Lorenzo il (quasi) magnifico
Da Firenze a Firenze. C’è un curioso incrocio di destini che unisce la città che fu di Lorenzo il Magnifico, e lo scugnizzo che illumina Napoli e ne porta il soprannome. Alla Fiorentina, Insigne ha riservato le due gemme che hanno segnato la triste notte dell’Olimpico e portato agli azzurri il primo alloro dell’era Benitez. “Alzare un trofeo”, ha confessato, “è una gioia pura”. Ma proprio contro la Viola, la gioia diventa dolore: si rompe il crociato, nel suo momento migliore. “Lo dicevano tutti, lo pensavo anche io: riuscivo a fare con naturalezza quello che volevo e anche quello che mi chiedeva Benitez; correvo e coprivo, attaccavo e tagliavo, avevamo battuto la Roma giocando una partita meravigliosa e l’inizio a Firenze era in tendenza. Poi il destino ha voluto così, perché mi sono fatto male praticamente da solo, saltando l’uomo per evitare il contatto”.
Seguono mesi di sofferenza e di attesa, mesi passati come color che son sospesi, ma non è certo una novutà, né tanto meno una sorpresa. “Devo molti grazie: al professor Mariani, allo staff medico del Napoli, anche a me stesso, a chi mi è stato vicino, il club, l’allenatore, i compagni, la famiglia. Ma quando andavo a fare la terapia ed ero solo con me stesso, mi chiedevo sempre: quanto tempo?”. La risposta non può che arrivare un girone dopo, non nello stesso posto ma contro lo stesso avversario. Dopo gli ultimi 9’ con la Roma, gli basta un quarto d’ora contro la squadra di Montella per servire a Callejon l’assist per il 3-0. E poi spezza l'incantesimo con la rete – bellissima – alla Sampdoria.
Roma, Napoli, la Germania – La storia di Lorenzo è scritta nei luoghi, è una geografia di simboli e premonizioni, che ha al centro Roma, in tutte le sue declinazioni. C’è soprattutto la Lazio, avversaria al San Paolo in un indimenticabile 13 aprile 2014, la sua prima volta da capitano della sua squadra del cuore, nel giorno della prima tripletta italiana di Gonzalo Higuain, e di nuovo l’8 aprile di quest’anno, in Coppa Italia, quando gli bastano 5’ per spiazzare tre avversari, calciare a botta sicura, battere Berisha ma non il salvataggio sulla linea di Lulic. E c’è ovviamente Napoli, che ha una storia lunga di bandiere cresciute nel settore giovanile. Leggende come Egidio Di Costanzo, dieci anni con la maglia azzurra dopo la trafila nel vivaio, bersagliere amante della pittura, diventato allenatore dei partenopei nel 1969 al posto di Chiappella. Campioni come il capitano Antonio Juliano, un oro europeo (Italia '68) e tre Mondiali con l'Italia, come Enzo Montefusco, il baronetto Gianni Improta o Sandro Abbondanza, come Guido Postiglione o il giocoliere Gaetano Musella. O come Palo di Ferro Bruscolotti, nato a Sassano e diventato alfiere inimitabile della storia azzurra, che ha giocato 511 partite a Napoli tra il 1972 e il 1988 e ceduto la fascia di capitano a Diego Maradona. La strada di Lorenzo porta ancora più lontano, guarda all’Europa. Insigne lancia la sua Weltanschauung, il suo orizzonte degli eventi, verso Germania, punta al Borussia Dortmund cui ha riservato la prima gemma della scorsa, sfortunata, Champions League e che ora ammira un altro “scugnizzo” dal gol facile, e al Wolfsburg che ha battezzato il suo definitivo ritorno nella notte delle stelle e dei desideri da avverare.
