Mertens come Zagor, l’eroe che unisce e fa sognare Napoli
Entra lui e il Napoli vola. Dries Mertens, il primo acquisto dell'era Benitez, gioca poco ma gioca sempre. E quel poco gli basta per essere il miglior dodicesimo uomo della Serie A. Napoli, ricambiata, ama quel folletto da 36 gol in 139 presenze che con Milik già forma la coppa M&M's chiamata a far dimenticare Higuain e le voci sul ritorno di Cavani.
Eroe moderno – È un eroe moderno, Mertens, arrivato dall'Olanda dell'estrema razionalità spinta al confine dell'elogio della follia in una Napoli che trabocca di tifo e passione. “E' il luogo ideale in cui giocare al calcio, una città meravigliosa in cui in ogni angolo si avverte la passione della gente verso i propri calciatori, un mondo incantato in cui vincere” raccontava al Corriere dello Sport. “Io non ne avevo idea, credetemi. E questa squadra che li ha aiutati a sognare: avere voglia di segnare sempre, di segnare tanto, ha alimentato l’allegria”.
Napoli come Darkwood – Un Ulisse allontanato dalla sua Itaca, che a Napoli ha trovato un'altra casa. È a lui che Benitez prima e Sarri poi hanno chiesto di chiudere il gap con la Juve del fatturato record. A lui i tifosi hanno chiesto subito due cose: lo scudetto e i gol contro i bianconeri. Ne hanno fatto un eroe. Se eroe lo fosse davvero, Mertens sarebbe un personaggio complesso e dai valori forti, un po' come Zagor, il protagonista dei fantawestern di Bonelli cresciuto con un filosofo vagabondo e una famiglia di saltimbanchi nell'immaginaria foresta di Darkwood.
Spirito con il pallone – Lo chiamano lo Spirito con la Scure, questo nella finzione letteraria il significato algonchino del suo nome, Zagortenay, che in realtà non vuol dire niente. Avere Mertens, però, vuol dire eccome per Sarri, che l'anno scorso gli ha concesso 1086 minuti in campionato, dodicesimo minutaggio della rosa: gli sono bastati per cinque gol e altrettanti assist decisivi. Ha giocato solo sei partite da titolare nell'ultima stagione, ma a parte i 90 minuti da applausi contro il Bologna, ha sempre fatto meglio quando è entrato a partita in corso. E questa stagione sembrava prendere poter prendere lo stesso abbrivio.
A Pescara, Sarri lo lascia ancora in panchina. Poi, con gli abruzzesi avanti 2-0, arriva il momento dell'eroe. E l'eroe risponde: doppietta da incorniciare e sguardo che non ha bisogno di parole verso Sarri. “Se fa sempre due gol a partita, può guardarmi anche mentre faccio la doccia” sdrammatizza il tecnico, che però lo mette dall'inizio contro il Milan. L'eccezione finirà per confermare la regola.
Evoluzione – Nelle ultime tre stagioni, comunque, si nota chiaramente l'evoluzione tattica del belga. “Benitez ci rende migliori” diceva un paio di stagioni fa. Lo spagnolo lo impiega come ala pura nel 4-2-3-1. Il primo anno, il belga entra poco nello sviluppo del gioco (22.4 passaggi di media a partita), ma è spesso nel cuore dell'azione come dimostrano i 5 assist e 1.6 passaggi chiave a partita. Tende naturalmente a spingersi in avanti, non a caso in quella prima stagione va al tiro 2.6 volte in media: solo Higuain conclude di più. L'anno scorso frena un po' la sua indole. Tira meno (1.9 conclusioni di media), e a parità di passaggi e di occasioni create, serve più assist: è il risultato di una ricerca ancora più insistita della verticalizzazione, in un Napoli che estremizza la ricerca della porta attraverso l'azione manovrata palla a terra. Con Sarri, interpreta il ruolo come i classici numeri 11 che hanno fatto grande il calcio in Italia negli anni Settanta e Ottanta: meno passaggi, ma una media gol più alta e una presenza più stabile in area.
I grandi 11 in Italia – È l'erede di una storia di numeri 11 nobili, rapidi e furbi, un ruolo che Francisco Gento, la “Galerna del Cantàbrico”, ha spinto in una nuova dimensione. Un Overmars moderno, ancora più attaccante della leggenda dell'Ajax e del Barcellona. Un undici che in Italia si pone sulle spalle di Meazza, sulla scia di Pulici, un destro naturale che sotto la guida di Ussello, allora tecnico delle giovanili del Torino, scopre di avere un sinistro letale. “Le mamme ci hanno dato due piedi per usarli” gli dice, come raccontava a Gianni Mura su Repubblica. “Tu credi che il più forte sia il destro, invece è il sinistro, il piede d'appoggio. Prova a tirare. Col destro, 140 all'ora, col sinistro 160. Col destro giocavo la palla ferma, col sinistro quella in movimento”.
