dare per primo l'esempio.