Maradona, 17 marzo 1991: il crepuscolo de dios
I giardini di marzo si vestivano di nuovi colori. La primavera era quasi cominciata. Era il 17 marzo del 1991, e niente sarebbe più stato come prima. La più grande leggenda del calcio, Diego Maradona, si è perso, e non ha mai saputo tornare.
Maradona positivo – C'è qualcosa di strano nell'aria, quella domenica al San Paolo, anche se i tifosi non sembrano cogliere il segnale. Con la maglia numero 10 non c'è Diego Maradona, c'è Gianfranco Zola. E sarà proprio il futuro Magic Box a firmare il gol della vittoria contro il Bari. C'è poco da festeggiare, però. Il Napoli sta andando male, chiuderà ottavo, e una settimana dopo il Pibe de Oro giocherà la sua ultima partita in azzurro. Lascia dopo un 4-1 per la Sampdoria, con un ultimo gol su rigore. Un gol triste, solitario e molto finale. Perché una settimana prima, nelle sue Idi di marzo, dopo la vittoria sul Bari, i controlli antidoping hanno rivelato un segreto che non era ormai più segreto per nessuno. I sette anni di Maradona in Italia si chiudono nel segno della cocaina. Il Pibe de Oro designa anche due periti di parte, il professor Manfred Doenike, presidente del centro di biochimica dell'Università di Colonia, allora membro della commissione antidoping del Cio, e il professor Angelo Fiori, docente di medicina legale all'Università di Roma. Ma le controanalisi non possono smentire una verità che tutti a Napoli ormai conoscono. “Che Maradona prendesse stupefacenti lo si sapeva da tempo” dichiara a caldo l'allora sindaco Nello Polese. “E comunque l'assunzione di stupefacenti appartiene alla sfera privata, mentre sul piano pubblico contano le prestazioni. Dispiace che Diego non sia riuscito a resistere a certe tentazioni”.
La notte di Mosca – “Pensa che giocatore sarei potuto essere se non avessi preso la cocaina” ammetterà Maradona nel film documentario che gli ha dedicato Emir Kusturica. Napoli e il calcio hanno cominciato a perderlo la sera del 7 novembre 1990, in una Mosca gelata. Il Napoli ha pareggiato 0-0 in casa contro lo Spartak negli ottavi di Coppa dei Campioni. Diego non vuole partire per la gara di ritorno, dice che sta male. Non riceve né Moggi né i suoi amici più vicini in squadra, Ferrara, De Napoli e Crippa. La trattativa con la dirigenza è estenuante. Alla fine Maradona, che da inizio anno continua a saltare un allenamento dopo l'altro, parte con un aereo privato, un aereotaxi noleggiato per 30 milioni di lire dal presidente Corrado Ferlaino.
La Piazza Rossa di notte – A Mosca, Maradona si concede anche una visita notturna alla Piazza Rossa. Le transenne bloccano tutti gli accessi, la polizia gli dice che non può entrare, ma Sergej, la guardia col fisico da granatiere nel casotto sotto l'arco che conduce alla piazza, quando lo riconosce accende tutte le luci, convinto anche da una mazzetta sottobanco. Diego visita il mausoleo di Lenin e torna in albergo alle tre di notte. Il tecnico Bigon non può chiudere un occhio: allo stadio Lenin, oggi Luzhniki, Maradona parte in panchina.
Un rigore inutile – Avvolto in una coperta, il Pibe de Oro guarda la partita per un'ora, con il punteggio che non si schioda dallo 0-0. Bigon decide che il purgatorio è finito, Maradona entra per Zola. Beppe Incocciati coglie il palo, la porta di Cherchesov, che portava i baffi anche l'anno scorso da allenatore della Dinamo Mosca, battuta dal Napoli negli ottavi di Europa League, resta inviolata. Un giovanissimo Igor Shalimov, 22 anni, in seguito fulcro del Foggia zemaniano, segna il suo rigore come Ferrara e Mauro. Sul 3-2 per lo Spartak, sul dischetto si presenta Marco Baroni, che aveva segnato il gol del secondo scudetto, ma non si ripete e tira sul fondo. Il genio pigro di Maradona realizza da par suo e fa 4-3. Ma decide Mostovoi: 5-3 Spartak. “Maradona pagherà per i suoi errori”, annuncia infuriato il direttore generale Luciano Moggi. “Ma io il mio rigore l'ho segnato”, si difende Maradona, che in Coppa dei Campioni non giocherà più.
