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Maurizio Schillaci dalla Lazio alla vita da barbone

Il cugino di Totò Schillaci ha parlato degli ultimi difficilissimi anni della sua vita.
A cura di Alessio Morra
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maurizio schillaci

Negli anni Ottanta in Serie B giocavano due Schillaci, uno nel Licata e l’altro nel Messina. In Sicilia in parecchi sostenevano che Maurizio, quello del Licata, fosse più forte di Totò, quello del Messina. Maurizio al Licata era allenato da Zeman, che stravedeva per lui. I tanti gol realizzati nel campionato cadetto portarono Maurizio alla Lazio, che all’epoca giocava in Serie B. Lo Schillaci del Licata firmò un contratto da quadriennale da cinquecento milioni di lire a stagione.

Dalla Lazio all’oblio – Fin qui sembra tutto perfetto, con il classico ragazzo trasformato da Zeman che finisce in una grande squadra. Invece a Roma inizia la parabola discendente di Schillaci, che non vede più la porta e che ha grossi problemi fisici. La Lazio, che viene promossa in Serie A, lo manda in prestito prima al Messina, dove gioca con Totò, poi alla Juve Stabia. I gol non arrivano più, a Castellamare Maurizio inizia a fare uso prima di cocaina e poi di eroina. Per lui è l’inizio della fine, perché di lì a poco c’è la separazione con la moglie. La situazione precipita per Maurizio Schillaci che, dopo aver lavorato per la scuola calcio dell’eroe di Italia ’90, perde tutto a causa di una serie d’investimenti sbagliati e ora solo e abbandonato si trova a dormire nei treni fermi della stazione, assieme a una ventina di barboni.

Il racconto di Schillaci – Maurizio Schillaci ha avuto il coraggio di raccontare tutta la storia a siciliainformazioni.com: “Le mie stagioni migliori le ho vissute con Zeman, poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato all’Olimpico. Poi  gli infortuni, lo stop, il declino, un infortunio malcurato e a 33 anni conosco la droga, prima la cocaina e poi l’eroina. In mezzo il divorzio con mia moglie. Oggi mi ritrovo per strada. Non riesco a trovare lavoro, dormo nei tremi fermi alla stazione. Siamo un gruppo di 20 barboni. Con mio cugino Totò non ci sentiamo più. Ho toccato il fondo, ma ora voglio risalire.”

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