In quella Juve a cui i tifosi gli chiedono di segnare, quelli erano i tempi dell'ala sinistra forse più forte che mai abbia giocato in Italia, Roberto Bettega. Di Penna Bianca, il belga non ha certo lo stacco aereo, chiedere agli inglesi eliminati dal Mondiale 1978 per il suo colpo di testa in tuffo. Ma l'estro improvviso, quella magia che ancora delizia nel ricordo del colpo di tacco a San Siro nel 1971, c'è eccome. E proprio il Milan ha avuto domenica un paio di assaggi più che esemplari.
A volte "gregario" a volte "stella", quando i numeri ancora raccontavano una storia, l'ala sinistra doveva saper fare tutto, il nostro Alessio Pediglieri docet: “concludere a rete e trascinare la propria squadra al successo ma anche sacrificarsi per lasciare gloria al centravanti d'area (il classico ‘9′) o mettersi a disposizione dell'estro del ‘dieci', il compagno regista-fantasista da cui passava ogni trama di gioco”.
Il 4-3-3 lo esalta – Il 4-3-3 ne ha stravolto compiti e natura, ha creato ibridi adorati come Beppe Signori che Zdenek Zeman accoglie a Foggia con l'etichetta di bomber, nonostante avesse segnato fino a quel momento solo cinque gol in B e otto in C. Ne aggiungerà altri 11 solo al primo anno in Serie A, si conquisterà l'azzurro della nazionale e il biancoceleste della Lazio, con i tifosi che nel 1997 scenderanno in piazza per non far andare via il tre volte capocannoniere del campionato.
Si ispira a Ribery – Anche Mertens, che si ispira non a caso a Ribery, ha avuto il suo mentore, il direttore del settore giovanile dell'Anderlecht, Jean Kindermans. Fisicamente, però, non è pronto, come ammette in un'intervista al magazine Humo nel 2011. Il club lo gira all'Eendracht Aalst, poi all'Agovv Apeldoorn, (squadra in cui ha fatto bene anche Huntelaar), dove gioca con Chadli. Diventa presto capitano e vince la Scarpa d'argento dietro Suarez
La carriera – Esplode però in Olanda, all'Utrecht e al PSV Eindhoven, che lo ingaggia per 7 milioni. Si esalta con l'amico Strootman a coprirgli le spalle. Due vecchi compagni di viaggio che prendono imbarchi diversi, ma non così distanti. “Per un club olandese è difficile non cedere i propri gioielli, visto il pressing degli altri club europei” spiegava allora il ds Marcel Brands. “Oltretutto, i ricavi dalla vendita di Mertens e Strootman sono l’equivalente alle entrate di due anni di Champions League”.
La nazionale – Così, ha saputo conquistare anche il cuore diviso del Belgio. Come l'eroe bonelliano che combatte con i simboli delle sue due anime, la pistola e la scure indiana, simbolo della sua imparzialità tra le razze, Mertens ben rappresenta quella generazione Vuitton che ha fallito la grande occasione all'Europeo. “Solo il re e il calcio riescono a unire questo Paese”, a unire la nazione di Molembeek e della capitale d'Europa, dell'inclusione e delle barriere, recita un adagio valido oggi come ieri per raccontare la nazionale multietnica di Lukaku, figlio di un nazionale dello Zaire al Mondiale del 74 e di Marouane Fellaini, di Mousa Dembele, di Benteke, figlio di un comandante militare congolese, di Kompany (out da Euro 2016 per infortunio), anche lui figlio di immigrati africani, che porta nel cognome la storia di una famiglia impiegata come servitù in una miniera d'argento. I Diavoli Rossi rappresentano oggi lo specchio dei tempi di una nazione sempre sospesa fra due etnie e due anime, che grazie all'allora direttore tecnico federale Sablon decide di rivoluzionare tutto. La rivoluzione è soprattutto standardizzazione: 4-3-3 per tutti, dagli 11 anni in su. È grazie al master-plan G-A-G (Global-Analytique-Global in francese, or Globaal-Analytisch-Globaal in olandese) che il Belgio torna a produrre ali e attaccanti esterni di livello mondiale. Giocatori come Mertens, l'eroe che entra e fa sognare Napoli.