Le Idi di Diego – Non avrebbe dovuto giocare nemmeno quella domenica di metà marzo contro il Bari. Non si è allenato allenato per giorni, è sfuggito ai controlli della società e della famiglia. Invece resta in campo per 90′ grigi, anonimi. A fine partita, applaude Zola, lo abbraccia e si presenta nella saletta per i controlli mentre Luciano Moggi, sta annunciando il suo addio al Napoli: si è accordato col Torino del presidente Borsano. Ferlaino teme che qualcosa emerga da quel test e alle sette del lunedì telefona al segretario Gigi Pavarese, che a fine stagione avrebbe seguito Moggi. “Ha accompagnato lei Diego nella sala antidoping?”. No, Pavarese è rimasto in tribuna, si sta riprendendo da un intervento chirurgico. Ma perché Ferlaino si preoccupa che qualcuno abbia accompagnato Maradona nella sala del controllo antidoping?
I controlli col trucco – Lo rivelerà quattordici anni dopo. “Dalla domenica sera al mercoledì Diego, come qualcun altro, era libero di fare quello che voleva, ma il giovedì doveva essere pulito. Solo dopo” aggiunge, “seppi di un trucco. Se qualcuno era a rischio, gli si dava una pompetta contenente l'urina pulita di un altro. L'interessato se la nascondeva nel pantalone della tuta e quando entrava nella stanza dell'antidoping ne versava il contenuto nel flaconcino del medico della Federazione”. Quel giorno, però, Maradona rassicura Moggi. Sono pulito, gli dice.
La fine di un mito – Per Maradona e i suoi difensori più accaniti, la positività è un trucco, un complotto, una vendetta perché l'Argentina, proprio al San Paolo, ha eliminato l'Italia al Mondiale l'estate prima. Ma dall'uscita a vuoto di Zenga a quella domenica di inizio primavera, passano una serie di deferimenti, passano le foto, per quanto vecchie, le fotografie che lo ritraggono in compagnia della famiglia Giuliano, clan egemone a Forcella, passano grane fiscali e giudiziarie. Maradona, però, ancora non può crederci quando la mattina di lunedì 25 marzo, dopo la sconfitta di Genova, il ds Giorgio Perinetti suona al citofono di via Scipione Capece 3/A. “Diego aveva chiesto il permesso per allontanarsi da Napoli alcuni giorni” ricorda, “gli spiegai che non era possibile perché ci avevano comunicato che era risultato positivo all'antidoping. Mi guardò, mise la mano sul fianco e mi disse tre parole: non è possibile”.
"Nessuno mi ha aiutato" – Napoli-Bari, il controllo e l'ultima recita a Genova, “furono l’atto finale di una situazione che si era sviluppata nel tempo, purtroppo per noi” ha ammesso anni dopo il tecnico Bigon. “Il campo non c’entrava più, tutto riguardava il rapporto tra la società e il management di Diego. Gli altri assistevano impotenti. Fu un colpo duro da accettare, anche se ormai la situazione era chiara e la stagione stava per concludersi. Peraltro, non la rovinò quella squalifica”. Anni dopo, in un'intervista a Gianni Minà, Maradona si sfoga e si confessa. “So di aver fatto del male prima di tutto a me stesso e quindi alla mia famiglia, alle mie figlie. Non ho fatto male a nessuno, salvo a me stesso e ai miei cari. Confesso la mia fragilità, anche se la mia presunzione e il mio orgoglio mi facevano apparire diverso. Ho cercato una stupida fuga dalla realtà. Ma chi poteva darmi una mano non me l'ha voluta dare quando potevo salvarmi”.