Maradona, i 56 anni da leggenda del Pibe de Oro
Dicono che appena nato abbia scalciato. Dicono che mamma “Tota” stesse ballando quando ha avvertito che il momento era arrivato, che il suo quinto figlio stava per nascere. Dicono che abbia visto una stella prima di entrare all'ospedale e dare alla luce il D10S del calcio, Diego Armando Maradona, il Pibe de Oro.
Maradona è l'Argentina – Nella sua geografia di illusioni e passione, tra l'uomo e la maschera nuda, tra l'acclamazione e la perdizione, la forza e la fragilità, si consuma la storia e la leggenda del campione che dietro quell'etichetta, Pibe, ha portato e riscritto l'immagine d'Argentina nel mondo. "Maradona è il nostro massimo punto di riferimento” ha detto lo psicologo Gustavo Bernstein. “Nessuno incarna la nostra essenza meglio di lui. Nessuno porta il nostro emblema in maniera più nobile. A nessun altro, negli ultimi 20 anni, abbiamo offerto tanta passione. L'Argentina è Maradona, Maradona è l'Argentina".
Il calcio è libertà – Nella leggenda di una certa fondazione identitaria, il pibe è il lato infantile del calcio creolo che, racconta Galeano, “crebbe partendo dalle periferie. Era uno sport che non esigeva denaro e si poteva giocare senza null'altro che la pura voglia”. Il pibe, scrive il sociologo Eduardo Archetti che ha dedicato diverse analisi a Maradona, racchiude “la freschezza, la spontaneità, la libertà. Valori normalmente associati all'infanzia, normalmente persi con l'età adulta. Ma il calcio permette all'uomo di giocare e di restare bambino”.
11 anni e idee chiare – Maradona è già famoso da bambino. Nel settembre 1971, non ha ancora 11 anni, parla di lui il Clarin, il quotidiano più venduto d'Argentina, ma per un refuso lo trasforma in Caradona. Sono gli anni dei gol da capogiro con le Cebollitas, la squadra di ragazzini dell'Argentinos Juniors che non perde per più di 100 partite. Gli anni del servizio di ATC, la tv di Stato, per il rotocalco “Sabados Circulares”. «Il mio sogno è giocare un Mondiale e vincerlo» risponde all'incredulo Pipo Mancera, una celebrità della tv dell'epoca.
Calcio come riscatto – C'è già tutto, c'è il calcio come il tango, c'è la serie infinita di palleggi davanti a casa, il senso di uno sport come aspirazione sociale e passione che si trasmette da una generazione all'altra, più forte di tutto, anche della guerra. “Alla porta bussaron dell'umile casa / del postino la voce più chiara si udì / e il pibe correndo con l'ansia sua tutta / sul cucciolo bianco di fretta inciampò /Mamma, mamma, tanti soldi farò” scrive Reinaldo Yiso nei versi di un tango fra i più celebri, del 1945. “Vedrai che bello sarà quando in campo sarò / applaudiranno i miei gol, sarò un trionfator”.
Il pibe, figura eroica – Perché il pibe è una figura eroica, che dal basso comincia (a Villa Fiorito, dove ha vissuto, non c'era nemmeno l'acqua corrente), e alle stelle arriva, che cade, risorge e giace. "Molti hanno paura ad ammettere di essere nati in campagna ma non io” ha detto il Pibe de Oro. In quella casa, in quel quartiere, dove sopravvivere è un'arte lontana dal sogno peronista, ma papà Chitoro e mamma Tota tengono sempre le foto del generale e di Evita, “ho avuto la libertà di giocare. Se non fossi nato lì, non sarei diventato Maradona”.
"Voglio diventare l'idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires" dirà poi alla presentazione ufficiale al San Paolo il 5 luglio 1984 in quella “Woodstock Napoletana” scriveva il nostro Mattia Sparagna, “un giorno indimenticabile per tutti che inebriò la città e gli animi di tutti i tifosi che, grazie ad una dote da veggenti, stavano già gustando i piaceri che Maradona gli avrebbe fatto vivere. Al San Paolo accorsero tutti, tifosi di tutte le estrazioni sociali, dai più umili ai più abbienti, dai meno colti ai professori. Tutti in piedi ad ammirare quel ragazzo che per 7 anni li avrebbe deliziati in ogni modo e maniera, facendogli prendere rivincite su tutti i campi e alzare trofei che mai più furono conquistati”.