Lorenzo cambia il Napoli – Il 4-1 europeo, e il 3-0 al Cagliari di domenica (sesta vittoria esterna stagionale), raccontano di un Napoli cambiato, diverso, anche per effetto, per merito di Insigne. Proprio contro la Fiorentina, Benitez è passato al 4-4-2, e domenica ha arretrato Hamsik nella sua posizione naturale. Ma è Lorenzo il Magnifico il jolly di Benitez. Perché, anche se Mertens sta giocando ad alti livelli, Insigne può essere più utile in fase di non possesso, perché rientra di più e mantiene gli equilibri. E soprattutto, Higuain e Callejon si fidano delle sue intuizioni, del suo destro, in campo parlano la stessa lingua. Insigne legge bene i movimenti del Pipita, ormai vicinissimo ai 50 gol in azzurro, e vede come nessun altro i tagli di Callejon, che in campionato, senza i colpi di genio dello “scugnizzo di Frattamaggiore”, ha segnato solo al Cesena. Con Gabbiadini arrivato già a 7 gol nonostante un minutaggio contenuto, l’intesa è già matura. Il cross straordinario che gli ha pennellato a Wolfsburg basta da solo, è già l’epifania, la rivelazione di quel che sarà. Il dribbling, la velocità, la determinazione sono quelli di una volta. Lo spunto a rientrare, il marchio di fabbrica suo e del suo idolo Del Piero, è il solito. E il cielo è un po’ più azzurro sopra il San Paolo.
Dove tutto ebbe inizio – Manca ancora un luogo, però, per completare la geografia, che diventa storia, di un predestinato come Lorenzo. È la Scuola Calcio Olimpia San Martino di Frattamaggiore. È qui che comincia a giocare, come i suoi tre fratelli, Roberto, che gioca nelle giovanili del Napoli, Marco e Antonio, il più grande, che gli ha insegnato a calciare. Giocavano insieme per ore nello spiazzo sotto il palazzo dove ancora vivono i genitori. “Lorenzo perdeva con me, e piangeva. Aveva neanche sette anni e non ammetteva sconfitte. Io ridevo, poi baravo. Lo facevo vincere così non ero costretto a sentirlo” ha raccontato al Corriere del Mezzogiorno. Il calcio era già il sogno di papà Carmine, operaio in una fabbrica di scarpe della zona, ex attaccante delle giovanili nella Casertana di Beppe Materazzi, frustrato però da suo padre. E per i suoi figli diventa un’occasione, una speranza di riscatto.
Pregiudizi – Ha dovuto sempre lottare contro i pregiudizi, contro quella stazza tutt’altro che monumentale. Già dal primo torneo con la scuola calcio di Grumo Nevano, a otto anni, si ritrova un presidente che vorrebbe scartarlo. “Dove vuoi andare, sei più piccolo del pallone”, gli dicono. È solo l’intercessione dell’amico di sempre, Antonio D’Errico, che lo convince. Bastano pochi palleggi per far dimenticare l’altezza e far innamorare tutti di quel piccolo grande mago.
Tenacia e buone maniere – Un mago che non ha mai perso di vista obiettivi e valori, che riserva furbizia e malizia solo agli avversari sul rettangolo verde, con l’unico debole per i tatuaggi. Eppure gli osservatori delle grandi squadre, delle milanesi, continuavano a dubitare. E Lorenzo continuava testardo per la sua strada, perché se non c’è strada nel cuore degli altri prima o poi si traccerà. Venditore ambulante la mattina, in campo al pomeriggio, fino al grande traguardo. È il 2005, Giuseppe Santoro detto Peppe, allora responsabile del settore giovanile azzurrro, lo nota a Grumo Nevano. Per 1500 euro porta Insigne al Napoli. Lorenzo si regala un paio di R9, le scarpe di Ronaldo (ne compra un paio anche al fratello Antonio) e regala al Napoli un patrimonio inestimabile.
Protagonista – Il resto è storia. È un biennio d’oro con Zeman a Foggia e Pescara, è un’alchimia letale con Marco Sau e Ciro Immobile, è un posto nel cuore della sua Napoli che vive di accenti e passioni. “Siamo un gruppo e si è visto nelle difficoltà vissute: Bilbao aveva lasciato il segno ma ne venimmo fuori; a dicembre c’è stata una crisetta, ma siamo andati a vincere la Supercoppa a Doha. E, nel nostro piccolo, non siamo sazi” spiegava al Corriere dello Sport. “Vogliamo essere protagonisti, sempre, e voglio esserlo io con il mio Napoli per sempre”.