Imprevedibile per definizione – È una figura, scrive ancora Archetti, “imprevedibile per definizione”. Qui sta la magia di Maradona: rappresenta un calcio che si può godere al meglio solo quando raggiunge il grado massimo di libertà. L'immagine del pibe racchiude “la qualità e la furberia, la creatività, la vulnerabilità, l'improvvisazione. Il pibe ha la soluzione inattesa nei momenti più difficili. Per lui, una certa quota di disordine è tollerata, attesa”.
Il talento apre le porte – Il giovane Maradona ha imparato presto quanto il disordine, se combinato col talento, possa essere capito, sopportato, perdonato. Il direttore della scuola che frequenta si incanta a vederlo giocare e gli dà la sufficienza anche per i test che Maradona non ha dato. Prende 7, però, sul settimanale El Grafico, nel giorno del suo esordio in prima squadra all'Argentinos Juniors. Si è preso anche la briga, e il gusto, di beffare con un tunnel il suo marcatore Juan Domingo Cabrera. Il giornalista Hector Vega Onesime traccia un climax in tre aggettivi che non hanno bisogno di traduzioni: «Sorprendente, habilidoso e inteligente». Il talento, scopre presto Maradona, apre le porte. Per lui le regole possono anche non valere. Come non varranno sotto la luce accecante e senza riparo dell'Azteca, il pomeriggio in cui la mano de Dios elimina gli inglesi dal Mondiale che il Pibe de Oro vincerà da solo o quasi. "In un primo momento, sono andato con lui per un senso di responsabilità, ma poi mi sono reso conto che ero solo un altro spettatore. Sentivo che non c'era niente che potessi fare. E' stato il suo obiettivo e non aveva nulla a che fare con la squadra. E' stata l'avventura personale di Diego, uno che era davvero spettacolare".
Dualismo argentino – C'è, in quella furberia disonesta, la vendetta per le Malvinas e il dualismo di ogni argentino che in fondo “è un italiano che parla spagnolo e crede di essere inglese”. Si sentono europei, gli argentini, che «per un incidente di Dio», per dirla con Garcia Marquez, si ritrovano a vivere in America Latina. Eppure ammirano gli inglesi, da cui hanno imparato l'arte del football, salvo rinnegarne presto la sottesa disciplina: appena diventano ricchi iscrivono subito i figli in una delle scuole private inglesi nei sobborghi di Buenos Aires, la Northlands, la Saint Hild’s o la Saint Andrews. Ma di pari passo con l’ammirazione corre il risentimento profondo dell'allievo per il maestro, del ribelle per l'ordine costituito.
Si è mischiato con la vita – Essere pibe, scrive Archetti in “The spectacle of a heroic life: Diego Maradona”, “significa non sentire la pressione dell'ordine costituito. E implica, anche, che è più facile vederne solo gli aspetti positivi e perdonarne le imperfezioni”, anche la cocaina. Maradona, sottolinea Emanuela Audisio su Repubblica dopo il primo storico scudetto del Napoli, “piace perchè (…) si è mischiato con la vita. Non è rimasto da una parte. Ha preso il bello, ma anche il brutto di Napoli: certe compagnie, certe amicizie, certe critiche. (…) Facile dire che a proclamarlo eroe, capo spirituale di un popolo senza nazionalità, erano i rappresentanti di un terzo mondo che da secoli aveva poca scelta. In realtà forse i diseredati di tutto il mondo, quelli che non vanno più di moda e a cui nessuno dedica più copertine, lo avevano eletto proprio re ed aspettavano che con quella testa arruffata così grossa, pesante, pesantissima, aleggiasse sopra i loro sogni. Successe in Argentina, è successo a Napoli”.
L'idolo in crisi – Però, scrive in uno dei suoi libri autobiografici, “quando sono stato arrestato a Buenos Aires qualcuno che conta mi ha detto “E adesso, che dirà mio figlio?”. Non gli fregava niente del Maradona in crisi, dell’uomo prostrato, in difficoltà, distrutto, bisognoso di aiuto, era solo preoccupato dell’idolo infranto, del giocattolo che s'era rotto. E non gli passava nemmeno per la testa che l’esempio per suo figlio dovesse essere lui, non un giocatore di pallone”.
La stella e l'uomo – Nell'ora delle decisioni irrevocabili l'eroe è solo con i suoi demoni e i suoi fantasmi. Maradona non è solo un eroe. È un'icona per troppo tempo abituato a sentirsi too big to fail. Il Pibe de Oro, l'eroe bambino che si trova adulto senza essere cresciuto. Una potenza ancora da maturare, una promessa, una linea di confine «Abbiamo continuato a dirgli per tanti anni "Sei un Dio", "Sei una stella” ha ammesso Valdano, “e ci siamo scordati di dirgli la cosa più importante: "Sei un uomo».